32432 studenti
16 Gennaio 2011Marco Meloni*
32432 studenti, 32432 persone, 32432 cittadini. Potrei stare a lungo a dirvi che il futuro di un paese, di una regione, dipenderà da loro, da noi. Potrei ricordarvi che tra di noi dovrete scegliere il vostro medico, il vostro commercialista, che tra di noi ci sono coloro i quali costruiranno le vostre case, le strade in cui passerete, che scriveranno i testi sui quali vi informerete, che tra di noi c’è chi forse passerà la vita a studiare come risolvere le malattie e i problemi che incontrerete. Potrei anche rimarcare che lo sviluppo e la qualità della vita del nostro paese dipenderanno dalla preparazione professionale e culturale che saremo riusciti a far acquisire alle prossime generazioni di lavoratori cui ho appena fatto riferimento. Potrei, ma forse oggi ricadrei in uno di quegli errori spesso commessi: a rischio non c’è solo un futuro, c’è anche e soprattutto un presente. Il disagio che gli studenti della nostra generazione provano non è solo paura del domani, è disagio dell’oggi. Ed allora è dell’oggi che cercherò di parlare. Oggi, a poco più di 20 giorni dall’approvazione in terza lettura del Senato, a poco più di 10 giorni dalla firma del Presidente Napolitano, la “Riforma Gelmini” è legge. Abbiamo invaso le strade, occupato aule, androni e tetti, abbiamo protestato e resistito. Dentro le aule parlamentari ciò che si è contribuito ad ottenere son stati solo rinvii e piccole modifiche, fuori, nonostante l’indifferenza imperversante, c’è una parte del paese che speriamo abbia iniziato a capire il problema, che non è solo degli studenti di Cagliari, né degli studenti di tutta Italia, ma che è di una generazione e di uno Stato. L’università ed il sapere sono in evidente crisi, economica e strutturale, non siamo noi quelli che vogliono difendere l’università per come è, né siamo così ciechi da attribuire le colpe solo a questo governo, che senza dubbio sta dimostrando una determinazione ed una sfacciataggine nel portare avanti un chiaro progetto di distruzione dell’università pubblica mai visto prima, ma che condivide importanti responsabilità con chi l’ha preceduto e, vi dirò di più, alcune le condivide anche con parte delle componenti delle università stesse, magari anche presenti in questa sala. Entro sei mesi la nostra università cambierà e a farne le spese saranno principalmente gli studenti, poco potrà fare l’unico rappresentante degli studenti nel CDA ad 11 membri, seduto tra privati e grandi direttori, ancor meno potranno i componenti di un Senato consultivo svuotato dei suoi compiti e marginalizzato.Al di là degli spot dei quali ormai si nutre la politica ed il paese, che essa ha generato e subito, nessun barone patirà questa legge, nessun barone ha dormito su un tetto, nessun barone ha consumato le sue scarpe in piazza, però saranno solo gli ordinari ad eleggere il prossimo rettore, nessuno studente, nessun ricercatore e nessun associato, e, se è pur vero che non tutti gli ordinari sono baroni, altrettanto vero è che tutti i baroni sono ordinari. Già da quest’anno buona parte dei ricercatori non tengono lezioni, oggi è per una protesta giusta che capiamo ma di fatto subiamo, domani sarà perché non esisteranno più, loro perdono lavoro e dignità, noi perdiamo un’opportunità, uno di quei pochi percorsi professionali tortuosi ma possibili che avevamo a disposizione e che ora ci vengono preclusi, ma soprattutto perdiamo qualità, di ricerca e di didattica. Sentiamo l’estrema esigenza di competenza e aggiornamento, ciò che distingue un’università da uno sportello informativo e soprattutto la qualità dell’offerta didattica; abbiamo eccellenze ma anche forti carenze, all’ancora insufficiente numero di pubblicazioni e brevetti depositati si accompagnano la scarsa preparazione e la poca disponibilità di troppi professori. Non vogliamo docenti che ripetano libri, vogliamo persone che vivano e sperimentino le materie che insegnano.
Un’altro dei punti più disastrosi di questa legge colpisce il Diritto allo studio: uno dei diritti più cari ai Padri Costituenti viene affidato a società private, le borse di studio passeranno da essere dei soldi che lo stato decide di investire su uno studente, su una persona, per la crescita sua e della comunità, a dei veri e propri prestiti d’onore, sempre meno accessibili a chi ne avrebbe più bisogno. Non avremo un lavoro ma sicuramente avremo dei debiti. A questo panorama si aggiunge poi un taglio netto delle borse di studio che potrebbe arrivare fino al 90% già dal prossimo anno, il che visto nel complesso palesa la chiara intenzione di restringere il sapere a pochi, visto nel particolare invece vuol dire tante famiglie che non potranno mandare i figli all’università, tanti figli ai quali si toglie il Diritto ad avere un futuro. Noi non siamo mai stati contro la meritocrazia, gli studenti anzi sono fra coloro che la chiedono di più e che ne hanno più bisogno, nella loro università come nel mondo del lavoro. Tuttavia il nostro concetto di meritocrazia non può prescindere dalla constatazione delle diversità e dalla tutela per chi è in situazione di svantaggio. L’università non può essere un ippodromo, non deve esserci un traguardo per il miglior ronzino. La nostra meritocrazia è possibilità, è il miglior strumento per dare gli stessi mezzi e gli stessi diritti al figlio del pastore, dell’operaio e del contadino così come al figlio dell’avvocato e del professore, perché possano confrontarsi e meritarsi ciò che vorranno. Torno all’oggi per dire che se è pur vero che la mobilitazione non si fermerà, che batteremo ogni strada per abrogare questa “riforma” e per respingere la visione che questo governo ha della cultura e dell’università, ora, che ci piaccia o no, ciò che ieri era Ddl oggi è legge dello Stato. A questa legge cosiddetta “legge-delega” però mancano più di 70 decreti e più di 500 regolamenti e soprattutto nel frattempo tanto si può ancora fare per attenuarne i risvolti peggiori. L’Ateneo di Cagliari, come gli altri atenei d’Italia è chiamato a darsi nuove regole e nuovi assetti, auspichiamo e chiediamo qui con forza che la nostra università si impegni per attuare un vero e proprio svuotamento della riforma e dei suoi pericoli. Non potremo farlo del tutto, ma abbiamo l’opportunità ed il dovere di fare il possibile. Inoltre possiamo dare un messaggio simbolico e sostanziale: a disinnescare questa bomba distruttiva sia tutto il Senato Allargato e non commissioni ristrette di poco chiara conformazione. Questa sarà la migliore e più incisiva risposta all’attacco alla democrazia negli atenei. Fuor di ogni dubbio, come ho provato a dire sin’ora, tanti problemi, tante difficoltà, arrivano dalle politiche cieche del governo, ma tanto di quel disagio di oggi, ha origine qui in quest’isola, in questa città e nelle amministrazioni locali. Cagliari purtroppo non è una città universitaria, né nelle strutture né nei progetti né nelle idee. 32432 studenti e poco più di 900 posti letto costruiti più di vent’anni fa, 3 mense dislocate lontano dalle facoltà e dalla vita della città, spazi angusti e fatiscenti, carenza di un trasporto pubblico, peraltro costoso e inadatto, nessun progetto per la viabilità studentesca diurna e notturna, carenza di spazi aggregativi riconosciuti, assenza di dialogo e confronto con le pubbliche amministrazioni, sono solo alcuni dei problemi che incidono nella vita degli studenti, che ci rendono svantaggiati rispetto ai nostri colleghi del resto d’Europa, che ledono di fatto il riconoscimento del nostro diritto all’esistenza, quella che si dovrebbe chiamare “cittadinanza studentesca”.
La popolazione degli studenti è un quarto della popolazione della città di Cagliari, è un motore economico indispensabile, una risorsa sociale intrascurabile, un capitale umano prezioso quanto emarginato. Sentiamo la forte esigenza di avere dei servizi dignitosi ma anche la necessità di essere riconosciuti e valorizzati. E’ svilente rendersi conto che in vent’anni non si è mosso nulla in questa direzione, è uno smacco sapere, inoltre, che in questa situazione 9 milioni di euro della Regione sono andati per costruire il Campus di Sant’Efisio e che in esso la diocesi chiede una retta di 600 euro mensili. Serve che di questi temi ce ne si occupi con grande urgenza, serve che ascoltiate gli studenti, serve confronto e dialogo, è un appello affinché si parli con noi; occorre inoltre che l’Università, il Comune, la Regione, l’ERSU e la Provincia si siedano ad un tavolo, cosa che non fanno da tempo memorabile, che smettano di scaricarsi vicendevolmente le responsabilità e affrontino i nostri problemi e che si occupino di costruire e progettare oggi un domani diverso. Concludo continuando a parlare del rapporto tra università e territorio. Siamo coscienti che troppo spesso l’Ateneo si è chiuso nelle proprie aule, vorremo un ateneo più integrato e più sensibile al panorama socio-economico nel quale è inserito, ma che mai accetti di essere schiavo dei privati e dei finanziatori. La privatizzazione spinta dalla “riforma Gelmini” è uno degli aspetti che più ci preoccupa, piuttosto crediamo che l’università possa e abbia il dovere di porsi come faro per la propria comunità. Per fare due esempi: forse l’Università può dare una linea per la progettazione allo sviluppo della nostra Regione, forse si sarebbe potuto affrontare la crisi in maniera diversa; con gli studenti sono scesi in piazza i lavoratori perché oggi più di ieri c’è un filo che fortemente ci lega; forse l’Università potrebbe dare tante motivazioni al Presidente della Regione per dire no a tutti i costi alla costruzione di centrali nucleari nell’isola, né una, ancor meno quattro. Vi lascio con una frase di Paolo Borsellino, lui parlava di Palermo, io la riferisco all’Università: “Non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
* Presidente del Consiglio degli Studenti dell’Università degli Studi di Cagliari