Perché dobbiamo provare a restare uniti

31 Dicembre 2008

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Gianluca Scroccu

Carcere di Turi, 1931. Un giovane avvocato socialista, Sandro Pertini, si avvicina ad un carcerato “con un corpo di pigmeo ma con una testa che sembrava una scultura”: quell’uomo è Antonio Gramsci. «Buongiorno On.le Gramsci, sono l’avvocato Sandro Pertini»  «Pertini, siamo compagni e mi dai del lei?» « Si, per voi comunisti noi siamo socialfascisti…..» «Io queste stupidaggini non le voglio nemmeno sentire, siamo qui in carcere con lo stesso destino e tu mi dai del lei?». Ho pensato di partire da questo ricordo dell’incontro di due grandi personalità della storia italiana per provare a svolgere qualche riflessione sulla crisi politica regionale dopo lo scioglimento del Consiglio. E di come dobbiamo fare ogni sforzo per superare il cancro dei personalismi, che sta sfinendo il centro-sinistra consegnando il paese, forse in maniera definitiva, nelle mani di Silvio Berlusconi. Lo faccio con il pudore di chi, nel 2004, non era d’accordo con la candidatura di Renato Soru e lo votò come candidato presidente con molti dubbi. Eravamo in pochi, allora, ad esprimere queste perplessità pubblicamente. Nel partito dove militavo, i DS, molti di quelli che oggi l’attaccano più ferocemente erano tra i suoi più fedeli supporter. Amici e compagni che oggi lo vedono come il diavolo al congresso del 2005 lo definivano “un cattolico democratico che è certo meglio della vecchia nomenklatura”. Anche nell’ultimo congresso dei DS Soru venne ricandidato dal palco, e nessuno ritenne opportuno sollevare dubbi sulla democraticità dell’atto. Dico questo perché nella vicenda che ci troviamo a vivere in questi giorni parecchie tensioni e contrapposizioni nascondono in realtà problemi che vanno molto al di là delle riflessioni sull’esercizio del potere del presidente. Qui parliamo di altro: del comune sentire del popolo progressista isolano, di quelle tensioni e di quei valori che per troppo tempo sono stati soffocati da classi dirigenti autoreferenziali che hanno sempre trattato non solo quelli che facevano politica dall’esterno, ma anche i militanti, come dei semplici esecutori di ordini decisi da piccoli gruppi di potere.  Molti, nel centro-sinistra, vedono in Soru un modello negativo di dirigismo iperpresidenzialista. Ma il rischio di chi lo contesta su questo punto, pur avendo molte ragioni, è di concentrare l’attenzione solo su di lui, come se fosse l’unico male che, una volta estirpato, libererebbe energie soffocate. Soru non è l’unico che ha governato all’interno della logica perversa di questo sciagurato modello presidenzialista, che ora mostra tutte le sue crepe ma che il centro-sinistra approvò tra lodi sperticate. Non siamo un’eccezione: basta vedere il resto del Paese, ad esempio con l’esperienza dei sindaci e degli assessori “sceriffi”, prassi istituzionali che hanno finito solo per far lievitare a livelli mai visti nella nostra storia repubblicana la litigiosità interna (soprattutto nel centro-sinistra), facendo crescere la delusione e l’astensionismo di militanti ed elettori. Ricordiamo che PD e sinistra hanno perso perché non sono stati  più capaci di intercettare veramente quello che provano i loro elettori. I loro dirigenti sono stati spesso spocchiosi e superficiali, ignorando le richieste di cittadini che credono vada ancora la pena di impegnarsi in maniera disinteressata, ma che sono delusi perché hanno visto chiudersi troppe porte. Da quel 2004 mi è capitato spesso di parlare con persone che ancora vivono l’impegno civile con passione, e che mi hanno fatto comprendere meglio come abbiano vissuto sulla loro pelle gli effetti positivi delle politiche della maggioranza di centro-sinistra appena dimessa. Persone che credono che la questione ambientale sia diventata il problema centrale anche per una regione come la Sardegna, perché non è più possibile vivere con chi intende le nostre bellezze naturali come un oggetto da sfruttare secondo scopi meramente privati, depredando la comunità di un patrimonio che è invece comune. Uomini e donne che si sono impegnati per anni in battaglie come quella per la salvaguardia di Tuvixeddu, e che, anche con errori, hanno visto comunque dei politici che per la prima volta ne facevano una questione importante.  Uomini e donne che provano ad elaborare modelli di sostenibilità improntati su valori nuovi, come la decrescita, sacrificando il loro tempo libero, e che per la prima volta hanno trovato qualcuno che non ride loro in faccia, o che al massimo parla di “ambientalismo del fare” o che è legato a vecchie logiche di tipo marxista-produttivista oramai fuori dal mondo. Recentemente ho incontrato una decina di insegnanti di un importante liceo cittadino che mi parlavano del loro stupore nel vedere una Giunta regionale che mai come nessuna altra aveva sostenuto i progetti della scuola pubblica sarda finanziando progetti seri di formazione,  aiutando gli studenti con borse di studio anche nei primi due anni dell’Università sino alla specializzazione postlaurea all’estero: insomma, che facesse della cultura e dell’istruzione pubblica un pilastro della propria azione politica, e non un elemento accessorio. Sono gli studenti che vedo ogni giorno in Facoltà, quelli che hanno manifestato in queste settimane perché sentono disperdersi nelle promesse di una classe politica spesso inadeguata le speranze audaci che hanno per il loro futuro e che chiedono che si continui a sostenerli, senza guardarli dall’alto in basso ma scendendo tra loro, comunicando in maniera trasparente e magari aiutandoli a coltivare quelli che sono i valori della nostra Costituzione e della nostra storia di sardi. Come far finta di non vedere come in questi anni siano stati introdotti temi e concetti che erano scomparsi dai discorsi pubblici dei partiti, anche perché discutere di certe questioni veniva visto come un mero esercizio di retorica che “nulla ha a che fare con la politica”  (ad esempio parlare di rifugiati nella serata delle dimissioni)?  Poi, certo, si deve riflettere sul tanto che non ha funzionato durante questi quattro anni e mezzo, perché una maggioranza, un presidente ed una giunta che finiscono la loro esperienza in questo clima litigioso non possono sottrarsi al dovere di fare una seria, e io dico anche spietata, analisi autocritica, evidenziando i molti errori e le questioni che non sono state risolte o solo in parte (gli allontanamenti di assessori di indubbia qualità, conflitto d’interessi, la troppa fretta di certi provvedimenti, rivelatisi poi deboli sul piano amministrativo e procedurale, la mancata formazione di una nuova classe dirigente). Solo così potremo ritrovare quel senso di responsabilità indispensabile per ricostruire la trama di un sentire comune, di un progetto imperniato su una concezione alta della politica. I sostenitori acritici del presidente si convincano che la politica non si esaurisce in una persona, perché i singoli passano ed è sempre meglio non fare troppo affidamento su un solo individuo; chi lo critica, anche ferocemente, passi dalle accuse personali o dall’antipatia nei suoi confronti a delle critiche ancora più spietate su come intenda scrivere il programma, su quali saranno le sue priorità, se è disposto a riconoscere i suoi errori, e a candidare veramente persone dalla schiena dritta che corrispondano al profilo del suo programma di innovazione. Non sarà una campagna elettorale come le altre, quella che si concluderà il 15-16 febbraio. Sarà dura, con un massiccio impegno da parte di Berlusconi che farà di tutto per prendersi l’isola. Questo è un momento di svolta per la Sardegna, peraltro in una difficile congiuntura economica internazionale, che impone la ricerca delle ragioni dell’altro e dell’ascolto reciproco.  Spero che questa mia riflessione, di una persona di sinistra che aveva e ancora ha delle critiche da fare all’esperienza della giunta Soru, riconoscendone però anche i meriti, e che il 15-16 febbraio lo rivoterà come presidente, serva un poco per risvegliare l’impegno di tutti noi e darci quella spinta che non arresti quel rinnovamento necessario della politica sarda che non possiamo interrompere.

6 Commenti a “Perché dobbiamo provare a restare uniti”

  1. Costantino Cossu scrive:

    Caro Gianluca, condivido il tuo pezzo parola per parola, come se lo avessi scritto io.

  2. Giulio Sanna scrive:

    Caro Gianluca ricordo sempre con molto piacere e nostalgia la sfida che noi ” vecchi ” della Sezione Rinascita e il gruppo di giovani che vedeva te Manuela, Mauro tra i più vogliosi di ” fare politica ” tra la gente ( ricordi quante belle assemblee partecipatissime, quanti volantinaggi ) cercando di riprendere quel filo che il partito “leggero” aveva trascurato. Trascurato perchè era un modo ” vecchio ” di concepire la politica. E’ vero c’è molta delusione ma c’è anche ( Veltroni mi scuserà ) tanta voglia di dimostrare , ai tanti tromboni riciclati e ondivaghi, che qualcuno ritiene, in modo disinteressato, che la Politica possa ancora occuparsi dei problemi reali della gente.

  3. Cristina Ronzitti scrive:

    Soru avrà molti difetti ma….per esempio è sotto la sua presidenza che per la prima volta (da 38 anni a questa parte) si è data molta risonanza all’esistenza di borse di studio regionali (vedi progetto Master and Back) che fino ad allora erano conosciute solo dai soliti ben informati…..Certo non a vantaggio di una gestione trasparente….

  4. Nicola Imbimbo scrive:

    Ritengo che una delle questioni fondamentali, ineludibile per chi si ritiene di sinistra sia quella democratica: di una democrazia partecipativa, ampia, diffusa.Non può bastare dire chi è stato peggiore e col bilancino trovare poche cose buone che alla fin fine, secondo il tuo bel pezzo caro Gianluca, ha fatto solo Soru e concludere – frettolosamente, a mio giudizio, sostengo Soru! dando così oggi ragione a chi te lo impose.
    La questione più seria e su cui insistere è un’altra : tu l’accenni ma non l’affronti. Si tratta come tu lo definisci dello “sciagurato modello presidenzialista”.
    E’ un modello non estraneoa al berlusconismo: intolleranza di ogni critica, populismo, rapporto mediatico con il pubblico elettore, uso congiunto di potere delle istituzioni e di quello della ricchezza , cercare serventi e non collaboratori, disprezzo più o meno esplicito per i partiti.
    Io non so se Soru può essere inserito in questo modello di capo. Certo è che ha licenziato, lo ricordi, alcuni assessori ,che ha minacciato spesso di mandare a casa i consiglieri regionali (Io preferisco che siano ottanta sia pur polticanti a mandare a casa una sola persona che il contrario) che in tutte le vicende amministrative, dalle gare alle leggi, alla lingua sarda, su tutto in sostanza si è mostratto più propenso al comando che al confronto.Si ritiene il migliore. Tu con il tuo pezzo accattivante gli fai un regalo gratuito. Veltroni, entusiasta di Soru, ha fatto fuori dal Parlamento i partiti di sinistra.
    Inseguendo il decisionismo si può correre il rischio di far fuori anche la democrazia. Soru non mette assolutamente in discussione il modello decisionista e presidenzialista. Ed è, come tu dici, un modello sciagurato. E allora? Viva il master and back. Che sforzo!

  5. Gianluca Scroccu scrive:

    Ringrazio Costantino, Giulio, Cristina e Nicola, sia per le parole di apprezzamento che per quelle di critica. A poco meno di una decina di giorni dalla chiusura delle liste assisto preoccupato alla mancanza di quel clima unitario che richiamo nel mio intervento. Il senso di responsabilità mi pare latiti. Sulla questione della propensione al comando di Soru e sulla maniera per farlo passare da capo a collante della coalizione credo che ai partiti piccoli basterebbe poco: essere più innovatori del presidente sulle liste, facendo capire all’elettorato che si vuole veramente svoltare rispetto a certe pratiche e a certe presenze oramai pluridecennali che oramai hanno nauseato tutti; introdurre norme per cui chi ricopre incarichi nelle istituzioni non abbia ruoli dirigenti di primo piano ovvero esecutivi all’interno del partito o del movimento cui appartiene; abbattere quelle differenze che derivano dalle indennità istituzionali rispetto ai redditi dei militanti: una forbice paurosa, che crea evidenti disparità, per cui chi guadagna 1000 euro non può, in assenza di un partito che gestisce in maniera democratica le risorse, avere le stesse possibilità di chi ne guadagna trenta volte tanto; avere il coraggio di parlare dei problemi che permettano alla nostra piccola e svantaggiata isola di potersi inserire con originalità nei dibattiti sui grandi problemi della politica mondiale ed europea (ad esempio cambiare il nostro sistema di consumare e produrre).

  6. Giulio Sanna scrive:

    Ritengo sia utile ricordare che contro la Statutaria più di una voce si è levata, in modo particolare per modificare la parte che esautorava ancor di più il Consiglio. Credo altresì si debba riconoscere che, nonostante tutto, alcune risposte ,alle ventennali richieste che come Sinistra abbiamo avanzato, sono state date . Voglio ricordare le battaglie sulle servitù militari, l’esigere , non mendicare, quanto alla Sardegna è dovuto in termini di percentuale sulle entrate, le rivendicazioni sulla salvaguardia del territorio e sulla tutela del suo patrimonio storico, sulla continuità territoriale, sull’utilizzo delle risorse comunitarie. Sono state date risposte ? Si !Sono insufficienti ? Senz’altro! Un capitolo merita la Democrazia, specialmente all’interno dei Partiti. Non si è fatto niente per modificare la legge elettorale. Non si vuole coinvolegere i cittadini nella scelta dei candidati. Si dice sempre che bisogna dare più spazio ai giovani ( chi lo dice è sempre un vecchio che vuol decidere lui quale giovane. Come quando in Unione Sovietica il resposabile Komsomol era un ottantenne ). E’ Democrazia quando si discute di programmi (condivisi dalle varie istanze) e non , invece, quando si parla della propria collocazione nel listino regionale. Viva la DEMOCRAZIA

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