Doppio raggiro
1 Dicembre 2011Gaetano Azzariti
«Si può continuare ad applicare una norma abrogata per via referendaria?». Hans Kelsen avrebbe giudicato priva di senso una simile domanda, bollandola come contradictio in adiecto. E poi, basta aprire un qualunque manuale di diritto costituzionale per leggere che l’unico effetto giuridico certo prodotto dal voto è appunto quello di rendere non più applicabile la norma oggetto del referendum. A dispetto di ciò, sebbene il 12 e 13 giugno del 2011 la maggioranza del corpo elettorale abbia eliminato la disposizione che stabiliva una «adeguata remunerazione del capitale investito» da garantire ai gestori dei sistemi idrici, questa norma è ancora applicata. L’elusione dell’esito referendario appare evidente. Secondo alcuni l’ultrattività della norma abrogata sarebbe giustificata dal permanere della necessità di garantire la copertura dei costi e le correlate ragioni di profitto per le aziende che gestiscono il servizio. Quest’argomentazione non ha fondamento alcuno. A dirlo è stata la Corte costituzionale, quando ha ammesso il referendum escludendo che ciò potesse incidere sulla nozione di “rilevanza” economica del servizio idrico integrato. L’eliminazione della voce «remunerazione del capitale» – ha scritto a chiare lettere la Corte – non presenta elementi di contraddittorietà, poiché se da un lato persegue chiaramente la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua, dall’altro non incide sulla nozione di tariffa come corrispettivo, la quale assicura «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio». Si può evidentemente non essere d’accordo nel merito della questione: per questo s’è svolta la consultazione referendaria e tutti coloro che hanno votato no al referendum evidentemente non erano concordi. Ma il referendum ha avuto un esito inequivocabile, e ora non rimane che dare seguito alla volontà del corpo elettorale. L’inerzia e la conservazione dei vecchi contratti di gestione per il servizio idrico si configurano come un grave vulnus al dettato costituzionale, che non dovrebbe essere accettato da nessuno, neppure da coloro che si sono democraticamente opposti, con il voto contrario, all’abrogazione della norma sulla remunerazione del capitale. È alla base del vivere democratico accettare le scelte della maggioranza (del corpo elettorale nel caso dei referendum, dei membri del Parlamento nel caso delle leggi). Tutti i soggetti politicamente responsabili dovrebbero, dopo il referendum, imporre alle aziende regole di gestione estranee alle logiche del profitto. V’è poi un secondo raggiro compiuto ai danni del referendum. Uno dei due quesiti aveva a oggetto una norma (l’art. 23 bis del decreto Ronchi) relativa alle modalità di affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica. Come ha chiarito anche in questo caso la Corte costituzionale, l’abrogazione richiesta ha riguardato una disciplina generale, relativa dunque non solo al servizio idrico. Eppure nella manovra di agosto il governo allora in carica ha reintrodotto la medesima normativa, fatta salva l’acqua; in tal modo violando il divieto di reintroduzione della normativa abrogata. Alcune regioni (la Puglia), e lo stesso comitato promotore dei referendum vogliono proporre la questione dinanzi alla Consulta, sollevando un conflitto tra poteri dello Stato. Ma, al di là delle ragioni giuridiche e costituzionali che sostengono i ricorsi, c’è da chiedersi se non vi sia anche una questione politica e di democrazia. Al governo Monti tutti riconoscono una profonda diversità di stile: non più le sguaiatezze del populismo berlusconiano, ma un atteggiamento rigoroso che legittima – anche politicamente – la “tecnica” di governo. Questo stile – se non vuole essere solo una forma apparente – dovrebbe anzitutto esprimersi nel rispetto della lealtà costituzionale e delle leggi. Ed è proprio il problema di lealtà costituzionale e di rispetto delle leggi che oggi pongono i promotori del referendum sull’acqua pubblica. Il passato governo ha adottato comportamenti e compiuto atti tendenti a invalidare l’esito referendario. Si tratta ora di rimediare.