Patti chiari
16 Settembre 2011Redazionale
Raramente accordi mostrano in tempi così brevi la loro fragilità. La chimica non è verde. Verde sembra piuttosto il colore della rabbia. L’accordo del 26 maggio scorso Eni-Novamont territorio sardo – bocciato clamorosamente, peraltro, proprio dai lavoratori dell’indotto – non viene quindi messo in atto. La CGIL minaccia la mobilitazione. Sempre a Porto Torres i lavoratori della Vinlys – per i quali sembrava schiudersi una riconversione nel ‘solare’ con la proposta della Sardinia Green Island di Assemini – impediscono lo spegnimento degli impianti, preludio intanto alla perdita di altri posti di lavoro.
In genere è comprensibile che nuove imprese non possano farsi carico della salvaguardia dei posti di lavoro precedenti. Ma è comunque inaccettabile che calino su un corpo sociale in crisi senza piani tangibili, senza numeri e prospettive credibili. Nel caso di Porto Torres, in particolare dell’ENI, non farsi carico di questa salvaguardia è evidentemente grave, per il legame dello Stato con l’ENI e di quest’ultima con il centro destra al potere, sia a livello nazionale che nella Regione Sardegna. Sostanzialmente assente nella difesa del lavoro e insensibile al dramma sociale che si sta allargando nel territorio. Pronto a tagliare – con la scusa del debito pubblico – ulteriori diritti ai lavoratori: il famigerato art. 8, non a caso magnificato dalla Marcegaglia e da Marchionne, è pronto per la Sardegna.
Tocca anche allo Stato e agli enti territoriali difendere con forme avanzate il diritto all’esistenza e quello al lavoro. Intanto non firmando accordi che escludano altri lavoratori, come è successo per l’appunto il 26 maggio scorso nel protocollo sulla ‘chimica verde’. Un quadro difficile, che può essere mantenuto vitale solo dalla ripresa della conflittualità di classe e della mobilitazione di sindacati, si spera con l’appoggio di enti locali che in tempi neanche lontani tappezzavano le città di manifesti di solidarietà con gli operai.