Democrazia partecipazione consenso
16 Maggio 2010Marco Ligas
Nei giorni scorsi si è svolto il congresso della Cgil, un appuntamento importante dove sono stati affrontati i problemi del lavoro, dell’economia del nostro paese e del ruolo del sindacato. Non potevano perciò mancare le analisi, seppure differenziate, sulla crisi del capitalismo, su come questo sistema cerchi di rilanciarsi utilizzando gli stessi ingredienti che lo hanno messo fortemente in difficoltà e come i suoi obiettivi tendano sempre a cancellare i diritti di chi lavora e ad inglobare i sindacati all’interno di un disegno di ristrutturazione: insomma, basta con il riconoscimento dei lavoratori come classe sociale, al più potranno contrattare da soli con il loro padrone sia il salario sia le condizioni generali del lavoro.
Il congresso ha confermato comunque la presenza di due anime all’interno della Cgil e questa differenza è emersa soprattutto quando si è passati dalla fase del dibattito a quella delle decisioni politiche e organizzative. La maggioranza ha posto come priorità la ripresa del dialogo con la Cisl e la Uil sostenendo che non si può stare perennemente all’opposizione; ma la minoranza, soprattutto la Fiom, ha ricordato come non esistano oggi le condizioni per l’unità: il ruolo che verrebbe riservato alla Cgil sarebbe quello di rinunciare ai diritti dei lavoratori in cambio di una presenza all’interno di organismi (le cosiddette commissioni paritarie) dove le decisioni relative ai contratti e alla politica economica verrebbero prese da altri e il sindacato dovrebbe solo ratificarle. La Fiom, pur non negando a priori la possibilità di un’unità d’azione, ha sostenuto che andrebbero definite le regole democratiche relative ai rapporti tra organismi dirigenti e lavoratori e che non può essere escluso il ricorso al referendum, cioè alla consultazione dei lavoratori per l’approvazione delle piattaforme contrattuali.
Su queste modalità la maggioranza non ha accettato compromessi ritenendo preferibile (o male minore) una diaspora pur con una categoria importante come quella dei metalmeccanici piuttosto che un distacco ulteriore dalle altre due organizzazioni sindacali. Non è un caso che Giorgio Cremaschi a conclusione del congresso abbia detto che la linea che è prevalsa all’interno della Cgil è quella di Bonanni, il segretario della Cisl che al convegno della Confindustria ha raccolto apprezzamenti e applausi.
Anche il cambiamento statutario ha provocato un irrigidimento perché si è affidata al solo direttivo confederale la decisione di deliberare su accordi interconfederali, limitando così l’autonomia contrattuale. È una scelta che abbandona la linea assunta nell’ultimo decennio quando le occasioni di unità con gli altri sindacati non escludevano iniziative di lotta condotte dalle singole categorie: insomma un’introduzione del centralismo democratico spesso vituperato ma quando ritenuto utile usato senza timori.
È importante cogliere la filosofia e l’ispirazione presenti nelle conclusioni di questo congresso: la tendenza della sinistra, sia essa sindacale o politica, di tenere sempre più bassi gli orizzonti delle sue prospettive. In realtà quali sono state le motivazioni prevalenti nelle scelte della Cgil? Ne individuo almeno tre: 1) il convincimento che la recessione gravissima che travolge gran parte dell’umanità si possa contenere riducendo le rivendicazioni di chi è più esposto agli effetti della crisi, 2) che per far questo sia necessario unirsi con chi ha obiettivi diversi anche se talvolta coincidenti con quelli di chi ha provocato la crisi, e 3) che si possa seguire questa strada anche al di fuori di un coinvolgimento reale di chi ne paga i contraccolpi. È difficile fare una graduatoria tra questi tre errori, ma l’ultimo sembra il più pericoloso perché alimenta la formazione di gruppi dirigenti che si ritengono arbitrariamente autoreferenziali e rappresentanti di chi in realtà ha bisogno di ben altre rappresentanze.
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Fra un paio di settimane ci saranno in Sardegna le elezioni amministrative: verranno rinnovati gli 8 consigli provinciali con i rispettivi presidenti e più della metà dei consigli comunali. Parlo di questa scadenza insieme al congresso della Cgil avendo la consapevolezza che si tratta di due avvenimenti di natura diversa. Tuttavia non posso non mettere in evidenza un aspetto comune alle due vicende: le modalità praticate, sia dal sindacato sia dalle formazioni politiche della sinistra, quando coinvolgono le proprie aree sociali nelle scelte che riguardano il futuro delle loro organizzazioni e le aspettative di tanti loro sostenitori. Per la Cgil non è più fondamentale che i contratti, prima della sottoscrizione definitiva tra le parti, vengano approvati dalla maggioranza dei lavoratori. Basta il consenso degli organismi dirigenti, nella presunzione che esprimano comunque le rivendicazioni dei loro iscritti. Per le formazioni politiche del centro sinistra la definizione delle liste dei candidati, qualunque sia la consultazione elettorale, è diventata una prerogativa esclusiva dei gruppi dirigenti (sempre più assimilabili a gruppi di potere). Gli elettori di queste formazioni vengono sistematicamente esclusi dalle fasi decisionali ma invitati, appena le liste vengono presentate, a sostenerle. È il segno di un processo di impoverimento della democrazia che appare inarrestabile. Anche per queste ragioni, pur ritenendo indispensabile l’impegno per contenere l’avanzata del centro destra, risulta difficile promuovere il sostegno per le formazioni del centro sinistra e contrastare il fenomeno dell’astensionismo sempre più diffuso.