Mastru Juanne o la ballata della fame

16 Marzo 2012

Natalino Piras

Nel mio romanzo “Sepultas” ci sono i rivoluzionari del Marx River che vogliono attuare un piano impossibile: distruggere Mister Hunger, persona del capitalismo più sfrenato,  che letteralmente tradotto significa Signor Fame. Un’impresa utopica che molte vite travolge. E Mister Hunger sempre ricompare. Oltre il romanzo, bisogna allora cercare di conoscerlo meglio: per capire se il farlo volare in aria, come l’Eta fece con Carrero Blanco, sia cosa inutile oppure serva. Conoscere la geografia della fame, la sua portata storica, il suo devastante allargamento, la sua finora invincibile metastasi. In questo percorso di conoscenza ci aiuta la tradizione sarda dove esiste un personaggio chiamato Mastru Juanne. È la nominazione della fame. Diverse le ipotesi di provenienza di questo nome. C’è chi dice sia apotropaico, esorcizzante. C’è verità storica in questo ridere della fame per allontanarla. Mastru Juanne fa pensare a Giovanni,  il santo del solstizio di giugno, quando iniziavano a imbiondire le messi: sarebbe venuta carestia se non si esorcizzava il pericolo del fuoco, la mietitura andata a male.   Ma Mastru Juanne è pure uno Zanni, il buffone carnascialesco, imbroglione di tutte le risme, girovago, degenerato Arlecchino e Pulcinella che in quanto a fame questa  divora sempre le loro viscere. E poi c’è quel  “Mastru”, mastro di una ben specificata arte: la fame che affama.  Mastru Juanne come  “don”, appunto Don Giovanni e i suoi “convitati di pietra”,  che scende a patti col diavolo per diffondere il male nel mondo di cui la fame è specifica rappresentazione. Don Giovanni, personaggio infero universalmente conosciuto,  è pure  affamato di sesso. Si adopera per convertire al diavolo anime e corpi. Mastru Juanne, personificazione della fame, è tutto questo. Figura come personaggio nelle narrazioni e di  più in molte  poesie in lingua sarda,  specie di area logudorese e gallurese. Esiste pure un intero poema anonimo: “La canzona di Mastru Juanni” sulla fame in Gallura nell’Ottocento, recuperato da Salvatore Secchi nel 1982. Ancora una volta la poesia satirica cerca di esorcizzare la fame. Ma serve?  Utile allora centrare il discorso sul lavoro dell’ottimo nostro ricercatore Salvatore Tola che su Mastru Juanne è da tempo che fa indagine. Lo insegue pure lui, quasi come gli utopisti rivoluzionari del Marx River. Salvatore Tola antologizza 18 pezzi poetici sulla fame in un bel libro, appunto “Il cavaliere della fame. Mastru Juanne nella poesia sarda e nelle tradizioni popolari”. Il volume, 335 pagine,  introduzione di Paolo Pillonca, è meritoriamente edito dall’ Istituto Superiore Etnografico di Nuoro. I testi sono preceduti da un ampio saggio dello stesso Tola sulla geografia mastrujuannina. Una geografia di diversi paesi della Sardegna del nord, dove appunto c’è stata  lunga esperienza di  Mastru Juanne. La narrazione poetica si fa pure indagine antropologica. Il personaggio Mastru Juanne  è lanzo, lacero, di brutta figura, vestito di sacco, a volte gli si vedono sos pendulones, le vergogne. Quando entra lui nei paesi e nelle case è segno che ci sarà carestia, che non ci sarà pane, neppure nero.  Salvatore Tola ricorre spesso alla comparazione con gli studi di Piero Camporesi, massimo conoscitore della fame e della sua presenza specie nella zona padana, specie nel lungo Medioevo che il pane fu “selvaggio”:  assente per la bocca  e immaginato per lo stomaco da masse di persone. Pane che non poteva essere realmente consumato e mangiato. Appunto un convitato di pietra.  Il Mastru Juanne dei poeti sardi proviene a livello inconscio da una dimensione di perenne fame, un desiderio inappagato che diventa furore ed inedia, vagabondaggio alla cerca di un qualcosa da buttare dentro lo stomaco, qualsiasi cosa. Ma così come per i rivoluzionari di “Sepultas”  è impossibile distruggere Mister Hunger, c’è impossibilità in molta storia dei sardi: impossibilità a mangiare bene, a mangiare solo per mangiare. E una lunga condanna a essere mangiati dalla fame. Mastru Juanne indossa la maschera di una vasta assenza. Non divora mai lui per sé. Ci gode nel vedere i poveri e i miseri divorati dalla sua presenza mascherata da assenza.Lui si materializza come  cattiva annata, come semina andata a male, nelle tasse esose, nei  loro portatori ed esecutori.  Specie nella Sardegna del Settecento e dell’Ottocento, Mastru Juanne è perfettamente diabolico. Si realizza nell’esercizio del male, nella sua ripetizione, nel suo devastante allargamento.  A volte si maschera da Maimone-Mamuthone di nero vestito o dipinto. Si muove da solo. Somiglia a un re di burla, Giolzi, o don Conte. Ma “quando torna” è perché con “le chiavi di maggio ed aprile si è fatto un lungo fucile tutto caricato a pallottole d’appetito”. Inestinguibile fame in una perenne e globale “terra senza pane”. Ritorna ancora e sempre a capo di birri, scortato da dragoni o altra lanzichenecca soldataglia. Altre volte è ammogliato con Segnora  Carestia che magari gli ha generato come diletta figliolanza Calamidade e Miseria oppure, sempre in coppia, Bisonzu e Famineriu. La nominazione della fame in sardo può essere al femminile, sa gana, ma pure su famine, al maschile. Ridere della fame per esorcizzarla, questo il refrain. Ma il  Mastru Juanne di Tola e dei poeti da lui antologizzati è sempre una rifrazione,  una moltiplicazione di evocazioni e di fatti, le grandi carestie del 1780, 1812, sino ad arrivare alle porte della nostra modernità, la fame del 1943. Un continuo andare e tornare in Sardegna e altre parti del  mondo, specie di area occidentale: questo Mastru Juanne che richiama il romanzo dei picari del Seicento ma pure la terribile esperienza di Auschwitz dove la condanna a morire ignominiosamente di fame era una norma. Terribile regola. Mastru Juanne non conserva più nessun tratto comico-grottesco. Si fa rappresentazione globale del terrore e dell’orrore. Mica è morto. Nessuno è riuscito finora ad ucciderlo. Neppure i poeti che hanno cercato di esorcizzarlo. Mastru Juanne si sposta continuamente in tanti sud del mondo. “El ambre antigua de Europa, ambre como la cola de un planeta mortal,  poblaba el buque”: così Neruda nel suo Canto general. La fame antica dell’Europa, coda di un pianeta mortifero, affollava il ventre delle navi. Erano le  “barbas y garras”, brutti ceffi arruolati da Cortes per la conquista del Nuovo Mondo appena scoperto da Colombo.  Fuggivano dalla fame. Li spingeva la bramosia della conquista, la cupidigia dell’oro. Molta altra fame avrebbero portato. Erano tanti Mastru Juanne. Bisogna conoscere anche questo retaggio antico per comprendere se sarà possibile distruggerlo. Basti pensare a un dato di fatto: in Sardegna le canzoni contro Mastru Juanne furono proibite e censurate dal potere temporale ed ecclesiatico. Natalino Piras

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI