Espropri e debiti: il caso Nuoro/1

16 Gennaio 2012

Graziano Pintori

In Sardegna, storicamente, la madre di tante discordie è il diritto di proprietà.  Scorrendo brevemente l’operato dei piemontesi su questo tema, rileviamo quanto sia stata inadeguata la loro  legislazione e, conseguentemente  vana qualsiasi manovra tesa a modernizzare il tessuto economico produttivo isolano. I sabaudi graffiarono la superficie di un sistema secolare che per essere trasformato necessitava di interventi ben diversi. Quello fecero  ancor prima di legalizzare, a favore dei ricchi e prepotenti, le chiusure con muros barbaros di interi ademprivi. Le radici della questione sarda nell’800 penetrarono l’anima dei sardi e della loro terra. La riforma per superare il feudalesimo ebbe inizio rafforzando la sudditanza dei pastori e dei contadini nei confronti delle nuove proprietà, anziché introdurre e far conoscere metodi e mezzi di produzione più moderni per trasformare quell’economia agro-pastorale.  Agli occhi dei pastori e contadini  le chiusure si presentarono come “abusi e usurpazioni senza limiti, facilitati dall’incertezza del titolo di proprietà, dal fatto cioè che bastava recingere un terreno per essere proprietari”. Dalla legge delle Chiudende scaturirono forme di proprietà assenteiste che non migliorarono il sistema agrario. Anzi diede modo  ai ricchi e ai  potenti di espandere i latifondi: fecero pagare  a caro prezzo ai pastori e contadini la facoltà di seminarvi e il diritto di far pascolare i loro armenti.  Non è un semplice caso se in Sardegna certa proprietà è stata madre di tumulti e rivolte:  fu senza limiti la spudoratezza di certi consigli comunitativi, con i sindaci in testa,  che approfittarono del  ruolo per acquisire ampi terreni e, in molti casi, conseguenti titoli nobiliari. Questioni protrattesi anche lungo tutto il ‘900. Dopo due secoli dall’Editto delle Chiudende, con in mezzo l’unità d’Italia, due guerre mondiali, il fascismo, la lotta partigiana, la fine della monarchia e la scelta repubblicana, i piani di rinascita, il banditismo e la petrolchimica, si trascinano questioni insolute come “il rifiorimento della Sardegna” e il perfezionamento del diritto di proprietà. Oggi viviamo in centri urbani che hanno iniziato a mutare le caratteristiche dei luoghi vissuti  e l’espansione urbanistica ad iniziare dagli anni ’70 e ’80 del secolo scorso. Causa ne furono la  pressione demografica, i nuovi costumi e consumi coerenti con gli standard di vita di quel periodo. Come un bene da consumo anche il territorio fu sottoposto ad un uso smodato, quasi senza controllo per soddisfare in parallelo, come ancora oggi purtroppo accade, le esigenze speculative dei vecchi proprietari terrieri. E, in aggiunta, le nuove e potenti imprese edilizie ben sostenute da squadre di ingegneri, architetti, geologi, geometri, avvocati e  rappresentanti politici nelle istituzioni locali. Nuoro è un esempio emblematico nella filosofia urbanistica dominante di quegli anni. È degli anni ’80 l’ultimo PRG cittadino che  prevedeva, evidentemente senza criteri statistici seri e ponderati, di accogliere 80.000 (ottantamila) abitanti: un lasciapassare per l’assalto edilizio indiscriminato alla città se consideriamo che solo in quel periodo riusciva a superare di poco i 38.000 (trentottomila) abitanti, mentre oggi ne conta poco più di 36.000 (trentaseimila)! Insomma, il territorio era stato ridotto a bene di consumo, come l’automobile. Con la differenza che il mezzo può essere sostituito mentre certi luoghi non potranno più essere ripristinati e restituiti alla memoria. Le varianti urbanistiche e l’incauta politica degli espropri adottati da molte amministrazioni comunali, evidentemente con superficialità,  sono stati e probabilmente lo sono ancora gli strumenti che la politica degli affari e degli interessi privati ha manovrato in modo temerario:  per cancellare interi  comparti ambientali, archeologici, artistici, storici. Gli amministratori espropriavano e sanavano dove l’abusivismo aveva fatto strage del territorio, lasciando al futuro, cioè ai giorni nostri, città , paesi brutti e spogli di interesse urbanistico, i nodi legati agli espropri artatamente rimasti irrisolti.   Oggi quegli espropri significano cause, sentenze, transazioni quando possibili; significano debiti fuori bilancio che sgangherano la simmetria amministrativa e politica dei comuni. Un esempio viene sempre da Nuoro. Negli ultimi 5 anni sono state tolte dalle casse comunali, dopo  sentenze definitive del tribunale, circa 24 milioni di euro. Dal 1995 al 2000 furono liquidati circa 40 miliardi delle vecchie lire, tutto a scapito dei programmi e dei servizi comunali. Purtroppo dal 2000 al 2005 non sono disponibili i  dati reali. Possiamo però sostenere che negli ultimi 15 anni questa città ha esborsato intorno ai 60-70 milioni di euro, vale a dire che l’intera politica economica e finanziaria è stata in tutti questi anni fortemente condizionata dai debiti fuori bilancio. Un vero pozzo senza fondo! Ma dove è andata a finire questa  massa di denaro? Istintivamente l’interrogativo riaccende il ricordo della “evoluzione storica della proprietà fondiaria sarda”, la questione del diritto di proprietà, dell’uso parassitario e speculativo delle terre ricordati nella prima parte di questo intervento. Quello che resta amaramente da constatare è che da questi denari le nostre comunità non hanno conosciuto, e non conoscono, né nuovi investimenti, né sviluppo, né nuovi posti di lavoro. “La manna caduta dal cielo”, ovvero dalle casse comunali e dalle tasche dei cittadini, tale è rimasta per chi l’ha raccolta, investendo magari in altri siti, oppure attuando una semplice spartizione di quote ereditarie da godere in ben altri luoghi, in altri oceani, in quanto a molti rampolli delle vecchie chiudende l’unico legame che resta con la nostra isola è solo quello di far defluire denaro fresco. Nuove ricchezze, seppure oltraggiosamente parassitarie.

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