Meridiana zero
16 Novembre 2008Gianni Loy
L’ultimo lettore, un lettore che spesso contribuisce alle riflessioni che passano da queste pagine, osserva che, secondo i governanti nostrani: “l’occupazione deve essere lasciata al libero mercato”. E trova ciò riprovevole, tanto da ammonire che, in America, la gente incazzata nera, vorrebbe vedere i banchieri impiccati ed appesi ai ponti. Quella sua ultima osservazione suggerisce una domanda. Cosa si aspetta quella gente, da quel simbolico rituale di soppressione dei banchieri? Ne avrebbe qualche beneficio immediato? Vorrebbe aprire la strada ad un sistema economico alternativo a quello del capitalismo? Oppure intende solo consumare una vendetta per poi rituffarsi nei riti quotidiani dell’unico sistema economico oggi applicato su scala mondiale? Non credo che il PIL ci importi molto, poiché non è certo sinonimo di benessere. Né temiamo la decrescita economica, che non è sinonimo di nuove povertà. Ci importano, assai più, l’occupazione e la “giusta mercede agli operai”. Gli sbalzi del petrolio ed i sobbalzi in borsa mi lasciano indifferente. Credo, anzi, che in questa pazza altalena vi sia chi continua ad arricchirsi imperterrito alle spalle di chi, inebriato dalle lusinghe di una finanza creativa, ha affidato alla borsa i propri risparmi e le proprie speranze. Intanto, però, la disoccupazione e la perdita del potere di acquisto si ripropongono in termini più allarmati che nel passato. Che fare? Quanto all’analisi, c’è poco da aggiungere. Era già tutto scritto. Un amico, in questi giorni di passione, ha ricordato un vecchio aforisma tratto dai Nuovi principi di Economia politica del Sismondi, siamo nel 1819, che ammonisce circa il fatto che le nazioni non si arricchiscono “quando il ricco guadagna soltanto ciò che perde il povero, quando il profitto del commercio non è altro che la diminuzione del salario”. E’ storia di due secoli e sembra attualità: che altro è se non arricchimento a spese dei più poveri questa ossessionante rincorsa all’abbattimento del costo del lavoro, che seppur paludato dal riferimento ai costi indiretti, comporta sempre una riduzione del salario e quindi un abbassamento delle condizioni di vita dei salariati. Ci renderemo conto, tra non molto, di cosa abbia significato l’operazione Alitalia. Utilizzando una terminologia assai in voga qualche anno fa, la potremmo definire “la madre di tutte le vertenze”, per il padronato, naturalmente, perché ha introdotto un modo nuovo e ricattatorio di condurre le vertenze sindacali, un vero e proprio modello, un archetipo per tutte le future vertenze. Gli effetti cominciano ad osservarsi. L’altro giorno, Meridiana ha annunciato l’avvio della mobilità per 150 dipendenti. Ma leggiamo la motivazione, così come la riportano i giornali: a causa del fallimento delle trattative per importare in Meridiana il modello contrattuale di Cai! Cioè il sistema di drastica riduzione del costo del lavoro, e dei salari recentemente introdotto nel sistema delle relazioni industriali del nostro paese. Altri 150 lavoratori in più rispetto alle centinaia che sono sul filo della perdita del posto del lavoro, in Sardegna, ed a tanti altri nel sud d’Italia. Che fare? Cioè che faremmo noi, giustamente critici verso un modello di sviluppo che determina, in continuazione, drammi ed ingiustizie che, non di rado, portano alla perdita del posto di lavoro ed a lunghi periodi di disoccupazione? Potremmo imporre a Meridiana di non ridurre il numero di voli o di continuare a pagare personale che non potrà utilizzare a causa di tale riduzione dell’operatività? O imporre ad una azienda di non trasferirsi con armi e burattini in paesi dove potrà beneficare di migliori condizioni fiscali, o più facilità di inquinare, o dove potrà più che dimezzare il costo del lavoro? Sinchè operiamo in un sistema capitalistico, in altri termini, non si potrà evitare che l’occupazione sia governata dal libero mercato. Il governo potrà orientare il mercato, favorire scelte, creare le opportunità e le infrastrutture necessarie allo sviluppo. Ma potrà mai stabilire le scelte interne di ciascuna impresa, i suoi assetti organizzativi, le risorse di personale necessario? L’intervento a sostegno delle imprese, peraltro verso, è spesso incompatibile con la normativa che anche l’Italia, con la sua adesione all’Unione europea, si è data. Non si possono aiutare le imprese in crisi, salvo i casi, limitati, concessi dalla Unione europea, per non distorcere il principio della libera concorrenza. Quanti esempi soltanto da noi, dalle quote latte, alla “legge 28”, agli incentivi per il contratto di formazione e lavoro. In definitiva, penso che una delle attività che maggiormente impegnino Stato e Regioni, in questi anni, sia quello di escogitare escamotages per “eludere” le norme dell’Unione europea che vietano l’intervento diretto delle amministrazioni pubbliche a sostegno delle imprese nazionali. E’ di ieri la notizia che la Corte di Giustizia europea ha ritenuto illegittima persino la differente età prevista per il pensionamento tra le donne (60 anni) e gli uomini (65). Decisione che, se ben si riflette, potrà determinare conseguenze anche significative sotto il profilo dell’occupazione se, ad esempio, si produrrà una maggiore permanenza delle donne nel mercato del lavoro rispetto ad una (attuale) possibile uscita anticipata. Ci siamo legati le mani con l’adesione all’Unione europea? Non so. Vero è che l’Europa ci fornisce, per altro verso, risorse indispensabili per evitare la chiusura di altre imprese, cioè di conservare occupazione in altri campi, magari a danno dei paesi del sud del mondo. O pensiamo che le performances di alcuni altri nostri prodotti siano il frutto della abilità delle nostre imprese piuttosto che l’effetto dei contributi? Penso, anzi, che a fronte di una parte di imprese “sane”, siano numerose, in Sardegna, quelle che si garantiscono i profitti, principalmente, grazie agli incentivi ed agli aiuti di vario tipo. Vi è poi la strada degli ammortizzatori sociali. Occorre garantire sostegno al reddito ed opportunità di reinserimento lavorativo a quanti perdano il proprio posto di lavoro. Qui, la critica dev’essere ancor più serrata. Il sistema non regge. Soprattutto altro non produce se non un temporaneo ombrello protettivo a livello economico. Ma, in questo caso, i poteri dei governi locali possono essere più incisivi, a partire dalla una effettiva valorizzazione degli strumenti di intervento nel mercato del lavoro, la formazione professionale, l’orientamento, la formazione continua. L’ostacolo principale, in definitiva, è di carattere culturale. Credo che il pubblico debba assumersi, direttamente, la gestione dei servizi essenziali. Mi turba, persino, il pensiero che in caso di incidente la mia vita dovrà esser affidata a “volontari”, più o meno angeli, perché il sistema di sicurezza sociale (welfare per gli italiofoni) non prevede che il sistema sanitario nazionale gestisca i mezzi per il trasporto degli ammalati ai luoghi di cura. Credo che il pubblico possa essere efficiente quanto e più del privato, Mentre ci hanno ormai narcotizzato con l’idea che solo il privato sia sinonimo di efficienza e di produttività. Che fare? Si potrebbero assumere nel pubblico i lavoratori provenienti dalle imprese in crisi. Abbiamo lunghe esperienze ed alcune sono in corso. E’ una soluzione? E sino a quanto. E con quale, successiva, gestione del pubblico? La verità è che, a dirla così in generale, risposta non c’è. O almeno non la conosco e preferisco non andare a tentoni. Ma poiché non si può neppure evitare il tema, allora propongo di ripartire dalla domanda iniziale. Però rovesciando la costruzione della frase. Cosa significa sottrarre l’occupazione al libero mercato. Ed in che modo si potrebbe fare? Compatibilmente con le regole dell’attuale economia globalizzata o rovesciandola? E come? Parliamone. O no?
20 Novembre 2008 alle 17:37
Gianni
Alcuni esempi:
-il governo,anzi i governi hanno deciso di salvare le banche con i soldi dei contribuenti. Ognuno di noi contribuira’ a salvare le banche dando loro la possibilita’ di riorganizzarsi per continuare ad imbrogliarci, giusto?
Se una piccola azienda si trova in crisi e si rivolge alla banca per chiedere un prestito,la risposta e no.C’è Basilea 2 rispondono.Ricordi la Cirio Parmalat.lo Ior, banche fallite,Telecom e ora l’Alitalia?
Chiedi agli artigiani, agli agricoltori, ai pastori, ai piccoli commercianti,ai risparmiatori truffati dove vorrebbero vedere appesi i banchieri e i mercanti di bond.
-“Ogni punto percentuale in piu’del costo del cibo corrisponde a 16 milioni di nuovi affamati.Nel 2007 i prezzi sono aumetati del 55%.Jean Ziegler,relatore speciale dell’onu per il diritto al cibo,ha sostenuto che gli aumenti del prezzo del grano,mais,riso e soia stanno spingendo verso un omicidio di massa i paesi poveri.Che la produzione del bio carburante-che è un obiettivo dell’Unione Europea aliena terreni alla produzione alimentare-è un crimine contro l’umanita”.
– Seguiamo cosa succede in Italia sulla scuola,sul lavoro,sulla contrattazione ,sul precariato.
– Quante guerre ancora,quante centrali nucleari e quanta distruzione dell’ambiente e quanti morti sul lavoro richiede ancora il libero mercato?
Che il capitalismo fallisse miseramente era stato gia’ previsto dal vecchio Marx.
A che servono gli Stati se è il libero mercato a governare l’economia?