Nuoro sorella e madre
1 Dicembre 2011Graziano Pintori
Non nascondo che l’analisi su Nuoro di Natalino Piras, nel “Manifesto Sardo” n.110, ha provocato in me amarezza, quella che emerge quando non ci sono vie di fuga se non quella di riconoscere la fedeltà ai fatti analizzati. Ho anche colto che il contenuto di tale analisi è frutto, come quando si vuole salvare una persona cara, di un forte affetto maturato nei confronti di questa non-città / non-paese nei lunghi anni di “anomalo cronista”. Perciò l’analisi di Natalino Piras è anche la mia, l’amarezza, forse, è solo mia. Dico “forse” perché l’affetto per questa non-città/non-paese è paragonabile all’affetto, con tutta la sua soggettività, che sento verso i miei cari. È quel tipo di amarezza che mi svigorisce quando ho la consapevolezza che nei confronti del sistema dominante, che determina la vita e la morte di altri sistemi più deboli, come può essere una persona cara, c’è ben poco da fare se non ci si ritrova tutti uniti. Natalino parla appropriatamente della omologazione dei sinnos, e proprio dai segni, a mio parere, possiamo cogliere la trasfigurazione da paese-paese a non-città / non-paese di Nuoro. L’omologazione dei sinnos è una caratteristica che trova origine ben oltre le porte della memoria di questa non-città, già da tempo sos sinnos sono stati rapinati, svuotati dei valori antropologici, ben definiti nella scuola impropria di Mialinu ‘e Crapinu, dal potere onnipotente e universale del denaro, che trasforma in merce anche la mediazione dell’esistenza. Non a caso, alla stregua di altri, il nostro microcosmo urbano subisce l’indebolimento, che non è una esclusiva dell’epoca berlusconiana, del diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute e con essi subisce anche l’impoverimento collettivo, nel quale si sostituisce la capacità di mediazione dei comuni con gli avamposti statali dei gratta e vinci e altri giochi d’azzardo, per dare a molte vite la sensazione di partecipare ad un gioco utile, mentre in realtà sono dei “fuori gioco”, sono persone che cessano di esistere perché in preda a illogici vagheggiamenti, che li ha spogliati dei segni della propria esistenza. Ma certa omologazione non è , a mio parere, una questione solo urbana, ma è comune anche a quei luoghi che fino a poco tempo fa erano vissuti dai veri custodi dei nostri sinnos. In quei luoghi oggi si pratica la cannibalizzazione delle auto, emblema del consumismo più sfrenato e feroce, per essere vendute pezzo dopo pezzo nel mercato clandestino dalla delinquenza pseudo urbana. Negli ovili su duri non regge sos isterjos, ma fasce di marjuana che seccano sotto il sole. Altro che pedagogia del nonno che prevale su quella dello stato, per dirla con la filosofia del nostro vecchio codice barbaricino, oggi la pedagogia dominante è quella del capitalismo postmoderno che vorrebbe frantumare tutto, molecolarizzare ogni tentativo di coesione, sopprimere qualsiasi sacca resistenziale non omogenea ai modelli imposti. Come tante altre realtà locali, Nuoro ha aperto le porte a certi modelli ammaliatori con superficialità, dimostrando incapacità nel difendere l’antico ruolo di Atene Sarda, un ruolo dignitoso che gli veniva conferito perché dimostrò, a suo tempo, che con l’arte e la letteratura sos sinnos potevano essere difesi autorevolmente, e i poeti nuoresi de su Connottu ne sono stati valido esempio. Ma questo orgoglio è iniziato a venire meno quando la casta dei printzipales nostrani si sono imborghesiti immergendosi nello “sterco del diavolo”, nel denaro, vendendosi l’anima. I loro eredi senza gambales hanno trasformato le vecchie proprietà in preziosità urbanistiche, grazie anche ad una casta di amministratori ben disposti a chiamare Piano Regolatore ciò che in realtà era, e ancora lo è, il sacco urbanistico di Nuoro. Il centro sinistra che ancora resiste in questa non-città/non-paese è esausto e ripetitivo, è fermo perché incapace di creare e innovare un modello di governo locale in grado di rompere con i vecchi schemi del familismo politico. Non è in grado di rimodellarsi perché sostanzialmente è una non-città democristiana, conservatrice. Statica. Dico tutto questo assumendomi le mie responsabilità da amministratore ed ex assessore. Caro Natalino, Nuoro è brutta perché porta sulle spalle brutte storie, è una non-città perché gli strafalcioni sulla toponomastica sono il frutto di superficialità amministrativa, è brutta perché non ci sono isole pedonali, è una non-città/non-paese perché circa dieci gruppi folcloristici sono diventati, pretestuosamente, dieci interpreti delle tradizioni nuoresi. Qui a Nuoro si ha la sensazione di essere fermi, come dici tu, perché i giovani e intelligenti abitanti vanno via. Pasolini diceva: “Si muore non per mancanza di comunicazione ma per non poter essere compresi”. Noi nuoresi facciamo di tutto per non capirci e non poter essere capiti, affidando, molte volte, alla pancia e al fegato le nostre parole. Lasciando, così, che i battiti, su tumbu dei nostri sinnos scivolino nella non-storia.