Che fare di Buoncammino?
1 Gennaio 2015Gianfranca Fois
Ho già sottolineato precedentemente che di questi tempi si sta affermando la tendenza ad allontanare dalle città tutto ciò che viene vissuto come problema. Ad esempio gli edifici carcerari vengono costruiti in luoghi lontani, di difficile accesso sia per i familiari sia per i volontari e le associazioni che si occupano dei reclusi.
Per questo motivo sono stati trasferiti nei dintorni di Uta, paese a circa 25 Km da Cagliari, gli ospiti di Buoncammino, carcere situato appena fuori dalle antiche mura di Cagliari, in un viale alberato che si affaccia su uno dei punti più belli della città.
Il trasferimento apre quindi il dibattito sul destino dell’edificio abbandonato e sui suoi circa 15.000 metri quadrati.
Si è incominciato a discuterne nei giorni scontri grazie a un’iniziativa del FAI giovani che ha dato la possibilità a chiunque lo volesse di dare il proprio contributo di riflessioni, idee, progetti.
Un’iniziativa utile e interessante che spero proseguirà nei mesi futuri. Infatti credo che il coinvolgimento e la partecipazione di un numero sempre più alto di persone contribuisca da una parte a elevare il livello della nostra vita democratica, dall’altra a creare una sorta di controllo necessario per evitare che l’edificio cada in mano a speculatori che lo sottrarrebbero alla comunità e nello stesso tempo per evitare che finisca in abbandono.
In quest’epoca di ideologia neoliberista imperante a tutti i livelli infatti si sta affermando l’idea di una città che vede sempre più ridursi lo spazio pubblico e collettivo a favore di una città degradata a merce e caratterizzata dalla privatizzazione dei beni comuni.
E dire che le città sono nate proprio con gli spazi pubblici quando, come scrive l’architetto Edoardo Salzano, “dal modificarsi del rapporto tra uomo, lavoro e natura, nasce l’esigenza di organizzarsi attorno a determinate funzioni e determinati luoghi che possano servire l’insieme della collettività” e cioè luoghi nei quali “stare insieme, commerciare, celebrare i riti religiosi, svolgere attività comuni e utilizzare servizi comuni”.
Questo non significa che i privati non possano partecipare al recupero e alla reinvenzione degli spazi urbani. L’importante è che la partecipazione avvenga su un progetto che segua logiche trasparenti e partecipate, con il coinvolgimento della Sovrintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici e artistici, dell’Università, del Comune, delle fondazioni, delle associazioni, dei privati cittadini.
Sarebbe un modo anche per rimettere in circolazione saperi, capacità, lavoro di cui si avvantaggerebbe tutta la comunità. Insomma sarebbe un passo importante per quel droit à la ville, come ci ha insegnato il sociologo francese Henri Lefebvre, il diritto ad avere una città aperta a tutti senza preclusioni e discriminazioni, nella quale tutti possano partecipare alle decisioni sul suo cambiamento. Una città che risponde alle esigenze di tutti i cittadini, in particolare dei più deboli, in netto antagonismo con la città neoliberale che ha invece a cuore i cittadini proprietari e che crea esclusione fisica, con la mancanza di una edilizia popolare ma anche con l’espulsione dei cittadini dai quartieri storici oggetto di speculazione, e quindi esclusione economica e sociale. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: coesione e solidarietà scomparse con conseguente tessuto urbano e sociale frammentato e relativo disagio che si accompagna alla richiesta distorta di sicurezza e non di buone pratiche di governo.
Anche per il carcere di Buoncammino, così come in altre parti del modo, si è fatta la proposta di destinarlo a hotel più o meno di lusso. E’ una soluzione che personalmente non condivido mentre mi sembrano più interessanti sia il recupero effettuato in Spagna a Palencia dove l’area di 5.000 metri quadri del carcere ottocentesco è stata destinata a centro culturale con biblioteca e auditorium, con investimenti economici sostenibili è stata rispettata la struttura del vecchio edificio reso più luminoso grazie al ruolo fondamentale giocato dalla luce.
Altra soluzione interessante, citata nel corso dell’incontro, è quella adottata a Firenze nello spazio del carcere Le Murate che ora ospita oltre a luoghi comuni per attività culturali, lo sportello ECO-EQUO, un caffè letterario, piccoli appartamenti e negozi.
Di vario tipo le altre proposte: biblioteca o studentato o aule di studio dal momento che l’edificio è situato in una posizione strategica rispetto a diversi dipartimenti universitari, piccoli appartamenti da affittare a prezzi accessibili, centro culturale, museo della giustizia per ricordare la sofferenza di quanti hanno trascorso tra quelle mura parti importanti della propria vita ma anche per delineare la storia della giustizia in Italia. Non ultima la richiesta di ospitare nell’edificio le sedi dei centri studio di due personalità sarde che subirono la pena del carcere per le loro idee e le loro battaglie politiche: Antonio Gramsci e Emilio Lussu.
Proposte diverse quindi ma accomunate in gran parte dall’esigenza che, qualsiasi decisione si prenda, si privilegi l’interesse della comunità nella prospettiva di un progetto integrato dei vari spazi della città.
4 Gennaio 2015 alle 13:51
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