Brigantaggi

16 Agosto 2011

Brigantaggio

Marco Ligas

Non credo sia esagerato considerare la manovra economica preparata dal nostro governo alla stregua di un’azione di brigantaggio. C’è da precisare piuttosto che i nuovi briganti, quelli del terzo millennio, a differenza di chi li ha preceduti, agiscono con estrema disinvoltura, alla luce del sole, consapevoli che la loro arroganza gode della totale impunità.
Non a caso da anni occupano Palazzo Chigi e, direttamente o no, controllano i centri del potere economico e finanziario; per loro il conflitto di interessi è un principio sconosciuto, comunque caduto in prescrizione. Dicono di occuparsi dei problemi del paese, del lavoro che non c’è, del sistema sanitario che funziona sempre peggio, dell’istruzione, della tutela dei beni comuni, insomma di tante cose. Sono impegnati invece su altri versanti: garantiscono nuova ricchezza a chi ce l’ha già, promuovono la svendita del patrimonio pubblico come se operassero in un mercatino delle pulci, progettano opere pubbliche tanto inutili e dannose quanto vantaggiose per i clan che le realizzano e con i quali sono in stretto rapporto per condividerne gli utili (il terremoto dell’Aquila insegna).
Insomma mancheranno le azioni violente tipiche del brigantaggio ottocentesco ma la rapina e l’estorsione sono obiettivi che il nostro governo pratica costi quel che costi; i bersagli sono sempre gli stessi: coloro che usufruiscono dei redditi più bassi e per questa ragione stanno perennemente ai margini della società e della storia.
Già nel corso degli ultimi anni il 10% della ricchezza prodotta dal lavoro è stata fatta propria dal profitto e dalle rendite finanziarie; fra non molto, con la manovra che verrà discussa(?) in Parlamento, si cercherà di concentrare ulteriormente nuove risorse nelle mani di pochi. Con lo strumento dei decreti e, verosimilmente, con l’imposizione del voto di fiducia, verrà completato l’esproprio dei diritti di chi lavora, e concluso il disegno di revisione della Costituzione, a lungo perseguito. Il tutto giustificato con l’alibi del pareggio di bilancio.
Mai come in questi frangenti la Confindustria si dichiara sensibile al principio dell’unità nazionale, identificandola naturalmente col primato dell’impresa e con la subordinazione di tutti i bisogni sociali all’esigenza dello sviluppo capitalistico. Alla Confindustria però non appartiene il principio secondo cui al bene della comunità devono contribuire soprattutto coloro che detengono le percentuali più alte della ricchezza. Quando sentono parlare di imposta patrimoniale inscenano reazioni di panico come se venisse imposto un governo bolscevico. Le imposte patrimoniali, dicono, scoraggiano gli investimenti e la ricerca, al tempo steso non favoriscono la crescita del Pil. Sostengono tutto ciò come se il nostro sistema industriale non facesse altro che investire nella ricerca o promuovesse l’occupazione con nuove attività produttive! A sentire questi signori non è affatto vero che le aziende trasferiscono le attività in altri paesi dove il costo del lavoro è più basso, così come non è vero che l’evasione fiscale raggiunge percentuali da capogiro.
Intanto agitando lo spettro del default si è rafforzata ulteriormente l’alleanza tra Governo e Confindustria grazie a un decreto legge che ha cancellato l’esistenza dei contratti nazionali del lavoro per sostituiti con quelli aziendali dove i lavoratori si troveranno soli a fronteggiare i ricatti padronali.
E in Sardegna che effetti avrà la manovra? L’ipotesi più realistica è che andremo di male in peggio; non solo non verranno risolte le vertenze del lavoro ancora aperte ma non è previsto, dalle stesse istituzioni regionali, un programma che sia in grado di prefigurare un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione isolana.
Ci sono categorie di lavoratori, i pastori per esempio, che subiscono l’inettitudine della Giunta guidata da Cappellacci: la richiesta dell’aumento del prezzo del latte, avanzata ormai da anni, rimane senza risposta mentre a tutto il comparto agrozootecnico non viene riconosciuto lo stato di crisi.
La manovra del governo, prossima all’approvazione, renderà più difficile il rientro del credito che la Regione vanta nei confronti dello Stato. Ed è facilmente prevedibile come questa insolvenza complicherà ulteriormente qualsiasi politica di investimenti. E non saranno certo alcuni interventi speculativi (la costruzione di campi da golf o di serre fotovoltaiche o di centrali eoliche) che faranno uscire dalla crisi la nostra economia.
L’unica alternativa che rimane è un impegno straordinario di mobilitazione, ma anche di dibattito approfondito da promuovere all’interno delle reti sociali che esistono in Sardegna. È necessario cambiare la manovra, ma soprattutto è necessario cambiare gli artefici delle politiche fallimentari che in questi decenni hanno contribuito al peggioramento delle condizioni di vita delle nostre popolazioni.

2 Commenti a “Brigantaggi”

  1. Giulio Angioni scrive:

    Tutto chiaro e stimolante. Anche il paragone storico, ma con la non irrilevante correzione che i veri briganti, ieri come oggi, non erano quei poveracci che si dicevano briganti, ma le “classi dirigenti”, quelli del “che tutti cambi purchè niente cambi”, e altri della compagnia.

  2. Nicola Imbimbo scrive:

    Con molto garbo Angioni definisce ” non irrilevante” la correzione sul significato di “Brigantaggio”: in realtà per l’attuale governo , il suo presidente pluriprocessato (non semplicemente indagato!) per reati che vanno dalla corruzione alla frode fiscale,( lasciando da parte reati di altra natura) sembra più appropriata la definizione che dà Famiglia Cristiana : un serial killer non avrebbe potuto dare colpi più micidiali alla famiglia. Comunque ricorrendo il 150esimo anniversario della nascita dello Stato italiano un rinnovato dibattito sulla questione meridionale e sull’uso del termine “brigantaggio” non è fuori luogo.
    Condivido tutto il senso che Marco da alla “manovra” di questo governo e alla confusione che crea l’espressione “parti sociali” di cui è stata Marcegaglia la portavoce! (di Padroni grandi e piccoli, di commercianti, di operai impiegati e pensionati!) Perciò molto puntuale il richiamo al ruolo Confindustria e al suo falso e ipocrita richiamo alla cosiddetta “Unità Nazionale”!

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