Opg. La tortura continua
1 Aprile 2013Roberto Loddo
Il governo ha approvato la proroga alla chiusura degli OPG fino al 1 Aprile 2014. Le regioni hanno tempo fino a questa data per costruire manicomi o attuare quello che “Stop Opg” chiede da tempo: i finanziamenti destinati alla costruzione di nuove strutture vadano ai dipartimenti di salute mentale per potenziare i progetti terapeutici personalizzati alternativi all’internamento.
La preoccupazione per la proroga sulla chiusura degli Opg non deve far dimenticare alcuni aspetti importanti della lotta per l’abolizione. Durante i primi anni dell’applicazione della legge 180 (che non intervenne nell’abolizione degli Opg, perché erano sotto il controllo del ministero di grazia e giustizia) ci fu comunque l’avvio di un modo diverso di guardare le persone che vivevano l’esperienza della sofferenza mentale e che avevano commesso un reato. Non solo tra gli operatori della salute mentale ma anche tra gli operatori della giustizia. A partire da quelle realtà territoriali che avevano avviato processi di deistituzionalizzazione, il movimento che volle rovesciare le pratiche di segregazione e abolire i manicomi, intervenne direttamente presso i giudici e insieme ai giudici, perché queste persone rimanessero nel proprio territorio per essere curate e non venissero imprigionate negli Opg, anche per episodi banali e reati bagatellari.
Se ci dimentichiamo questo non comprendiamo come mai oggi esistano regioni dove le persone non vengono internate negli Opg e vengono curate nel proprio territorio, e altre regioni, come la Sardegna, che hanno oltre 50 internati lontani dalle loro famiglie e dai loro territori. Non è corretto affermare che dopo la proroga queste persone verranno dimenticate da tutti. Queste persone verranno dimenticate dalle stesse regioni e dagli stessi dipartimenti di salute mentale che continuano a non considerare le sentenze della corte costituzionale e a considerare come soluzione prioritaria il “dove mettere queste persone” piuttosto che “cosa fare per queste persone”.
Il comitato sardo “Stop Opg” da Maggio 2011 è impegnato in campagne di sensibilizzazione alla presa in carico delle cittadine e dei cittadini sardi internati con i Dipartimenti di Salute Mentale e la Regione Sardegna. Presa in carico che può avvenire solo attraverso i progetti individualizzati di cura e di reinserimento nella società. Il comitato ha richiesto più volte un momento di confronto con la giunta regionale, non solo per riportare a casa queste persone ed evitare ogni ipotesi di costruzione di manicomi regionali, ma anche per conoscere quale idea di salute mentale e di organizzazione dei servizi vuole attivare la giunta regionale e l’assessorato alla salute. Nessuna delle associazioni aderenti al comitato sardo è riuscita ad ottenere una risposta alla richiesta di tavolo tecnico di confronto. La condivisione delle scelte e degli indirizzi che la giunta di destra attiva nella salute mentale avviene solo attraverso i comunicati stampa e le conferenze stampa. E le scelte che ci troviamo di fronte evidenziano un ritorno indietro, nel passato alle concezioni obsolete e superate della salute mentale.
Queste scelte rischiano di venire applicate dalle nuove linee d’indirizzo per la tutela della salute mentale in Sardegna che non parlano di piani terapeutici riabilitativi individuali, ne di diritto alla guarigione, ma solo di malattie e di strutture. Nel capitolo dedicato agli Opg si descrive in maniera chiara la volontà e la necessità dell’apertura di una struttura di cura e di custodia dove continuare l’esecuzione delle misure di sicurezza. Un manicomio.
A metà dicembre, dopo numerose iniziative di lotta e di denuncia, dopo il mese dei diritti umani (un mese di mobilitazione per la difesa e il riconoscimento di tutti i diritti umani e civili connessi con la lotta per l’abolizione degli Opg, organizzati da oltre trenta organizzazioni del mondo del lavoro, della conoscenza e della cultura, che hanno aderito agli appelli di Stop Opg), l’assessore finalmente convoca il comitato. Una convocazione, che doveva, almeno nelle intenzioni, attivare un tavolo di confronto tecnico sulle linee guida regionali della salute mentale e sulla presa in carico dei cittadini internati. A distanza di quattro mesi da questo incontro, oltre al silenzio delle istituzioni sarde, ci ritroviamo tra le mani solo un decreto con cui il governo ha rinviato il termine di attuazione delle norme sugli OPG. Eppure nel decreto è precisato che i programmi regionali devono favorire le misure alternative all’internamento e la realizzazione dei percorsi terapeutico riabilitativi potenziando i servizi di salute mentale sul territorio.
La responsabilità non è solo delle regioni. Se non modifichiamo quel residuo di regime fascista rappresentato dal codice rocco e dai suoi articoli 88 e 89 che associano la follia all’incapacità di intendere e di volere e alla pericolosità sociale, possiamo anche cambiare il nome agli attuali sei Opg, ma queste persone continueranno ad essere imprigionate. Se anche questo nuovo parlamento riuscisse a riformare il codice rocco, se si riuscisse ad impedire nuovi internamenti, e ad attuare le dimissioni senza indugio, rimane il problema urgente e drammatico dell’ingiustizia e della crudeltà del sistema dell’esecuzione penale nelle carceri. Come verranno trattate le persone sofferenti mentali dentro le galere?
E non basta più dare un volto e un nome alle vittime di questo apartheid della sofferenza mentale. Questi corpi ammassati senza dignità potranno anche ritrovare il proprio volto, il proprio nome e la propria identità ma continueranno ad avere negata la possibilità di reinserimento nella società e il diritto alla guarigione. Per queste ragioni il comitato Stop Opg deve riprendere la campagna “Un volto e un nome”. Ma non solo degli internati. Vogliamo conoscere il volto e il nome di tutti i servizi di salute mentale territoriali che non attivano percorsi orientati alla ripresa e che praticano ancora la contenzione, chiudendo le porte nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura. Vogliamo conoscere il volto e il nome di tutti coloro che si oppongono alla cultura e alle pratiche del cambiamento.
1 Aprile 2013 alle 01:44
“Come verranno trattate le persone sofferenti mentali dentro le galere?” sofferenti mentali? il carcere il mamicomio sono uguali istituzioni totali.qualcuno del manicomio prima era in orfanotrofio, spesso il contrario. ed è così, di più oggi.siamo sofferenti mentali perchè è umano. non è malattia.
pochi secondi fa