In questo mondo libero

16 Ottobre 2007

Manuela Scroccu

La globalizzazione, le ferree regole della competizione internazionale hanno imposto la creazione di una nuova organizzazione del lavoro in cui il lavoratore viene scambiato, acquistato, ceduto con la stessa facilità e rapidità con la quale si scambia, acquista, cede un pezzo di ricambio: solo quando serve. Lavoratori come merce: niente di più, niente di meno.
L’ultimo film di Ken Loach, dal titolo evocativo, In questo mondo libero, è un’amara riflessione sui costi di questo modello organizzativo. Il regista inglese punta il suo sguardo sulle grigie periferie londinesi per raccontare la crisi della sicurezza del lavoro, la realtà delle agenzie di lavoro temporaneo e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati: manovalanza a basso costo, senza voce e senza diritti. E sceglie un punto di vista differente, non quello delle vittime ma quello del carnefice.
In questa storia, però, lo sfruttatore non è un bieco capitalista senza volto, non è la multinazionale invincibile che impone le regole della globalizzazione.
Angie è una bella ragazza trentenne, madre single con figlio a carico. Licenziata da un’agenzia di lavoro interinale, usa le proprie capacità organizzative per sfruttare in prima persona il commercio dei lavoratori. All’inizio la protagonista si muove sul filo dell’ambiguità, cerca di non varcare i limiti, di mantenersi quantomeno nell’ambito della legalità. Ben presto, però, attratta da prospettive di guadagno sempre più elevate, abbandona ogni scrupolo morale e organizza un vero e proprio traffico di clandestini da impiegare in fabbriche compiacenti e desiderose di mettere le mani su una forza lavoro malleabile e sfruttabile perché disperata.
In fondo è ormai una certezza consolidata, quasi più messa in discussione, che la spregiudicatezza imprenditoriale e il profitto ad ogni costo siano valori essenziali nel mercato mondiale. Non si plaude forse, ormai quasi all’unanimità, alla competizione spietata come valore, all’idea che tutto sia monetizzabile? Angie fa quello che vede fare: massimizza i profitti, allieva inconsapevole di economisti e politici osannati, anche a sinistra, come grandi innovatori. Accetta i soldi sporchi che derivano dallo sfruttamento dei lavoratori senza nome e senza diritti. Una sterlina dopo l’altra, una piccola fortuna. E’ così che va in questo mondo libero. “Tutti lo fanno”, così si difende Angie dalle accuse del padre, esponente di un mondo ormai vecchio e stanco, fiaccato dal thatcherismo degli anni ottanta e a cui gli anni novanta hanno ormai dato il colpo di grazia, che la rimprovera di essere una sfruttatrice.
Ken Loach ci racconta cosa succede quando saltano le regole della convivenza, quando i principi fondamentali che tutelano la dignità umana diventano negoziabili, quando la logica del profitto invade la vita quotidiana e i rapporti personali. Ed è un pugno nello stomaco.
Perché Angie siamo noi. Potremmo essere noi questa trentenne single, ragazza madre, di classe medio bassa, che ha ricevuto qualche colpo basso dalla vita e ha capito ben presto i meccanismi di questa società, appena in tempo per non esserne stritolata. Appena in tempo ma ancora sul ciglio del baratro dove, per non cadere, comincia a scaraventare gli altri, i più deboli. Senza rimpianti, senza rimorsi. I legami sociali, la solidarietà di classe…tutto dissolto. Ognuno è solo.
Uno sguardo lucido e mai consolatorio sul deserto dei valori che l’applicazione di un liberismo senza regole ha creato in questi anni. Il mondo libero del titolo rimanda ad una realtà in cui è lecito varcare ogni limite dell’etica e della moralità in nome del profitto. Una società dominata dalla legge del più forte, dall’egoismo e dall’ambizione ad ogni costo. Idee cancerogene le cui metastasi si sono ormai diffuse e ramificate dalle banche e dai consigli di amministrazione, dove un tempo erano confinate, fino a raggiungere la società intera, arrivando a modificare i rapporti tra le persone.
Ecco cosa siamo diventati. Ken Loach non concede a chi guarda neanche l’illusione di un finale rassicurante. Con questo “mondo libero” non si scende a patti, si combatte. Se vogliamo salvarci.

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