Un diluvio: 18 milioni di NO
6 Dicembre 2016Ottavio Olita
“Credevo che piovesse, non che diluviasse”: è un proverbio umbro entrato nel linguaggio dalla politica italiana – per sconfitte o vittorie, a seconda dei casi – fin dal 1948 grazie all’importante esponente democristiano Attilio Piccioni.
Il diluvio che ha spazzato via la cosiddetta ‘riforma costituzionale’ è rappresentato da questi numeri: 18 milioni di NO, contro 12 milioni di SI’, vale a dire il 50 per cento in più: il 60% contro il 40%; in Sardegna addirittura il 72,2%; a Cagliari un dato intorno al 74%, così come ad Oristano. E queste incontrovertibili percentuali fanno riferimento ad una massiccia partecipazione popolare al voto, per di più per un referendum per il quale non era previsto un quorum: il 68,4% degli aventi diritto.
E’ proprio questo il dato su cui riflettere maggiormente. Gli italiani delle massicce astensioni, della stanchezza, delle delusioni, dell’incertezza sul futuro hanno invece voluto affermare con forza la loro fiducia nella democrazia e nella Carta Costituzionale che la garantisce. Sono stati soprattutto i giovani a fare questa scelta: circa l’80% dei ragazzi al di sotto dei 28 anni ha votato NO, tanti dei quali hanno urlato nei cortei e nelle piazze ‘Non in mio nome’.
Chi avrà ancora il coraggio di dire che è la vittoria della ‘conservazione’ contro il ‘cambiamento’?
La battaglia del Comitato per il NO costituito da ANPI, ARCI, CGIL ed altre associazioni di base è stata condotta contro il tentativo di rottamare la Carta fondamentale della Repubblica Democratica e Parlamentare per dare il potere in mano al governo e al suo capo.
Gli italiani hanno capito che si trattava di bocciare l’idea, periodicamente rispolverata, di affidarsi all’Uomo della Provvidenza, all’Uomo Solo al Comando, alla limitazione dei propri diritti, per privilegiare una fantomatica ‘stabilità’ la cui assenza è stata scaricata dal Presidente del Consiglio, dalla sua Ministra delle Riforme e da talune forze politiche sulla Costituzione, invece di assumersene la responsabilità.
Certo, ora assisteremo alla corsa di alcuni Partiti ad appropriarsi della vittoria che invece appartiene esclusivamente al popolo italiano. I lembi della giacca di Mattarella saranno tirati da una parte e dall’altra, ma di chi è la colpa di tutto questo? Solo ed esclusivamente di Renzi e della personalizzazione di un tema che invece riguardava la democrazia italiana, non il suo personale futuro politico. La coorte di lacché che lo ha sostenuto ha fatto il resto, così come è insopportabile l’atteggiamento di quanti, di fronte ad un documento così pericoloso per le sorti della democrazia parlamentare, hanno preferito non prendere posizione, aspettando, magari, di salire oggi sul carro dei nuovi vincitori.
Tutti questi, se non vogliono definitivamente uscire di scena, che la smettano di parlare di ‘ondata populista’. Se il ‘popolo è sovrano’ lo è sempre, anche quando prende direzioni proprie, diverse da quelle sognate dall’establishment di turno.
In questo scenario si staglia nettamente la Sardegna: è stata la regione d’Italia nella quale, percentualmente, si è avuta la più alta adesione al NO.
Ben il 72,2% ha scelto una strada diversa da quella indicata dai governanti regionali. Governanti che hanno preferito guardare al loro partito politico, piuttosto che agli interessi dei sardi. Come si poteva accettare lo stravolgimento dell’articolo 117? Come si poteva far finta di nulla di fronte alla nefasta clausola della ‘Supremazia?’ Come si potevano giudicare credibili le assicurazioni dell’eternamente sorridente Maria Elena Boschi, contraddette da quello che c’era scritto nel testo da lei stessa proposto? (E a Cagliari il NO si è attestato sul 69,71%)
Tutti scenari negativi, dunque? No, tutt’altro. I lunghissimi mesi della campagna referendaria combattuta dal Presidente del Consiglio, dal Governo e dalla sua maggioranza a suon di slogans e con una insopportabile sovraesposizione mediatica – senza che mai siano intervenute le cosiddette autorità di garanzia – hanno consentito ai comitati per il NO sparsi in tutta Italia di ritrovare i cittadini.
Centinaia e centinaia di incontri, confronti, dibattiti hanno riproposto una partecipazione alla vita collettiva che negli ultimi trent’anni è stata progressivamente cancellata dalle forze politiche le quali hanno preferito i salotti – televisivi o alto borghesi -, i ‘vertici’ con i padroni del vapore, i Marchionne piuttosto che i Landini, le Camusso, i dirigenti sindacali regionali.
Questa grande, spontanea e umanissima mobilitazione non va dispersa. I Comitati – che dovranno inventarsi un nuovo nome – devono riuscire a dare continuità a questa voglia di discussione e di passione politica che si è risvegliata nel Paese. Anche per evitare che a qualcun altro venga ancora una volta l’idea di individuare un qualche Uomo della Provvidenza.
Figura alla quale qualche settimana fa, scrivendo del clima che si respirava nella battaglia referendaria, avevo voluto dare un avvertimento, citando un autore toscano, Andrea Casotti, che in una sua opera del 1734, ‘La Celidonia’, scrisse: Chi troppo in alto sal/Cade sovente precipitevolissimevolmente.