300 metri?
16 Novembre 2008
Marcello Madau
Fu una rivoluzione di non poco conto (ne realizzano qualcuna anche i riformisti) quella che Giuseppe Galasso fece nel 1985, innestando nel vecchio nucleo idealistico della legge di tutela 1497/1939 sulla ‘Protezione delle bellezze naturali’ elementi obiettivi costituiti in gran parte da individuazioni morfologiche, altezze e distanze per fiumi, laghi, corsi d’acqua, ghiacciai, monti, vulcani. Apparvero così nel D.L. 312, convertito nello stesso anno nella Legge 431, quei famosi 300 metri dalla linea di costa presenti nella normativa di base attuale, il Codice dei Beni culturali e del paesaggio, all’art. 142, sotto il titolo ‘Aree tutelate per legge’ .
Trecento metri la cui pertinenza agli aspetti tipicamente ambientali e paesaggistici, prima ancora che urbanistici, è stata sottolineata con importanti sentenze dalla Corte Costituzionale.
Si discute ora, con preoccupazione, del rischio che – superate le norme urgenti che portarono alla tutela della linea di costa per ben due chilometri entro l’interno – si possano sacrificare anche i famosi 300 metri mediante l’abrogazione della L.R. 45/1989 e delle successive modificazioni, prevista nella bozza in discussione all’art. 49 della ‘Disciplina per il governo del territorio regionale’.
E’ importante la presenza di misure che si affianchino in modo migliorativo agli assetti della tutela previsti nel codice dei beni culturali e del paesaggio: riteniamo perciò – lo abbiamo chiesto in una lettera aperta ai consiglieri regionali della Sardegna – che sia un grande segno di civiltà che ciò avvenga. Processo migliorativo lecito, come ha indicato la sentenza della Corte Costituzionale respingendo il ricorso posto da Berlusconi contro la famosa ‘norma urgente’ dei due chilometri (sentenza 35/2006) proposta dalla Regione Sardegna.
Ma è anche importante affrontare di nuovo le ragioni profonde di una misura che – se colta unicamente come naturalistica – sarebbe recepita in maniera incompleta.
Le critiche che lamentano ostacoli allo sviluppo e di conseguenza al lavoro vengono sempre avanzate da quel trasversalissimo partito edificatorio, con radici nel pensiero della destra ma una forte sponda nello stesso Partito Democratico, e certamente – ad esclusione di Rifondazione Comunista – negli altri partiti della coalizione di centro-sinistra e nei sindacati.
Si fa evidentemente ancora molta fatica a pensare che uno sviluppo basato sulla conservazione di un’alta qualità ambientale possa creare un lavoro diffuso più ampio, solido e qualificato di quello connesso al modello residenziale e alberghiero direttamente rovesciato sulle coste.
Lavoro che nasce non solo nelle forme del turismo rurale e ‘leggero’ (agriturismo, bed and breakfast, residenzialità nei centri storici, gestione di aree monumentali e ambientali) ma è generato da quell’economia del tipico, delle produzioni alimentari di qualità che rifiutano le modificazioni genetiche in favore di un vero e pulito biologico (ciò è testimoniato dai presidi Slow Food o da scelte comunali come a Berchidda, in provincia di Sassari), che sappiano presentarsi, come di fatto sono, patrimonio culturale ridando fiato e spessore qualitativo alla produzione primaria agro-pastorale ed ai relativi lavori.
E’ questa l’unica ottica in grado di sanare la cosiddetta contraddizione turismo costiero-turismo interno, capace di ricucirla – organizzando filiere economiche e di lavoro qualificato nei territori – in uno spazio coerente dove le relazioni e gli attraversamenti territoriali acquistano un senso.
E’ bene quindi aprire gli occhi sul valore della protezione delle coste (e in generale di tutti i sistemi paesaggistici sensibili e significativi). E’ compito irrinunciabile per una forza e un programma di sinistra bloccare l’assalto ai litorali e al territorio, le lacerazioni che stanno devastando anche le zone interne dove paesaggi culturali significativi e identità diffuse vengono ridotte in frantumi: guardate ad esempio come si è trasformato in pochi anni il tratto Olmedo-Alghero dal bivio Uri-Olmedo alla bella città catalana.
Sono qua in discussione elementi teorici e pratici, legati allo sviluppo e al lavoro, di grande rilievo, dove il valore del paesaggio è particolarmente importante e prioritario, ‘prima ancora del lavoro’, perché non dobbiamo più separare il lavoro stesso dalla qualità ambientale.
L’ambiente come creatore di flussi economici significativi, assieme alla gravissima crisi del Pianeta terra, si configura come risorsa produttiva e mezzo di produzione assolutamente centrale, ruolo che non dovrebbe sfuggire a sinistra, almeno negli ambienti più avvertiti e competenti nel cogliere le relative forze del lavoro.
Ma gli aspetti giuridici sono importanti e controversi, e si discute continuamente se prevalgano le norme statali o quelle regionali delegate. Noi crediamo che la pianificazione urbanistica non possa essere pensata sostitutiva di norme più generali, come recita il titolo dell’art. 142, che le elenca. Il richiamo al più volte citato articolo 9 della nostra Costituzione fa di tali norme un complesso che non si esaurisce, sino ad annullarsi, nelle deleghe urbanistiche, ma assume quel grado di tutela ambientale che non può essere contraddetto dagli strumenti regionali di governo del territorio.
Questo spiega i punti di vista ben sostenuti dalla Corte Costituzionale in diverse sentenze (dalla 182/2006 sulla Regione Toscana alle nn. 160 e 232/2008 su Piemonte e Puglia, che ribadiscono che il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali; pronunciamenti che rammentano come la cura della conservazione ambientale e paesaggistica spetti in via esclusiva allo Stato (art. 117 della Costituzione). Ed è interessante capire come la stessa Corte abbia respinto quella del governo Berlusconi contro la ‘norma urgente’ di protezione per due chilometri della fascia costiera (L.R. 2004) emanata dalla Regione Sardegna, migliorativa, e non peggiorativa, delle nome nazionali di tutela.
Ci auguriamo che abbia ancora un senso quanto scritto sempre dalla Corte Costituzionale (sentenza 367/2007) “In buona sostanza, la tutela del paesaggio, che è dettata dalle leggi dello Stato, trova poi la sua espressione nei piani territoriali, a valenza ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle regioni” e dalla recente ‘integrazione’ al Codice (Legge 63_2008), che sottolinea la “potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all’esercizio delle attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sul territorio”.
Speriamo che non si voglia creare una lacerazione grave in tale direzione, irresponsabilmente, proprio nell’ambito di un’esperienza di centro-sinistra.
21 Novembre 2008 alle 12:57
Per capire e per avere piena consapevolezza dei meriti politici delle Giunte del passato rispetto a quella attuale (su cui girano molte leggende metropolitane), va chiarito che nel 1993, con la l.r n. 23, sviluppando la l.r. 1989, n. 45, in Sardegna è stata vincolata a inedificabilità assoluta la fascia costiera dei 300 metri e assoggettati a pianificazione paesaggistica le aree ulteriori fino a 2000 metri; in quest’ultima fascia con abbattimento della cubatura del 50%. Un’operazione colossale, unica in Italia, frutto di governi di sinistra (Giunta M. Melis) e di centrosinistra (c.d. governissimo 1993 – Giunta Cabras). La Galasso invece prevedeva soltanto la pianificazione paesaggistica nei 300 m., una misura importante, ma molto riduttiva rispetto alla nostra attuale legislazione. Il mantenimento della disciplina Galasso dunque costituisce in Sardegna un arretramento rispetto alla disciplina vigente nell’Isola. Questa – tuttavia – oggi è sotto tiro e si richia di fare un passo indietro di vent’anni.
Sarebbe interessante anche andare a fondo sugli effetti dell’impugnazione e del conseguente annullamento dei piani paesaggistici regionali, che – a mio avviso – pur con le migliori intenzioni dei promotori, ha avuto effetti negativii.
21 Novembre 2008 alle 15:00
La Galasso prevedeva vincoli di tipo ambientale, e deleghe urbanistiche, non solo sulle coste, ma su tanti altri elementi territoriali, e peraltro non cancellava, ma manteneva, le possibilità della 1497/1939 (certo, più soggettive che misurabili eppure potenzialmente vastissime: si pensi alle bellezze panoramiche e ai quadri percepibili delle stesse!). Delle vecchie normative qualcuno ricorderà anche le celebri ‘notti dei pennarelli’ per i vari piani e il concetto dell’accordo di programma entro i 500 metri.
Penso anch’io che si stia rischiando, comunque, un vero e grave arretramento, che si potrebbe fare molto di più, che il quadro nazionale non autorizza ad ottimismo.
P.S. Perché la corrente di Cabras, che firmò proprio la L.R. 23/1993, non chiede un conseguente potenziamento dei ‘minimi Galasso’?
21 Novembre 2008 alle 21:39
il prof. Pubusa ha ragione, ma in parte. Le norme di conservazione integrale di cui alla legge regionale n. 23/1993 (art. 2) sono una conquista importantissima, ammirate nel resto d’Italia ed anche all’estero. E la loro perdita costituirebbe uno scandaloso passo indietro. Lo stiamo dicendo in tutte le salse e stiamo facendo una dura battaglia in tal senso insieme al Manifesto Sardo ed al Cagliari Social Forum. Non mi pare però di vedere molte altre prese di posizione, purtroppo. Quanto ai vecchi ed illegittimi piani territoriali paesistici desidero ricordare che – secondo Consiglio di Stato e T.A.R. oltre che secondo noi ricorrenti – erano l’esatto contrario di quello che dovevano essere. Basta dire che accoglievano amorevolmente pressochè tutti i progetti immobiliari allora presentati: dalle dune di Buggerru a quelle di Is Arenas, da Cala Giunco alla lottizzazione abusiva di Piscinnì, dall’ampliamento della Costa Smeralda a Costa Turchese, dalle lottizzazioni – calamità innaturali di Capoterra a Malfatano, a mille altre. L’annullamento dei piani illegittimi ha “riespanso” il vincolo paesaggistico senza più l’indirizzo “perverso” del piano. Pare poco? Visto che la pensa così, perchè comunque il Prof. Pubusa non prende una pubblica posizione a difesa del vincolo di conservazione integrale? Sarebbe un’ottima cosa!
22 Novembre 2008 alle 00:31
Caro Deliperi, io non ho necessità di prendere posizione su questi temi, perché le cose importanti su cui si fonda la tutela ambientale e la democrazia partecipativa in Sardegna, che risalgono tutte al decennio ’84-’94, ho concorso a farle con dure battaglie dentro e fuori il Consiglio regionale. C’è stato un bel dibattito anche dentro il PCI, che però ebbe il coraggio di nominare responsabile regionale ambiente Tonino Dessì, a cui si deve, se non l’intera elaborazione, che era collettiva, certo la stesura di gran parte di quei testi. Noi non dimentichiamo di avere una storia (collettiva) importante alle spalle e di aver avuto un ruolo dirigente – come comunisti – in Sardegna; ruolo che, grazie alla forza di quel partito e a tanti dirigenti (da Cardia, a Raggio, a Cogodi, a Licio Atzeni, a Scano, Cherchi, a E. Sanna, a Francesco Cocco e tantissimi altri) e militanti di quel partito, abbiamo esercitato con qualche risultato. Ricordatevi che fu in quel periodo che candidammo al senato a Cagliari l’allora presidente di Italia nostra Felice Di Gregorio e facemmo la campagna elettorale a Tuvixeddu. Ecco perché noi (vedete anche l’intevento di F. Cocco in questo numero) non ci entusiasmiamo verso chi (vecchi compagni ora oligarchi e oligarchi nuovi di zecca), anziché sviluppare, sta spegnendo la democrazia in Sardegna e stà smontando discipline ancora oggi anticipatrici nel nostro Paese. Abbiamo mantenuto il vizio su democrazia, lavoro, ambiente e diritti di essere esigenti.
22 Novembre 2008 alle 19:01
Caro Deliperi, anche io sono stato militante del Pci, e ho memoria del dibattito che si svolgeva al suo interno su questi temi negli anni ’80, primi ’90. A differenza di Pubusa penso che il partito non fosse interamente orientato ad affermare i principi della tutela paesaggistica, né a Roma né in Sardegna. C’era anzi una forte corrente di “sviluppisti”, ai piani alti, che riusciva a guastare le migliori intenzioni con mediazioni al ribasso inammissibili, sconcertanti per chi immaginava – ingenuamente – che la sinistra su certe cose non dovesse fare sconti. Così è successo in Sardegna che i migliori propositi ( quelli di Luigi Cogodi e di Tonino Dessì) siano stati molto mitigati o addirittura impediti. Sul Master Plan della Costa Smeralda, per fare un esempio, c’era una linea totalmente favorevole a concedere tutto. Basti pensare che i PTP del ’93 sono stati omogeneizzati e adattati alle esigenze di Costa Smeralda e di altre imprese. L’elenco che proponi potrebbe essere integrato e rispecchia la linea politica che ha prevalso: annunciare la tutela ma contraddirla nei fatti, come nella peggiore tradizione. Quei Piani sono stati giustamente annullati e eccoci qui. So che nel PD ci sono compagni che si battono per fare cose buone, ma l’impressione è che la corrente “sviluppista” di allora si sia rafforzata nel frattempo. Altrimenti non si spiegherebbero le troppe titubanze di queste ore a fronte della richiesta forte di tutela del territorio che viene dai sardi.
22 Novembre 2008 alle 20:38
E proprio per quello che dice, prof. Pubusa, è giusto che anche oggi Lei e chiunque abbia a cuore quest’Isola prenda posizione pubblica. Una forte posizione pubblica.
24 Novembre 2008 alle 15:33
Caro Deliperi, non mi sembra che sia solo il Cagliari Social Forum ed il Manifesto Sardo a prendere posizione sulla necessità di mantenere molta rigidità sul vincolo di tutela integrale fino a 300 metri dal mare. Va riconosciuto che il PRC in consiglio regionale ( ma non solo il PRC ) sta facendo una grossa battaglia su questo punto e anche su altri ( vedi..edificazione in zone agricole ecc)
24 Novembre 2008 alle 18:31
Andrea,
c’è qualcosa che non mi torna nel tuo raccontare il passato del PCI di quegli anni. Ricordi gli anni della giunta Melis con grande enfasi. E’ vero in quegli anni nel PCI c’era un dibattito aperto sui temi ambientali. Ma se la memoria non mi tradisce avrei parecchi dubbi nell’affermare che fosse un bel dibattito. Infatti piu’ che nel PCI io ricordo il bel dibattito che c’era tra la gente comune sulle scelte ambientali, allora coraggiose, di Cogodi. Ma dimentichi che quel dibattito dentro il PCI, seppure bello, si chiuse col licenziamento/trasferimento dell’assessore Cogodi dall’urbanistica al Lavoro. Le ragioni di quel licenziamento le conosciamo bene in molti, cosi’ come le conosce Cogodi e parecchi dirigenti del PCI di quel periodo, e anche di questo.Tanto che fu nominato assessore all”urbanistica al posto di Cogodi un certo sig.Merella, Repubblicano, noto ambientalista.
In quegli anni iniziarono le colate di cemento a Baia Chia e dintorni e al nord Sardegna. Ha ragione Roggio. Andrea, questa non è una leggenda metropolitana.
24 Novembre 2008 alle 21:24
Ho fatto riferimento alle associazioni ed ai comitati ambientalisti e culturali. Non alle forze politiche. Rifondazione Comunista e Sinistra Democratica sono i gruppi consiliari più decisi nel difendere le disposizioni di tutela costiera, mentre il Partito Democratico è profondamente diviso fra più fazioni. Per non parlare dei sardisti, dei socialisti, dei gruppi politici centristi e del centro-destra. Però devo ricordare che la difesa delle coste e del territorio è uno dei punti-cardine del programma con cui la coalizione di centro-sinistra ha stravinto le elezioni regionali del 2004. R.C. e S.D. sono coerenti, ma fanno solo il loro dovere verso gli elettori e verso gli obiettivi dichiarati. Certo che risaltano nei confronti di tanti “pavidi” o “indecisi”…
28 Novembre 2008 alle 00:48
Ad Elio. Io ho risposto soltanto a chi (Deliperi) mi chiede di prendere posizione per dirgli che non ho bisogno di farlo per due fondamentali ragioni: la prima perché la mia opinione non conta nulla, come in larga misura la vostra (se almeno avete capito in che mondo stiamo vivendo); la seconda perché quando ho potuto, ho fatto quanto dovevo ed era possibile fare (cone, del resto, voi interlocutori di questo blog). Per questo ho richiamato il dibattito nel PCI, che non fu facile né indolore(è notorio che il PCI, la sinistra, i sindacati non erano ambientalisti (e forse non lo sono ancora). Ma intanto era un dibattito e uno scontro sul che fare, e diede anche grandi risultati, tant’é che, a vent’anni, si campa di ciò che si produsse allora; anzi molti interventi attuali sulla legislazione sono solo modificazioni in pejus.
Nessuno più di me sà che non era tutto rose e fiori e non solo in Gallura. Se ci sarà qualcuno che studierà questa storia minore o meglio racconterà questa cronaca regionale, ricorderà anche che ci fu un momento in cui abbiamo tentato la svolta, opponendo ad Emanuele Sanna un candidato alla segreteria regionale diverso. Ma siamo stati battuti duramente.E la deriva attuale ha avuto in quella sconfitta una delle sue cause. Detto questo, non credo che ci sia dissenso fra noi nella difesa delle coste. Dell’ambiente o di tutto ciò che è difendibile. Che diamine! Ci può essere discussione su come farlo meglio. Ma questo è inevitabile e anche positivo.
30 Novembre 2008 alle 14:38
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