Hanno ammazzato Signor Giuseppe
16 Settembre 2012Roberto Loddo
Verso la fine del 2000, tra i comuni italiani governati dai sindaci più preoccupati e attenti alla sicurezza dei cittadini inizia a diffondersi la moda della tolleranza zero. Una vera e propria dottrina della gestione poliziesca della povertà che crea problemi. Le fasce più deboli e indifese delle periferie devono essere nascoste e contenute perché generano disagio negli spazi pubblici della comunità. Bisogna reprimere tutti coloro che non sono compatibili con il sistema, che disturbano l’ordine pubblico e alimentano il senso di insicurezza. Questa filosofia della repressione urbana, ben descritta da Loïc Wacquant nel suo libro “Parola d’ordine tolleranza zero”, si è diffusa in tutto il mondo con una velocità impressionante. Dalla New York del sindaco repubblicano Rudolph Giuliani fino ad arrivare alla Quartu Sant’Elena del sindaco progressista Gigi Ruggeri.
Proprio a Quartu, l’esaltazione dello stato che sorveglia e punisce ha prodotto una storia di orrore agghiacciante. Come tutti i Giovedì, il 15 Giugno 2006 Piazza IV Novembre a Quartu ospitava il mercato civico. Un immagine comune, quella a cui i nostri occhi sono abituati nell’osservare la tranquilla vivacità delle voci e dei colori del mercato. Tra i tanti banchetti c’è anche una vecchia ape parcheggiata con un cassone pieno di frutta e verdura, e affianco un signore che fuma il sigaro. A fine mattinata, accade qualcosa di inaspettato. Una situazione veloce, immediata e certamente premeditata. Arrivano i carabinieri e la polizia municipale, uno psichiatra senza camice, e poi un aggressione. Gli agenti afferrano con la forza il signore con il sigaro. Lo aggrediscono di fronte a tutti, sbattendolo per terra e immobilizzandolo in una barella che lo porterà in psichiatria.
L’idea di mercato civico che immaginava la giunta comunale di Quartu non era compatibile con il signore con il sigaro: il Signor Giuseppe Casu, morto dopo un trattamento sanitario obbligatorio il 22 giugno 2006. Il giorno dopo l’unione sarda titola nella prima pagina della cronaca di Quartu: “sgombero forzato, se ne va anche l’ultimo ambulante”. Le foto dell’aggressione, scattate da un fotografo dell’Unione Sarda, sono molto chiare ed esplicite, la migliore risposta a tutti i perché del trattamento sanitario obbligatorio sul signor Giuseppe. Queste foto sono diventate un film con “La storia di Giuseppe Casu, appunti per un montaggio” realizzato dalla regista Francesca Ziccheddu. Un film che nel finale viene accompagnato da “Signor Giuseppe” la canzone di Dr drer & crc posse, gruppo rap cagliaritano che con la sua musica difende i diritti delle persone escluse ed emarginate.
L’azione poliziesca determinata dalla lotta agli abusivi doveva dare un segnale forte alla città. Ma gli ambulanti, sono spesso abusivi, perché le norme che regolamentano le attività vietano la licenza a chi, come il Signor Giuseppe, non aveva terminato le scuole elementari. Da qui nasce la guerra agli ambulanti. Da Maggio 2005 si inizia a multare il signor Giuseppe, che non demorde, paga, e continua a esporre la sua verdura. Fino ad arrivare al giorno prima dell’aggressione, quando i vigili si presentano da signor Giuseppe con una contravvenzione raggiunge la cifra stratosferica di 5 mila euro. Una multa per vendita senza licenza di frutta e verdura per strada. Un’intento escludente atto a fare piazza pulita fino all’ultimo ambulante abusivo, come scrive in un articolo del 2006 che ricostruisce i fatti, il comitato “verità e giustizia per il signor Giuseppe Casu”. Per la giunta progressista, paladina della legalità e della sicurezza, Giuseppe era un obbiettivo simbolico da eliminare.
Giuseppe Casu muore nel reparto di psichiatria dell’ospedale SS. Trinità di “Is Mirrionis” di Cagliari. Sedato e immobilizzato, legato mani e piedi nel letto di contenzione per sette giorni. Dall’inchiesta interna della Asl, partita grazie all’Asarp, (l’associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica), emergono responsabilità etiche e cliniche gravissime. Dal suo arrivo al momento della sua morte, al Signor Casu non è stato fatto nessun esame per verificare il suo stato di salute: “Seppur la contenzione fisica poteva essere giustificata come rimedio d’urgenza e pertanto temporaneo (art. 54 c.p.), non già è giustificata per un periodo così lungo e “sommata” ad una contenzione farmacologica. Questa commissione ritiene non accettabile, e pertanto censurabile sotto il profilo clinico oltre che etico, un così prolungato provvedimento di contenzione fisica, in paziente spesso sedato, senza tentativi finalizzati alla interruzione della stessa”.
Se oggi siamo riusciti ad aggredire l’indifferenza delle persone, è grazie alla presenza di persone e organizzazioni che non vogliono più essere complici di queste pratiche. Se oggi riusciamo a parlare e a scrivere della morte di persone legate nei reparti di psichiatria, è grazie ai loro familiari, come la figlia del signor Giuseppe, Natascia Casu, che ha rotto il silenzio costruendo una narrazione diversa da quella dei bravi sindaci sceriffi, da quella dell’informazione parziale e degli psichiatri con la siringa e le manette: “Trasformare il dolore in una lotta, per dare un senso a tutto quanto, cercando di impedire che morti e trattamenti del genere possano ripetersi” – continua Natascia – “Con la speranza che tanto rumore possa indurre le persone a riflettere, interrogarsi, capire che avere un disagio mentale non corrisponde alla totale perdita dei diritti primari e inviolabili di ogni individuo”.
Gli avvocati della famiglia Casu, sono in attesa del deposito dell’ultima sentenza. Non esiste colpevole in nessuno dei tre processi svolti fino ad oggi. Per comitato “verità e giustizia per il signor Giuseppe Casu” e l’Asarp, la contenzione è un atto illecito e legare una persona deve essere considerato un reato. Non è un caso che la campagna nazionale per l’abolizione della contenzione, promossa dalla Fondazione “Franca e Franco Basaglia”
dall’unasam, (l’unione nazionale delle associazioni per la salute mentale) e dalla Cgil sia partita proprio da Cagliari. Nel manifesto d’intenti della campagna si legge che “La contenzione non è un atto medico, ma è un’offesa alla dignità della persona che la subisce, ed è sintomo di grave inefficacia e inefficienza dei servizi che la adottano”.
Forse, al contrario di ciò che scriveva Basaglia, per i giudici di Cagliari la libertà non è terapeutica. Perché un uomo sano è entrato in ospedale ed è uscito morto dopo un trattamento di tortura. Se un uomo può morire legato in un ospedale e i suoi referti possono essere sostituiti con quelli di un altro cadavere, dove sta la giustizia?
16 Settembre 2012 alle 11:35
Non ricordavo questa triste storia, ma credetemi non pensavo che un insieme di istituzioni, che tra l’altro dovrebbero tutelarci, arrivassero a commettere questo crimine devastante
16 Settembre 2012 alle 12:43
In realtà se non Basaglia, quantomeno la legge che porta il suo nome, non crede che la libertà sia “terapeutica”. E’ chiarissima l’intenzione di espulsione e di pulizia sociale che sottende le azioni del comune di Cagliari, come è chiaro che ciò che ha portato Giuseppe Casu in reparto è una procedura “sanitaria”, prevista dalla legge 180, e realizzata sulla base di giudizi psichiatrici. Si può disquisire se gli psichiatri di Cagliari siano o no buoni psichiatri, se altri si sarebbero comportati diversamente, con più umanità, ma il fatto è che il loro comportamento è, in atto, lecito e quello che ci può capitare del tutto arbitrario e legato alle persone che ci impongono le “cure”. Molte organizzazioni e operatori “illuminati” denunciano queste pratiche in uso in molti reparti, affermando che c’è una psichiatria (la loro) che agisce solo con il consenso delle persone. Ma, contattati, non appoggiano l’idea di abolire il Tso in quanto inutile per la loro pratica quotidiana e addirittura strumento di tortura nelle mani degli psichiatri ortodossi del reparto di Cagliari. Fare giustizia nel nome di Giuseppe Casu vuol dire, a mio avviso, certamente condannare gli autori materiali di questo orrendo crimine contro l’umanità, ma significa soprattutto impedire che questo possa ripetersi. Invito tutti a sottoscrivere la petizione per l’abolizione del TSO http://www.avaaz.org/en/petition/abolizione_del_trattamento_sanitario_obbligatorio_in_psichiatria/?fbdzRab&pv=8
16 Settembre 2012 alle 14:06
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18 Settembre 2012 alle 21:30
bravo roberto, un intervento semplice e chiaro!
26 Settembre 2012 alle 03:07
Grazie per aver diffuso questa notizia, che nn conoscevo, e per la petizione che naturalmente ho firmato…cercherò di diffondere il + possibile.
26 Settembre 2012 alle 10:41
Che storia triste e ingiusta… col cuore sono vicina alla famiglia del sig. Giuseppe Casu. RIP
21 Giugno 2014 alle 00:02
[…] da qui […]