Quando è guerra, è guerra per tutti?
16 Luglio 2008
Gianni Loy
Appena qualche settimana fa si rifletteva sulla pesante perdita del potere d’acquisto. Politici d’ogni colore, imprenditori e finanzieri dichiaravano di unirsi al coro di chi giudicava insostenibili gli attuali livelli salariali ed immaginava politiche di recupero. Magari perché i bassi salari deprimono i consumi. I numeri europei che hanno rimbalzato su tutti i media, nella loro drammaticità, sono del resto inoppugnabili. L’Italia è il fanalino di coda con una perdita di circa un quinto del potere di acquisto rispetto alla media degli altri paesi dell’Europa a 15. Rispetto a molti degli altri paesi, tuttavia, presenta alcune anomalie. La prima è costituita dal fatto che al deprezzamento dei salari non corrisponde un’analoga contrazione dei profitti, la seconda è costituita da una crescita esponenziale della remunerazione delle fasce più elevate della dirigenza, tant’é che le due linee del grafico che rappresenta i lavoratori “normali” da una parte e quelli della dirigenza dall’altra, non solo non marciano in parallelo, ma la seconda corre sempre più verso la parte alta del quadrante. Situazione tanto clamorosa da indurre esponenti del Governo a proporre politiche fiscali antispeculative indirizzate verso settori che, evidentemente non solo non risentono della crisi ma, anzi, nella crisi prosperano. Perché non c’è niente di più falso della massima secondo la quale: quando è guerra è guerra per tutti. Nella stessa linea si era anche ipotizzato un taglio, o un tetto per le retribuzioni più elevate. Appena qualche settimana fa, si è detto, perché non appena arrivata la conferma della crisi, il Governo ha subito rimandato le politiche distributive che aveva annunciato per l’immediato dopo-elezioni. La Confindustria, dal canto suo, non solidarizza più con i percettori di salari insufficienti, ma riprende a piangere su se stessa, più che sui propri peccati. Come nelle migliori tradizioni, insomma, si ripresenta l’annoso problema di sempre: su chi scaricare i costi della crisi? In queste ultime settimane, le linee relative alla politica sociale ed alla questione salariale si sono sufficientemente chiarite. Lanciamo un’ancora di salvataggio per l’impresa e poi: si salvi chi può. Il salvataggio dell’impresa, però, parte ancora una volta dalla richiesta di solidarietà ai lavoratori: in una situazione di crisi come questa è impensabile chiedere un recupero salariale. Che è poi soltanto una forma elegante per annunciare il proposito di una ulteriore riduzione dei salari (reali). Cos’altro può significare la proposta del Governo di fissare all’1,7% il tetto dell’inflazione programmata, quando sappiamo che in Italia ed in Europa si galoppa al di sopra del 3,5 per cento, verso quota 4%? Che i sindacati, a queste condizioni, neppure accettino di sedersi al tavolo, sembra proprio il minimo. Ma una volta chiarito che il salvataggio dell’impresa dovrebbe incominciare con il sacrificio dei lavoratori, rimane la seconda parte dello slogan: si salvi chi può! Su questo è importante riflettere per un momento, perché si tratta di una linea che il Governo pratica con sempre più coerenza offrendo un ventaglio di possibilità integrative a chi non riesce più a sbarcare il lunario con il proprio salario. Una prima possibilità offerta, di cui già abbiamo parlato, è quella di lavorare di più. Questa possibilità è incentivata mediante una parziale detassazione degli straordinari. Altri percorsi, ancora ispirati alla filosofia dell’arrangiarsi, sono quelli dell’abolizione dell’incompatibilità tra redditi da pensione e redditi da lavoro. Se la pensione non è più sufficiente, si può ritornare sul mercato per arrotondarla. Analoga possibilità è offerta ai dipendenti pubblici ai quali manchino non più di 5 anni per raggiungere il massimo contributivo: potranno ritirarsi dal lavoro con il 50%, fermo restando che al raggiungimento dei 40 anni diventeranno regolarmente pensionati con l’importo che sarebbe loro spettato se avessero continuato a lavorare. Tutte misure, come si vede, che facilitano un incremento del reddito complessivo se ci si da da fare, in ogni caso, evidentemente, lavorando di più. La spaventosa cifra del lavoro irregolare, quasi il 40 per cento secondo le ultime stime, fa capire come funziona, nel suo insieme, il sistema. Sopratutto se si considera non solo l’evasione più eclatante delle imprese che lavorano totalmente in nero, ma i mille lavoretti, anche autonomi, spesso per lo stesso datore di lavoro con “gestione separata” che contribuiscono, per chi ne ha le forze e l’abilità, di arrotondare un salario che, nei livelli più bassi, è assolutamente insufficiente. Il salario, così, diventa solo una delle fonti di reddito, seppure spesso la principale, e le strade di difesa del reddito non suggeriscono più la solidarietà tra i lavoratori, la vertenza per il suo miglioramento, ma una vita spericolata, in mare aperto, che premia i più forti ed i più furbi e affonda i più deboli ed i più ingenui. Va avanti, grazie a mille sotterfugi, una profonda trasformazione del lavoro, del quale ci si può appropriare anche a basso costo, grazie alla concorrenza di un mercato parallelo di diseredati, pronti a qualunque sacrificio. La misura voluta dal Governo, che abolisce il diritto ad una data certa per le dimissioni, consentendo di ripristinare il barbaro costume delle dimissioni firmate in bianco, non è poca cosa, è un simbolo del rispetto che i potenti di turno riservano a chi, per vivere, è costretto a vendere la propria forza lavoro.
29 Luglio 2008 alle 20:24
buonasera, sempre la solita storia;io prendo di piu’ ,io prendo di meno. la busta paga operaia non nasconde niente , anzi fa emergere sempre di piu’ quanta fatica e sudore deve fare per garantire il minimo per una vita dignitosa alla famigla,..la verita’ e’ che l’inflazione e’ piu’ di quello che si scrive,e il tesoretto siamo noi.. gli unici lavoratori trasparenti giusto ?di che stupirsi quindi;aragoste e sacrifici dice il maghetto di arcore dalla riva del mare piu’ bello e costoso del globo,ma dai quale economia ? le banche campano con i nostri mutui,con i nostri debiti che si trasformano in interessi mostruosi ..gia’ le banche che regalano soldini a chi ha il doppio petto e i gemelli ai polsini,ma chi porta le maniche alzate…? mah .. a sapere che un calciatore costa qusi 80 mil.di euro;e poi l’economia non avanza..guardate le rughe di un operaio se sono di espressione o di fatica o di una notte al bilionaire..eh si l’economia non si muove dalla parte di chi lavora onestamente….diventare veline ,calciatori,attorini, fare casino,etc,etc. vedi che l’economia si muove…ah italia paesi di poeti ,navigatori,e del ministro Alfano..