17 Aprile e oltre
16 Marzo 2016Daniele Barbieri
A un mese dal voto riflessioni di un vecchio “estremista” intorno a un referendum, anzi due, alla famosa frase «’so tutti eguali, è la casta» e a Settis che dice «ma a che serve votare?»… Rigirandomi nel letto, anzi più che altro strisciandoci (dolori a un ginocchio, schiena, crampi … insomma quasi come Attilio Regolo nella famosa botte) si affollano nella mia capoccia strani pensieri, da vecchio militante o forse solo da “vecchietto”.
Pensavo. Il 17 aprile servirà votare – un convinto sì – al referendum? In generale è utile andare alle urne? Lunedì 14 marzo «Il fatto quotidiano» intervista Salvatore Settis e titola così: «Ma a che serve votare?» con un occhiello chiarissimo e desolante: «Riforme, Costituzione, acqua: i cittadini dicono una cosa, il governo la ribalta». Mi presento per chi non mi conosce: sono, dalla più tenera età, un extraparlamentare convinto, come molte/i della mia generazione: facemmo “il Sessantotto” e lui, l’onda lunga, di quell’anno “ci fece” ovvero ci formò a una visione critica del mondo, ci abituò a indagare dietro le cortine fumogene.
Extraparlamentare in che senso? Intendo dire che in una democrazia “classica” – “borghese” se preferite – contano i rapporti di forza fuori dalle istituzioni, l’economia e il lavoro prima di tutto, e dunque sarebbe un’illusione dare troppo peso al voto e/o a ciò che accade nelle istituzioni; chi vuole dare una mano a cambiare la società deve impegnarsi soprattutto altrove, un un lavoro sociale e/o politico e/o culturale fuori dalla “rappresentanza” o forse rappresentazione (cioè spettacolo) che sia. Non per questo mio essere extra-parlamentare convinto e spero coerente, ero/sono incapace di fare distinzioni: spesso il voto significa qualcosa, sia pure come specchio “distorto” dei sunnominati rapporti di forza. Ne derivava tanti anni fa che il Pci era diverso non soltanto perché partito di massa (anche la Dc lo era) ma per molti altri motivi. Aveva un progetto riformista, aveva pratiche abbastanza coerenti con questa sua anima, aveva una base “viva” eccetera. Le contraddizioni attraversavano l’allora Pci al punto che in Parlamento dovette lasciar spazio a molti “indipendenti” che spesso furono… molto a sinistra del partito.
Così ho quasi sempre votato, senza troppa convinzione ma andavo a votare: cercando il meno peggio, dunque quasi mai il Pci ma forze alternative a sinistra, con tutti i loro evidenti limiti… Non mi dilungo su questo, comunque altri tempi. Ribadisco: il Pci non mi è mai piaciuto, ha avuto un mio mezzo voto una sola volta (e ancora me ne pento). Nella storia italiana il Pci si è identificato con la macchina statale e con quella democrazia limitata. Io la vedevo e ancora la vedo come Albert Einstein che diceva, all’incirca: «Una democrazia politica senza democrazia economica è una bufala».
Però riformista il Pci lo era, quello sì. Troppo poco per me e per parte della “mia generazione” che voleva molto di più ma con quelle riforme bisognò fare i conti: tanto per dire il sindaco di Roma, Luigi Petroselli non a caso dimenticato mentre tutti i presunti opinionisti ricordano il suo assessore Renato Nicolini, l’uomo della spettacolare “Estate romana” e teorico dell’effimero. Riformista con limiti. Fu incapace il Pci di anticipare le migliore spinte di radicali e cani sciolti – sull’aborto per dire – e arrancante, costretto a forza quasi, nel seguire l’onda di quelli che si chiameranno “diritti civili” (persino il divorzio non fu accettato a cuor leggero dal Pci, troppo preoccupato del Vaticano). Neppure su questo mi dilungo e forse sbaglio… ma se no questo diventa un libro
Se timide, incerte mutazioni nel “corpaccione” del Pci si avvertirono grazie all’onda lunga del Sessantotto, quando in Italia il movimento si avvita (dopo un agitato ma ricco 77 i gruppi armati conquistano la scena) il gruppo dirigente sceglie – in coerenza con la sua storia – di stare con lo Stato. Senza il minimo dubbio, anche sostenendo leggi speciali che limitarono la democrazia.
Si parla molto oggi – effetto vintage? – dell’onesto Enrico Berlinguer capace di vedere la corruzione e finalmente, con un ritardo di molti decenni, di capire/dire che in Urss si era esaurita la spinta propulsiva del socialismo (versione formicaio, aggiungo io) ma senza chiedersi se la spinta propulsiva della democrazia c’era ancora, lui che se n’era uscito con l’idea di un “compromesso storico” dopo il golpe in Cile – non per caso – per poi concludere persino che la Nato non era così malaccio.
Pensieri da “vecchietto” che mi si ripropongono – e che forse ha senso scrivere qui – in vista di un referendum, anzi due perché c’è quello “costituzionale” a ottobre.
Andrò a votare al referendum convinto che sia utile mentre alle elezioni politiche faticherò a trovare un “meno peggio”. A pesare su disastro italiano non è solo il quadro internazionale ma le sinistre da tempo auto-cancellatesi. Restano in Italia movimenti organizzati (quasi solamente a livello locale o settoriale) importanti ma senza la forza per condizionare il quadro della politica “politicante”. Per almeno due motivi. Il primo perché nessuna forza partitica ha intenzione di farsi condizionare; io avevo sperato che i 5 Stelle si liberassero dal “grillo-centrismo” ma così non è andata e dunque poco ci si può contare come sponda. Il secondo motivo perché – come spiegano i/le costituzionalist* – esiste ormai una camicia di ferro di regole europee e di piccoli colpi di Stato (come il pareggio del bilancio) che impediscono quasi su tutto una politica diversa. Si è ben visto in Grecia… E allora? Certo resistenza, ci mancherebbe. Resilienza. Generatività …. per usare due termini abbastanza nuovi ma utili. Però prepariamoci a un lungo periodo scuro e duro. Senza illusioni.
Certo “agire localmente pensare globalmente” come sempre.
Però restano l’urgenza, l’angoscia. Il mio abituale pessottimismo (ho rubato la definizione al palestinese Emile Habibi) si sfalda come un castello di sabbia dopo le ondate che ormai sembrano quasi tsunami.
Voi che mi dite? Vale sempre la pena discutere insieme?
Però … mi sto impegnando ogni giorno – qui in “bottega” e fuori – per informare dei due referendum (un pignolo direbbe: referenda) e portare più gente possibile al voto; tanto più che ieri Renzi ha reso esplicito quel che già si sapeva, lui mira a evitare il quorum… unica speranza di sfangarla.
Faccio bene a impegnarmi? O sono incoerente rispetto a quel che ho scritto sopra? Se vinceremo i due referendum (referenda) servirà a qualcosa? O sarà solo la miserabile soddisfazione del “mazziato” cioè la famosa frase «ce ne hanno date tante ma quante gliene abbiamo dette».
Voi che ne pensate? Se fra qui e ottobre vincessimo i due referendum (referenda) potrebbe essere un buon ricostituente?