Piombo fuso sulle nostre coscienze
16 Gennaio 2009
Manuela Scroccu
Il codice militare scelto per identificare la grande offensiva israeliana a Gaza è tratto da una filastrocca per bambini: «Il mio insegnante mi ha dato una trottola di piombo fuso. Sapete il perché? In onore della festa di Hanukkah». Sono i versi del poeta israeliano Haim Nahman Bialik, scritti in occasione della ricorrenza ebraica della festa delle luci. Gli alti vertici militari sono strane creature dalla fantasia feroce che accostano le parole di una poesia destinata alle voci gioiose dei bambini all’orrore della guerra e che scrivono volantini come quelli raccolti dall’attivista pacifista Vittorio Arrigoni, in cui si esortano i cittadini di Gaza a prendersi la responsabilità del “loro destino” chiamando il numero o la email indicata per comunicare qualsiasi informazione su qualsivoglia attività terroristica (!!!), salvando così se stessi dalla giusta punizione. L’inferno di Gaza è sotto gli occhi del mondo da 18 giorni: una regione costiera lunga e stretta, con una delle maggiori densità abitative del pianeta, sottoposta ad una pesante offensiva militare fatta di bombardamenti a tappeto con lo scopo dichiarato e ormai abusato di stanare i terroristi. E’ il solito metodo: interi quartieri sono stati rasi al suolo, le scuole dell’Onu sono state bombardate perché sospettate di nascondere arsenali militari nelle cantine, i morti civili sono ormai un “accettabile effetto collaterale” e i feriti affollano gli ospedali al collasso. La delegazione di europarlamentari guidata da Luisa Morgantini è riuscita a penetrare nelle zone di guerra, durante la tregua umanitaria di tre ore. I parlamentari, costretti a rientrare quasi subito a causa di alcune bombe israeliane cadute a poca distanza dagli edifici ONU, hanno raccontato di una grande emergenza umanitaria in atto. I generi di prima necessità, l’acqua e il pane, cominciano a scarseggiare, così come le medicine. Secondo una stima dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, i profughi sarebbero oltre 27.500 e Patricia McPhillips, rappresentante Unicef a Gaza, ha affermato che «non c’è nessun posto sicuro per i bambini e le loro famiglie a Gaza in questo momento». Nonostante la striscia di Gaza sia off limits per i giornalisti, le informazioni non mancano e sono precise e concordanti. Un esercito sta colpendo soprattutto civili inermi. Ma “c’è ancora del lavoro da fare”, secondo il capo di stato maggiore delle forze israeliane. Inizia la terza fase della guerra al terrorismo, ovvero l’ingresso delle truppe israeliane nei centri abitati palestinesi, e la possibilità di arrivare ad una soluzione diplomatica, nonostante la mediazione del Cairo, si fa più lontana. Se Gaza è sotto gli occhi del mondo, il mondo non ama parlare di Gaza. Troppo grandi sono le responsabilità della presidenza degli Stati Uniti (in attesa del nuovo corso di Obama), troppo blanda la capacità del’Unione Europea di accreditarsi come interlocutore credibile tra le due parti, troppo profonde sono le radici del conflitto e le ragioni storiche degli uni e degli altri. La situazione del popolo palestinese è il grande tumore che grava sull’intera comunità internazionale e che, periodicamente da più di sessant’anni, rilascia le sue metastasi. Intanto, la fredda contabilità di questi giorni di guerra è arrivata, a tutt’oggi, a 917 morti tra i palestinesi. Secondo il ministero della salute di Gaza almeno 400 sono donne e bambini. Le fonti mediche, invece, parlano di 75 donne e 292 bambini. Al netto della propaganda di Hamas sono comunque numeri inaccettabili. Le vittime riportate da Israele, fino ad ora, sono 10 soldati e tre civili, uccisi dai razzi lanciati dalle coste di Gaza. La sproporzione dell’azione israeliana è così evidente, anche a fronte del diritto di Israele di difendere i propri cittadini dagli attacchi di Hamas, che nessuno si prende più la briga di smentirla. Qualunque sia la conclusione di questa fase del conflitto è evidente che la prima grande vittima politica è proprio il dialogo israelo- palestinese sul quale aveva puntato le sue carte Abu Mazen. La popolazione di Gaza stava mostrando la propria insofferenza verso Hamas, che pure era uscito vittorioso alle ultime elezioni. Ora le bombe israeliane hanno definitivamente messo a tacere gli oppositori interni e, se il dialogo non riprenderà al più presto, l’odio generato in questi giorni avvelenerà molte giovani coscienze palestinesi per i prossimi anni a venire. E il ciclo di violenza riprenderà, inesorabilmente uguale a se stesso. Ironia della storia, proprio in questi giorni il regista israeliano Ari Folman ha vinto il Golden Globe (e probabilmente vincerà l’Oscar) con il film “Valzer con Bashir”, che ripercorre il massacro di Sabra e Chatila attraverso i suoi occhi, quelli di un ex soldato israeliano allora diciannovenne, alla ricerca della “sua” verità sulla strage e, forse, di un’assoluzione. Noi, abitanti a volte distratti di quest’emisfero occidentale ormai in declino, in attesa di quel diverso e agognato corso politico mondiale che ci trasporti lontano da questo primo decennio del nuovo secolo e dalla follia della guerra globale al terrorismo e dello scontro di civiltà, non possiamo fare altro che parteggiare per chi, “in direzione ostinata e contraria”, sceglie la via della non violenza come JB (la stampa ha riportato solo le iniziali), un uomo di 35 anni di stanza nella base di Tzéelim, primo caso tra i riservisti di obiezione di coscienza. Si farà 14 giorni di reclusione per aver avvertito il suo comandante che non era disposto a prendere parte alle operazioni di cui non condivideva né gli obiettivi né i mezzi: 14 giorni e l’assoluzione della sua coscienza.
11 Febbraio 2009 alle 10:56
FUSI NEL PIOMBO
Scaviamo
su ceneri e braci
ferro pelle cemento
polvere
su rughe frantumate,
polvere d’ossa
ansimo d’orrore.
Scaviamo
sulla terra
che terra non è più,
fusa nel piombo
con il fuso della nonna,
con il pianto di quaderni,
matite
scaraventate
lontano
in altro posto,
che non è cielo.
Scaviamo
con fretta furiosa
cercando aliti sussurri
scostando la paura,
cacciata a forza
in angoli di case,
inesistenti.
Come bicchieri di thé
sbriciolati dal piombo,
fuso come lava
su rocce, nuvole,
notti, albe
che riflettono
ombre di memoria.
Sterili semi
di saggi dormienti
su muri chiusi.
Nessuna breccia
da osare,
nessun anfratto,
solo rumore sordo
ai nostri
richiami.
Scaviamo,
ancora,
fusi nel piombo.
api, 29 dicembre duemilaotto