Le parole della crisi
16 Dicembre 2011Natalino Piras
Nuoro. Qualche sera fa, in un ristorante-pizzeria. Stesso menu del dicembre 2010, diverso servizio: meno quantità e qualità. Costo: 23 euro in più sui 100 dell’anno scorso. La sproporzione è evidente e non è un caso isolato. Quanto più la crisi in atto – che l’autorevolissimo governo Monti vuole gestire nel dualismo incremento del capitale bancario/tassazione degli inermi – aumenta i bisogni, tanto più acuisce un’esigenza di consumo. Su questo specula il tempo del mercante. La pizzeria-ristorante è andata via via riempiendosi quella sera. Clima giovale, sereno, a tratti di viva cordialità. Ma sembrava, quella dei commensali sparsi per diversi tavoli e tavolate, un’allegria da naufraghi. Non pensare. Distaccare. Almeno per qualche ora. Questo vogliono i commercianti. Attendono al varco. Ti prendono per fame o, per esteso, approfittano della cedevolezza che i riti della mensa impongono. La metafora, se di sola metafora si tratta, è abbastanza leggibile. La crisi in atto è l’esercizio dei poteri forti su quelli deboli che poi poteri non sono. Il centro domina la periferia. Dentro il contesto nazionale, Nuoro è una delle tante periferie funzionali a che le decisioni prese dall’autorevolissimo governo Monti sperimentino un banco di prova. Se il rincaro come metodo passa a Nuoro allora può essere applicato ovunque. Pure considerando che Nuoro è uno dei luoghi dove quel che altrove paghi 10 qui costa 50 e 100. Dal cibo al vestiario, dalle cose minute ad altre di più corposa sostanza. Senza considerare la manodopera. C’è una inversione nel rapporto prezzo-qualità. Più il lavoro è malfatto più costa. Si paga in nero. Certo, un’evasione di necessità rispetto ai grandi capitali e all’oro esportato in Svizzera che pure il neonato neoliberista governo sopporta. Non fosse che il dato minimo nuorese riflette i picchi massimi a livello nazionale. Tre emme: malessere mugugno da piangi e fotti menzogna. Nuoro uguale land depressa uguale Italia. Ma si sta allegri. C’è da mangiare e da bere. Evidente che in un simile disgregato paesaggio, dove la cultura dell’affare sconta ancora molto del tempo del baratto, le misure draconiane dell’autorevolissimo governo Monti aggiungono devastazione al devasto. Salvo poi mascherare questa crisi nella crisi con tentativi di dimenticanza: un’ora che possono essere due e molte di più. C’entra pure la droga come consumo. Lo spaccio nel centro abitato e nella campagna: non solo prerogativa giovanile. Una crisi come qui la si vive determina assuefazione al prolungamento di un’attesa, un rinnovo che qui, in questa periferia, non è mai realmente avvenuto. Spaccare il centesimo si dice. Il tempo del mercante lo applica alla perfezione specie in periferia. Conoscere i soldi. Inventarli e moltiplicarli pure da dove non ci sono. Che poi dovrebbe essere il principio della bancarotta. In periferia spaccare il centesimo significa far quadrare il cerchio come metodo di vita, come regola di convivenza dettata dall’istinto di sopravvivenza. Specie se questa quadratura alla massima potenza viene fatta sulle spalle, le tasche e la pelle di chi fior di centesimi esborsa: i non mercanti. A guardar bene il modello di economia periferica che Nuoro rappresenta in infinitesima parte è quello a cui si ispira l’idea liberista del governo del loden, dice Gramellini, subentrato al governo della bandana. Con una continuità rimasta inviolabile per quanto riguarda i costi da sostenere. Pagavamo prima, sborsavamo. Tanto più adesso. Il tempo del mercante non conosce né pietas né senso dell’egualitarismo. Immaginarsi se può concepire forme di commercio equo e solidale. A proposito: è capitato qualche volta, qui a Nuoro, di metter piede in qualcuno di questi punti vendita di prodotti “commercio equo e solidale”. Prezzi da far paura. Bisogna sapere organizzare la carità per poterne poi farne equamente uso. Carità, l’abbiamo già scritto altre volte, non come elemosina. Come uscirne. Impossibile ora, con un certo tipo di mentalità diffusa. Una città, uno Stato che non mettono al centro del proprio programma economico il giusto prezzo non potranno mai dirsi moderni. Come senso dell’oggi, non come passata categoria storica. Né ci potrà essere equità se non la si cerca, se non la si pone come obiettivo. Non possiamo fare affidamento sull’autorevolissimo governo Monti, a priori rivelatosi bocconiano. Prendo dal mio blog www.natalinopiras.it, da un post di appena ieri. “Anche la morte a Trieste di Lorenzo Pinna, 20 anni, 5 euro all’ora per montare un palco in vista del concerto del suo omonimo Lorenzo Jovanotti, è da imputare ai bocconiani al governo. La prima vittima del neoliberismo nostro contemporaneo. All’università Bocconi di Milano si insegna “a fare denaro dal lavoro degli altri, a costruire profitto”. Una scienza esatta che contempla a proprio vantaggio la morte degli altri, le vittime del sacrificio, la base della piramide-moloch. È la logica dello stato sanguisuga e dello stato-spettacolo: quello che mostra lacrime in anticipo e perciò non vere, non sgorgate da vero dolore”. Né progredirà il governo Monti che usa della confusione come aggiunta di metodo. Questa confusione gli ritorna dalla periferia, anche quella nuorese. Dove sembra che trovi esternazione il proverbio del rivu bulluzzatu bunna ‘e piscatores, acque torbide abbondanza per chi va a pescare. Una certa categoria di pescatori. Che è poi, ancora fuor di metafora, l’attuazione del tempo del mercante dentro la società dell’homo homini lupus. E se ha ragione Hobbes, che all’inizio della rivoluzione industriale identifico nel Leviatano, abissale mostro biblico, lo Stato assoluto allora c’è veramente da riflettere. Prima che venga incontrollabile paura.