La voce dei morti di Buggerru
1 Maggio 2017Francesco Cocco
Il manifesto sardo con l’articolo di Francesco Cocco intende ricordare il Primo Maggio rievocando quell’importante pagina di storia che diede il via, con il primo sciopero generale nazionale, alla nascita del grande movimento sindacale del ‘900. (Red).
Era la sera di Domenica 4 settembre quando cominciò a diffondersi la voce dei morti di Buggerru e si comprese subito che la tensione sociale era destinata a salire. In Città, a partire dagli inizi del secolo, non erano mancati scioperi e manifestazioni. Ne erano stati protagonisti i lavoratori delle Saline, gli scalpellini della Ditta Barbera, i dipendenti della Manifattura Tabacchi, gli operai dell’edilizia. Ma lo svolgimento, tutto sommato, pacifico e le modalità con cui si era concluso lo sciopero di Montevecchio del 1903, il primo grande sciopero moderno svoltosi nell’ Isola, sembravano far intravedere una nuova conflittualità sociale in cui alla vecchia jacquerie si erano sostituite l’organizzazione ed il dialogo tra le parti.
La preoccupante novità consisteva nel fatto che durante lo sciopero di Buggerru la truppa aveva sparato sulla folla e Felice Littera, Giovanni Pilloni, Salvatore Montixi erano stati colpiti a morte. Non era questo un episodio isolato in Italia: dagli inizi del secolo si potevano contare undici conflitti a fuoco tra scioperanti ed esercito con più di quaranta morti. Erano fatti che sembravano estranei alla Sardegna ed ora quei morti e le decine di feriti davano il chiaro segnale di un clima mutato. Anche a Cagliari l’eccidio poteva essere in agguato. Non più roccaforte militare e burocratica staccata dal più generale contesto sociale del territorio, era facile che qui si ripetessero i moti di altre parti o potessero verificarsene dei nuovi capaci d’infiammare tutta la Sardegna.
L’Unione Sarda, schierata sulle posizioni dell’on. Francesco Cocco-Ortu, ministro di grazia e giustizia sino a novembre del 1903 nel governo Zanardelli, fece di tutto per minimizzare quei drammatici avvenimenti. Poche notizie confinate nelle pagine interne. Il 4 settembre, in un piccolo trafiletto si comunicava che “stante i malumori sorti tra i minatori, sono partiti per Buggerru 130 uomini del 42° Reggimento di Fanteria al comando del capitano Bernardone cav. Luigi”. Poi il 6 settembre, in una sola colonna, confinata in seconda pagina, la notizia di 3 minatori caduti e di 5 feriti (anziché il numero effettivo di 20). Veniva inoltre annunciata una sottoscrizione a favore delle famiglie delle vittime promossa dall’ “Unione radicale” e dalla sezione cagliaritana del P.S.I. Questa tendenza a minimizzare non cambiò neppure quando 10 giorni dopo, in segno di protesta per l’eccidio nel centro minerario sardo, venne proclamato a Milano il primo sciopero generale nazionale.
L’atteggiamento de L’Unione esprimeva chiaramente le posizione e gli interessi di ristretti, pur se dominanti, gruppi sociali. Ben diversa la reazione nel mondo del lavoro e dei nascenti partiti di massa. Si tenne a Cagliari un affollato comizio, promosso da socialisti, repubblicani, radicali. Il Fascio giovanile repubblicano indisse un’assemblea giovanile. Sottoscrizioni a favore delle famiglie dei morti e dei feriti vennero promosse dai socialisti e dai repubblicani. A reagire furono, quindi, le forze politiche che meno di due anni più tardi guidarono il grande moto di popolo che infiammò prima Cagliari e poi l’intera Isola.
Quelli indicati sono alcuni elementi di un mosaico da tenere ben presente se vogliamo comprendere la più importante sommossa popolare avvenuta a Cagliari nel secolo appena concluso, nota come “l’ottantanove cagliaritano”, così la definì nell’omonimo pamphlet Ottone Bacaredda, riferendosi ironicamente alla Rivoluzione francese, o anche come ” sa rivoluzioni de su baccagliari e de sa triglia” sulla base di un infelice frase attribuita polemicamente, ed in maniera forse distorta, allo stesso Bacaredda.