Paolo Nori e l’orticaria qualunquista
1 Febbraio 2010Costantino Cossu
«Non mi piace l’espressione “intellettuale di sinistra”. Primo perché la parola intellettuale mi fa venire l’orticaria. E poi perché sinistra, destra, cosa sono ormai? Certo io non sono di destra. Mi definirei piuttosto uno scrittore anarchico». Così Paolo Nori a Jacopo Iacoboni, il giornalista della «Stampa» autore della pagina (intera) che mercoledì 20 gennaio ha aperto la sezione Cultura del quotidiano torinese. Titolo: «Il cuore a sinistra, la penna a destra. Lo scrittore Nori collabora con “Libero”. Il critico Cortellessa lo attacca: “Non si può”». Andrea Cortellessa, al contrario di Nori, non abiura: è di sinistra (scrive sulla «Stampa» ma anche sul «manifesto», come del resto anche Nori, oltre che su «Libero») e per lui un intellettuale di sinistra non dovrebbe lavorare con Belpietro. Processo stalinista contro Nori? Sui giornali si scatena la bagarre. Ne scrivono «Corriere della sera», «Il riformista», «il manifesto», con il gioco di opinioni contrapposte che si usa mettere in campo in simili occasioni. Proviamo invece a vedere la questione stando alle parole di Nori. L’autore di «Bassotuba non c’è» (libro notevole come tanti altri suoi che abbiamo letto e apprezziamo) dice due cose che dovrebbero essere il punto di partenza di ogni ragionamento sul caso. Primo: non si considera un intellettuale, anzi mal sopporta gli intellettuali; secondo, dice che lui non è di sinistra. Quindi, se Nori non è né intellettuale né di sinistra, di che parla Cortellessa? Gli intellettuali di sinistra certo che non devono scrivere su «Libero», Cortellessa ha ragione. Il fatto è che Nori dice di essere né l’una né l’altra cosa, né intellettuale né di sinistra. E con questo il suo caso segnala ben altro rispetto all’oggetto della polemica giornalistica. Dice che negli ultimi decenni si è diffuso un senso comune che considera fastidioso, urticante il pensiero critico (dalla Rivoluzione francese in poi a produrre questo servono gli intellettuali, mai separati rispetto alle tensioni delle società e delle culture che li esprimono, anche quando credono di esserlo e di ciò menano vanto, come Nori quando, sempre alla Stampa, dice: «L’unico rapporto che deve legare scrittori e potere è indifferenza e disprezzo»). E perché, gli scrittori sono senza potere? Il loro ruolo non è frutto di una divisione del lavoro che ha radici sistemiche, è prodotta da un assetto della società che accetta e riconosce differenti e diseguali rapporti di potere, dove c’è chi comanda e chi ubbidisce? Non è un caso che lo stesso senso comune che guarda con fastidio chi pratica ancora forme di pensiero critico che non rinunciano a stabilire criteri di giustizia considera poi non più sussistente il concetto di sinistra: le società «liquide» non sono più attraversate da squilibri di potere sistemici: l’unico squilibrio riconoscibile è quello tra il singolo e un Potere metafisicamente (cioè astoricamente) inteso, un anarchismo d’accatto che molti anarchici autentici sarebbero i primi a rifiutare incazzati. Niente più distinzioni, quindi. E, alla fine, niente più conflitto. Quando si finisce per credere che le società del tardo capitalismo non sono più attraversate da alcuno squilibrio di potere tra gruppi sociali che hanno differenti e diseguali possibilità di accesso alle risorse materiali e simboliche, si può stare da qualsiasi parte, narcisi contenti di cantarsela ciascuno per proprio conto, non importa se accompagnati da coristi razzisti e fascistoidi come quelli di «Libero». Una «cultura» della resa imbellettata di postmodernismo. Niente di strano che questa «cultura» uno come Belpietro decida di usarla. Sul ponte sventola bandiera bianca.
3 Febbraio 2010 alle 15:34
Vedo anch’io questa vicenda come un’ulteriore resa, non di un’ideologia ad un’altra, anche perché Nori dice chiaramente di non riconoscersi più nell’area della sinistra, confusa, secondo lui, con la destra, professandosi addirittura “anarchico”, la vedo come una resa al discernimento di caratteri e caratteristiche delle persone, del pubblico al quale ci si rivolge e dell’ospite che ci apre la propria casa. Prima ancora dei contenuti espressi, colpisce della stampa di destra di questo periodo, dei suoi direttori e dei suoi giornalisti, l’aggressività, l’arroganza, la difficoltà ad instaurare con gli interlocutori un confronto di idee che sia razionale e rispettoso dei principi minimi della comunicazione, che dovrebbero sussistere anche quando l’interlocutore è individuato come avversario o antagonista. Potremmo dire che è, innanzitutto, una questione di metodo, se non fosse che il metodo rivela quasi per intero il contenuto. Ragion per cui non è davvero solo questione di destra e di sinistra. E’ la capacità di esprimere e di schierarsi, ancora, al fianco di un sistema di valori che serva da argine alla volontà distruttiva della destra. E allora come ben diceva Marco Bascetta nel suo intervento su “il manifesto” di sabato 23 gennaio “… è proprio in questo narcisismo indifferente e insofferente, e soprattutto nel linguaggio della politica tutta, che si incarna l’attuale «egemonia culturale» della destra…”