Honduras: La mattanza dei contadini
1 Giugno 2013Pubblichiamo un primo contributo di Emilia Giorgetti sull’Honduras. La foto è di Marvin Palacios. Marvin è un giornalista molto impegnato, che vive, insieme alla sua famiglia, sotto costante minaccia di morte. L’Honduras infatti è un paese microscopico e quasi sconosciuto, ma conta il più alto numero di giornalisti assassinati per numero di abitanti e, in generale, è al secondo posto al mondo in valore assoluto in questa classifica, superato solo dalla Siria, dove però è in corso un conflitto armato ufficiale (Red)
Emilia Giorgetti
L’abbraccio di doña Elena è forte e accogliente. Non dimostra i suoi 79 anni, con quel corpo snello e agile. Ha lo sguardo diretto e fermo di chi ha sopportato ogni sofferenza, fino al dolore più grande della scomparsa di un figlio, e non si rassegna, ma continua a lottare per ottenere giustizia.
L’attesa di doña Elena e della sua famiglia è iniziata un anno fa, il 29 aprile del 2012, quando José Antonio López Lara, un contadino di 46 anni, è scomparso. Uscì dalla sua casa per pescare in un corso d’acqua che lambisce le terre della finca Paso Aguàn, in quel periodo controllata dal latifondista Miguel Facussé Barjum. Da quel momento, non si seppe più niente di lui. Secondo la figlia maggiore, Saudi, già più di una volta le guardie armate di Facussé avevano minacciato di eliminare suo padre se si fosse ancora avvicinato alla finca e, proprio quel 29 aprile, “alcuni contadini del luogo sostengono di aver sentito quattro spari, verso le 10 del mattino”. Prima di José Antonio erano già scomparsi almeno altri 3 uomini legati alla finca Paso Aguàn. Il 15 maggio 2011 scomparve Francisco Pascual López, 37 anni. Un bambino sentì gli spari, ma il suo corpo non fu mai ritrovato. Il 30 gennaio 2012 fu la volta di Lito Rivera, 35 anni, dissolto nel nulla mentre si recava a lavoro nella finca. Nel febbraio 2012, identico destino toccò ad Antonio Gómez, 55 anni e membro del movimento di lotta per la terra Nueva Vida de Rigores. La vigilanza della famiglia Facussé non permise mai che venissero svolte delle ricerche fino alla scomparsa del dirigente contadino Gregorio Chávez, avvenuta il 2 luglio del 2012. La commozione e la rabbia seguite al ritrovamento del suo corpo senza vita solo cinque giorni dopo motivarono il recupero della terra illegalmente in mano ai Facussé e permisero l’organizzazione della ricerca sistematica degli altri scomparsi. Fu così che, il 3 aprile del 2013, furono rinvenuti dei resti umani malamente interrati in una fossa clandestina all’interno della finca, proprio a pochi metri dal luogo da dove, il giorno della scomparsa di José Antonio López Lara, sembrarono provenire gli spari. Di fronte all’indifferenza delle autorità, la famiglia di José Antonio e il Movimiento Unificado Campesino del Aguán decisero di prendere l’iniziativa e trasformare José Antonio in un simbolo della lotta contro l’impunità e in un’arma contundente nei confronti dei Facussè, i più potenti membri dell’oligarchia honduregna. Ci sono voluti 20 giorni di attesa e di stretta vigilanza del luogo del ritrovamento, alternandosi giorno e notte perché nessuno potesse cancellare le prove dell’assassinio, prima che, il 25 aprile 2013, si potesse portare a termine la esumazione ufficiale del corpo, grazie all’intervento di periti forensi arrivati appositamente dalla prestigiosa Fondazione di Antropologia Forense del Guatemala (FAFG).
È appena l’alba quando l’archeologo Leonel Paíz e l’antropologa Alma Vázquez giungono sul luogo del ritrovamento. Sulla fossa, in una radura del bosco di gigantesche palme da olio, qualcuno ha piantato una piccola croce di canna. La famiglia di José Antonio é già riunita all’ombra di una tenda azzurra: doña Elena, i suoi figli, nipoti e pronipoti e Rosa, la moglie di José Antonio, con i due bambini di 3 e 8 anni. Il luogo è già presidiato da decine di membri della polizia preventiva e dell’esercito. Da una parte, familiari e difensori dei diritti umani in cerca di una scintilla di verità e, dall’altra, uomini armati fino ai denti, addestrati per mietere altre vittime. E, la maggioranza di questi, ragazzini con lo sguardo spaurito, i movimenti impacciati e schiacciati dal peso dei fucili più grandi di loro: marionette scatenate dal potere contro i loro eguali, i giovani contadini in lotta per un fazzoletto di terra.
Tre contadini procedono allo scavo, sotto la direzione sicura di Leonel e Alma che misurano, contrassegnano, filtrano la terra e scattano foto. Li seguiamo in silenzio, in una atmosfera irreale, senza accorgerci che, a poco a poco, il luogo si è venuto popolando. Decine di contadini si sono materializzati all’improvviso fino a circondare il recinto in un abbraccio di striscioni rossi e di partecipazione commossa. Rimarranno fino al tramonto, immobili e silenziosi, sotto i raggi di un sole implacabile.
Le prime tracce del corpo compaiono verso mezzo giorno: con ancora gli stivali di gomma e la testa, adagiata su un lato, appoggiata sul braccio destro, come se dormisse. E poi la borsa a righe, il filo da pesca e il pesce, sepolto con lui. “È lui. L’ho sempre saputo.” esclama una delle sorelle, mentre doña Elena si avvicina lentamente alla fossa, si copre il viso con un panno bianco e si abbandona ad un lungo pianto liberatorio.
Intanto, in attesa della identificazione completa e certa dei resti, grazie agli esami del DNA svolti alla FAFG, si è immediatamente scatenata la rappresaglia del potere ferito, attraverso la criminalizzazione degli attori sociali, associati ad organizzazioni terroristiche o a cartelli della droga. La campagna, appoggiata da ampi settori della stampa, colpisce tutti: membri dei movimenti contadini, giornalisti, difensori dei diritti umani e osservatori stranieri, accusati di ingerenza negli affari interni dello stato.
Di fatto, il conflitto agrario del Bajo Aguán é emblematico della situazione di grave instabilità dell’Honduras e scaturisce dalla storica disuguaglianza nella distribuzione della terra: il 50% dei terreni agricoli é in mano al 3% dei produttori e il 35% dei contadini è senza terra. Nel Bajo Aguán, la grande accumulazione iniziò al principio degli anni ’90, quando i latifondisti e i più alti gradi delle forze armate si impossessarono delle terre delle cooperative contadine, grazie all’appoggio del governo, a cavilli legali e, soprattutto, alla violenza estrema dei loro eserciti privati. I camion scaricavano nella notte buia dei villaggi uomini armati fino ai denti, che sparavano all’impazzata, violentavano le donne e se ne andavano lasciandosi alle spalle cumuli di cenere e sangue. Il deposto presidente Manuel Zelaya tentò di instaurare un negoziato, che fu strozzato sul nascere dal colpo di stato del 28 giugno 2009. Il governo golpista di Micheletti e l’attuale presidente Porfirio Lobo Sosa, invece, oltre a rifiutare ogni trattativa, hanno risposto alla crisi crescente con i vecchi metodi degli anni ’80, cioè con una massiccia militarizzazione, sotto il nome di operazione Xatruch III e il comando del colonnello Germán Alfaro Escalante, addestrato nel 1984 nella fucina di torturatori della Escuela de las Américas a Panamà.
Oggi, l’accaparramento dei terreni più fertili continua a ritmo serrato, alimentando la crescita di patrimoni già ipertrofici e a spese della popolazione del paese con la più alta percentuale di poveri del continente americano. E, all’ombra della gigantesca macchina da guerra montata a difesa del privilegio di pochi, continuano le violazioni dei diritti umani. Le sparizioni dei contadini scomodi si susseguono senza respiro, in maggioranza non segnalate da famiglie terrorizzate che, di fronte a una denuncia inutile e che le esporrebbe a ulteriori rappresaglie, preferiscono raccogliere le loro poche cose e fuggire lontano. L’avvocato Antonio Trejo è stato assassinato da ignoti nel settembre 2012, colpevole di aver vinto la causa di una cooperativa contadina sul diritto di proprietà della finca San Isidro. All’inizio del 2013 è stato assassinato anche il fratello José, impegnato nelle indagini sulla sua morte. Secondo fonti ufficiali, negli ultimi tre anni di conflitto ci sono stati 92 morti, 70 feriti e decine di scomparsi, la maggioranza dei quali appartenenti ai movimenti contadini.
Nel Bajo Aguán, 22000 ettari di coltivazioni di palma africana sono controllati dall’anziano patriarca Miguel Facussé, proprietario dell’impresa Dinant, produttrice di olio per margarina, cibo spazzatura e, soprattutto, agrocombustibile, per il quale molte banche, compresa la Banca Mondiale, sono ben disposte a fornire lucrosi finanziamenti. È indubbio che, quando si confermerà ufficialmente che i resti recuperati nella esumazione del 25 aprile scorso corrispondono a quelli dello scomparso José Antonio López Lara, il movimento contadino riporterà una vittoria importante e, allo stesso tempo, la reputazione della famiglia Facussé sarà notevolmente colpita. Le prove dirette del coinvolgimento delle sue guardie armate nella sparizione di contadini potrebbero influire in maniera rilevante sulla sua capacità di ottenere prestiti dagli istituti bancari internazionali.
Doña Elena Foto di Marvin Palacios (http://www.defensoresenlinea.com/cms/)
4 Giugno 2013 alle 18:57
Bellissimo articolo su un paese totalmente ignorato in cui anche i nostri connazionali si distinguono nello sfruttamento e quindi nel mantenimento della totale impunità e assenza di legge. Ma questo non dovrebbe troppo stupire a guardarsi in casa. Penso che si debba lanciare una campagna perchè almeno a queste canaglie si tolga l’accesso ai fondi internazionali. La world Bank e il Fondo Monetario Internazionale vorranno mica sporcarsi le mani con questa gentaglia?…….
13 Agosto 2013 alle 13:53
si potrebbe coinvolgere di questa storia anche il papa francesco che e molto sensibile a queste tematiche anche perché essendo un paese sudamericano e più vicino a lui alla sua gente farebbe molto rumore che dite li scriviamo