Gli italiani sono (diventati) razzisti? (1)
1 Luglio 2008
Giulio Angioni
In Italia e soprattutto fuori d’Italia si ripete oggi la domanda se gli italiani siano razzisti, se lo siano diventati, inopinatamente, in questi ultimi tempi. Credo sia utile prendere sul serio questa questione, per comprenderne aspetti nuovi e inediti. Ma pare anche molto utile riconsiderare, a proposito di un eventuale neorazzismo italiano, che gli italiani continuano a essere normali europei occidentali, forse solo con in più la pretesa di non averne certi difetti, come per esempio il razzismo, che non farebbe parte dell’identità italica, magari sottintendendo così che invece faccia parte di certe altre identità occidentali o di certe epoche della storia della cultura occidentale. Il caso odierno italiano infatti pone il vecchio problema di che cos’è e che ne è, oggi, di ciò che può e deve essere detta identità occidentale, così ovvia da non essere normalmente evocata, tanto essa è forte e disponibile: ma che oggi attizza e arma più che mai e in modi nuovi certi suoi nemici, in primis l’islam più o meno fondamentalista, tanto quanto attizza e arma certi diretti interessati, in senso proprio nel caso serissimo di Bush e in altro senso nei casi nostrani forse meno seri alla Fallaci o alla padana leghista? Si possono individuare vari aspetti caratteristici dell’identità occidentale, nel modo occidentale di sentirsi al mondo, ma si trascura un aspetto essenziale se non si tiene in gran conto una convinzione fondante, ontologica, strutturale e portante di superiorità e di eccellenza di ciò che diciamo Occidente, che si misura con le diversità del “resto del mondo” quasi solo per rafforzarsi. Ora, l’essere e il sentirsi occidentale (euroccidentale, magari anche bianco, quindi civilizzato ed erede del meglio che si è fatto al mondo) e la nozione di resto del mondo sono cose vaghe, geopoliticamente vischiose e anche contradditorie, ma la vaghezza delle idee e dei sentimenti non sono né causa né segno di una loro scarsa forza o di una loro trascurabile importanza, nemmeno quando oggi si tende a cucinare tutto in salse identitarie, storiche, religiose, localistiche e così via banalizzando una cosa serissima anche per questa sua banalizzazione. Il modo occidentale inveterato, e però anche odierno, di percepire il proprio posto nel mondo, ha come uno dei suoi elementi fondanti una solida e proteiforme concezione-sentimento di tipo etnocentrico, o se si vuole di tipo razzista quando diventa violento o quando spiega naturalisticamente la propria superiorità, che inferiorizza i “non occidentali”, in un mondo che tuttavia diventa sempre più occidentale. Il che equivale a dire che nessun occidentale può pensare il mondo senza porre l’Occidente, in quanto elaboratore della civiltà industriale e democratica, in una posizione di eccellenza assoluto e irrelata, e in posizioni di più o meno grande inferiorità assoluta e irrelata tutti gli altri, a seconda della differenza rispetto ai modi di vita occidentali. Da questo punto di vista è importante ma non è la cosa più importante che la superiorità occidentale sia pensata in termini biologici, naturalistici. Il fatto è che questo modo di dare senso al mondo e al modo occidentale di viverci è solido oggi non tanto perché si naturalizzano le diversità storico-culturali, in quanto il sentimento di superiorità degli occidentali poggia sul dato di fatto che l’Occidente è in effetti dominatore del mondo, da ultimo in un’epoca in cui la parte d’Occidente che incarna più fortemente il suo senso di superiorità ha vinto la “guerra fredda”. Questo sentimento è stato negli ultimi decenni tanto tranquillo e tanto mite da non avere avuto quasi mai bisogno di esprimersi in intolleranze non più correnti, grosso modo dalla decolonizzazione fino all’attentato alle Torri Gemelle. Infatti il contrappeso buono al senso inossidabile della nostra superiorità è stato principalmente la generosità terzomondistica dell'”aiuto” al sottosvilupppo, soprattutto nel campo dei saperi e delle abilità tecniche sul mondo naturale. La visione-sentimento di superiorità occidentale oggi non può per molti restare implicito e sonnecchiante. Anche su misura italiana, dato che anche qui era pronto a esserlo, è diventato esplicito (poche ore dopo l’attentato alle Torri Gemelle per bocca di Berlusconi), e anche combattivo. Certamente non si esprime più, se non nei casi limite di discorsi di certo leghismo padano, fondando la superiorità dell’Occidente bianco democratico e industriale su radici e cause biologiche: la superiortà degli occidentali bianchi non è più una superiorità indiscutibile in quanto superiorità psico‑fisica, genetica. Quest’idea oggi è poco corrente e perfino screditata, anche se per circa due secoli ha fatto parte della visione occidentale insieme con l’altra idea del determinismo geografico e soprattutto climatico. Pochi oggi osano sentirsi e proclamarsi superiori da un punto di vista biologico, pscico‑fisico, genetico, o addirittura climatico. Questo spiega la ricorrenza sincera della giaculatoria comune: “Io non sono razzista, però…” E il vero però è che anche certi spiriti magni sentono e a volte proclamano la superiorità occidentale oggi come ieri. Ma il razzismo vero di oggi è un razzismo storico e culturale, non più biologico. Eppure la rinuncia all’idea della superiorità su base biologica non implica che le “concezioni” razzistiche storico‑culturali siano meno robuste, anche se meno boriose e più raramente violente. Anzi il razzismo storico‑culturale è più accorto e pervasivo, più aggiornato e meno rozzo, anche se ogni tanto perde troppi ritegni, e poi non giudica e non spiega: gli basta constatare la propria superiorità, ritenuta troppo evidente per poter essere messa in dubbio, dentro e fuori l’Occidente. Il razzismo odierno, mite fino alle guerre jugoslave e all’attentato alle Torri Gemelle, vuole del resto tenere conto delle diversità, e soprattutto constata quella diversità che fa constatare una inoppugnabile superiorità occidentale prima di tutto sul piano della cultura materiale, della tecnica come strumento umano per servirsi del mondo ai propri fini. L’Occidente manda le sonde nel cosmo, il Terzo Mondo non riesce a sfamarsi “lasciato a sé stesso”. Il consumismo, dal punto di vista delle necessità elementari, è obiettivamente superiore alla fame, per tutti, anche se nella cultura cristiana c’è l’apprezzamento del paradosso della superiorità morale e spirituale del povero, e soprattutto di chi si fa povero tra i poveri. Contro il generico buonismo multiculturalista e magari terzomondista bisogna ben guardare alle difficoltà delle convivenze tra diversi, anche quando è una ricchezza. Si sa che il diverso da sé ha suscitato di solito reazioni che oscillano tra il difensivo e l’aggressivo, spesso con lo sviluppo di sentimenti di superiorità. Lo si chiami razzismo, intolleranza, etnocentrismo, si tratta di un guaio tanto antico quanto il sentimento di appartenenza, di identità. L’equilibrio tra sentimento di sé e modo di rapportarsi all’altro da sé risulta storicamente arduo e variegato, e che è ricorrente la tendenza a ridurre la diversità a inferiorità, per cui il diverso diventa qualcosa di peggiore e di pericoloso, a volte capro espiatorio, oppure si tende ad assimilare l’altro a se stessi negandogli ogni diversità, per cui l’uguaglianza pretende ridursi a identità. Ambedue gli atteggiamenti, l’uno aggressivo e l’altro a volte implacabilmente caritativo, sono presenti nella nostra civiltà almeno fin dalle origini di ciò che chiamiamo epoca moderna, simbolicamente incominciata con la scoperta di Colombo e l’inizio dei grandi colonialismi extraeuropei, e oggi sono in una crisi di reviviscenza inaspettata.
3 Luglio 2008 alle 23:12
I sentimenti “della pancia” che certa parte di popolazione italiana sta manifestando nei confronti degli extracomunitari, purtroppo sono gli stessi che già venivano, e vengono tuttora, espressi da molti nel centro-nord, nei confronti delle persone abitanti nel nord ma originari del sud o delle isole.
E le politiche progettate dal governo, come è noto, con le flebili proteste del PD che più che apparire una opposizione consapevole di quale deve essere il suo ruolo sembra soffrire del complesso “dell’ostruzionista” , assieme ai messaggi inviati dai media, anzichè spegnerli stanno funzionando da accelerante in sintonia più con un populismo estremante spregiudicato più che con visioni cattoliche tipiche delle radici cristiane, tanto care alla destra di governo che avrebbe voluto inserirle nel trattato istitutivo della costituzione europea poi bocciato. La verità andrebbe gridata: se cacciamo gli extracomunitari, lavoratori e prolifici più di noi,con i tassi di crescita della popolazione italiana, poi noi giovani siamo disposti a lavorare fino a 70 e passa anni per pagare la nostra e l’altrui pensione ?