Vogliamo almeno discuterne
1 Febbraio 2009
Dibattito promosso dal Manifesto Sardo
Come abbiamo anticipato nei giorni precedenti, proponiamo ai compagni candidati nelle liste del centrosinistra, a quelli che sono comunque impegnati nella campagna elettorale e a quelli che la vivono con distacco di esprimere le loro opinioni sulle prospettive del prossimo governo regionale e sul futuro della sinistra in Sardegna,
Gli argomenti che sollecitano questo dibattito sono diversi: si va dalla crisi gravissima che investe la nostra economia e si ripercuote pesantemente su milioni di famiglie alla situazione internazionale sempre più annunciatrice di conflitti, dal federalismo fiscale che non promette niente di buono alle regioni del sud alle limitazioni degli spazi democratici e dei diritti. E’ di questi giorni la proposta di creare una soglia di sbarramento per le prossime elezioni europee con lo scopo di emarginare ulteriormente le piccole formazioni della sinistra. Intanto i pericoli di nuovi licenziamenti sono sempre più incombenti e si chiede alla CGIL, che sinora ha mostrato maggiore sensibilità nella difesa dei contratti e dei livelli salariali, di essere arrendevole nei confronti della confindustria e del governo.
A sinistra, quando non si litiga, si discute separatamente di questi problemi. È utile continuare così? Perché non farlo assieme, almeno a livello di metodi e programmi? Noi vogliamo creare uno spazio per questa pratica, la cui logica va ben oltre la stessa campagna elettorale che è molto difficile e impegnativa.
Inviateci nel merito una vostra riflessione, entro il limite massimo di tremila battute spazi compresi. Gli interventi saranno inseriti in un testo dal titolo ‘Vogliamo almeno discuterne’ che porterà i contributi di tutti e che sarà pubblicato nell’intervallo tra il numero 43 e il numero 44.
Interventi di
Rosario Musmeci (candidato per ‘La Sinistra’), Prima discutiamo.
Giuseppe Mura (candidato indipendente per il PRC), Prima partecipiamo.
Pietrina Chessa (candidata per il PRC), Prima vinciamo.
Sinistra Critica Sarda Prima costruiamo.
ROSARIO MUSMECI
Prima discutiamo
L’interrogativo sulla sinistra, sul suo senso e sulla sua rappresentanza, non può essere affrontato in un futuro post-elettorale nella speranza che esso contenga nuovi assetti di potere o nuove prospettive di leadership. L’interrogativo si pone oggi.
Si pone cioè in un momento in cui, scomparsi dalle istituzioni centrali i nostri tradizionali simboli, avanza con inedita urgenza il problema di costruire una forma politica unitaria e plurale che viva nel cuore delle trasformazioni. Tesa ad affermare, coniugandoli in un contesto di libertà e responsabilità, i valori di uguaglianza, di solidarietà, di giustizia, di sostenibilità.
Unitaria e plurale, perché la sinistra non si declina nella formula di una monotona ortodossia, ma si nutre delle attese, delle speranze, della tensione morale che ciascuna persona porta in dote.
In quest’ottica, ciò che non è utile è appunto l’incontro di gruppi dirigenti, la definizione rigida di parole d’ordine, il culto sterile del passato con le sue biografie individuali e collettive.
Serve piuttosto una visione condivisa del futuro.
Serve la coscienza dei drammi della contemporaneità assunta come piattaforma estesa su cui incidono i nostri gesti più minuti.
Serve la chiara percezione del valore dei singoli gesti quotidiani, la consapevole urgenza di promuovere pratiche individuali e collettive che ridefiniscono stili di vita e modelli collettivi.
Il primo sì che dobbiamo pronunciare con forza è alla consapevolezza del cambiamento.
La sinistra è tale se è in grado di rigenerarsi nutrendosi della quotidianità. La sinistra è, se posso permettermi, uno stato dell’anima, e nello stesso tempo tensione e prassi. La sinistra è urgente, ha fame e sete di giustizia, riconosce i tratti e le piaghe estese della disuguaglianza. Visione, pratica e ricerca sono le tre componenti che ne declinano il cuore pulsante. Che ne formano la testa e il cuore.
L’esperienza di governo regionale porta in dote coscienza, tensioni e ipotesi che hanno molto a che fare con quanto sin qui ho detto, e costituisce pertanto la trama su cui operare insieme.
Tracciare l’ordito è il nostro compito, è il compito di una sinistra che guida processi, che fissa l’agenda, che è consapevole della propria funzione, che non si propone come spalla o come ornamento, bensì come propulsione vitale di un largo schieramento democratico e progressista. Che non si vive residuale e nostalgica, né persegue orizzonti distinti, ma, consapevole del dramma umano dei nostri giorni, si rivolge ed interroga tutte le coscienze.
GIUSEPPE MURA
Prima partecipiamo
Tra le critiche a Soru emerge quella di scarsa sensibilità democratica, di aver governato da principe. Non infondata, ma ho l’impressione, fondata, che alcuni tra i critici più determinati miravano a compromessi poco limpidi, piuttosto che a mediazioni politiche: vedi, fra tutte, la madre di tutte le imboscate, sul PPR.
Nelle nostre assemblee rappresentative si rappresenta sia il conflitto e le mediazione tra interessi politici e sociali legittimi; sia il conflitto e il compromesso tra ceti politico-affaristici.
Esiste uno “strumento” capace di evitare la degenerazione della rappresentanza politica e sociale? E se sì, è praticabile qui ed ora, a partire dalle prossime elezioni?
Queste, al di là dei rilievi critici sul programma passato e attuale, pure molto importanti, sembrano le domande cruciali.
La prima risposta appare persino banale: la democrazia partecipativa. Ma cosa si intende propriamente? Sicuramente non è riducibile all’adozione di alcune pratiche, il bilancio sociale o altre di tipo consultivo. Molto importanti ma non risolutive, e comunque attuabili in piccoli contesti.
Sembra più promettente il concetto di percorso, che intrecci, a livelli diversi, partecipazione, consultazione, mobilitazione e azione di governo in tutte le fasi decisionali: elaborazione, decisione, controllo e verifica.
Resta da capire come organizzare la partecipazione dal basso, in un momento in cui sembra prevalere la mentalità già delineata da Primo Levi, in ben più tragico contesto,: chi è colpito accetta fatalisticamente (i musulmani), chi provvisoriamente scampa, ringrazia il cielo. Per dirla con don Milani: si tende a sortirne da soli, piuttosto che insieme.
Sortirne insieme, aggiunge, è la politica, e qui si gioca il ruolo dei partiti e delle organizzazioni politiche, specialmente di sinistra.
Finora, il rapporto a sinistra tra partito e masse, scusate lo schematismo, era di tipo pedagogico e egemonico: formazione, controinformazione, mobilitazione contro le politiche antipopolari e a supporto delle battaglie della sinistra.
Ha funzionato fino agli anni ’70, ed aveva come punto di forza il radicamento territoriale e di classe.
Poi non ha più funzionato, non solo per lo smantellamento organizzativo e la smobilitazione territoriale. Ma perché è cambiato radicalmente il mondo e l’universo comunicativo, e quindi le modalità di costruzione dell’immaginario, del senso comune, della narrazione della realtà. E la sinistra ha accettato il terreno di competizione, e spesso il punto di vista, dell’avversario, abbandonando il proprio.
Oggi è possibile ricostruire relazioni politiche fra gli sfruttati e la parte più debole della società non solo elaborando buoni programmi, ma praticando la democrazia partecipativa a partire dai problemi concreti e drammatici del lavoro, del caro vita, della casa, della scuola, della sanità, dell’ambiente, e riuscendo a imporli, anche con la mobilitazione, nelle scelte di governo.
Infine, mi pare che questa possa essere anche la palestra per la costruzione di una sinistra unita e plurale.
PIETRINA CHESSA
Prima vinciamo
Esordisco con una battuta per sdrammatizzare : prima dobbiamo vincere le elezioni e poi caratterizziamo la nuova esperienza di Governo! La Regione ha innovato, costruito e progettato in questi quattro anni ma lo smarrimento dei cittadini dimostra che la Politica pare non dare le risposte attese ed è necessario, pertanto, superare la disaffezione al voto che dimezza il risultato elettorale. Non dobbiamo farci del male da soli. Abbiamo bisogno di mantenere ben saldo l’ancoraggio a sinistra di questa coalizione perché i moderati del PD hanno preso il sopravvento sulla componente di sinistra in esso presente
Arriviamo al voto con qualche anticipo e con qualche ritardo, rispetto ai tempi di un progetto politico, di una proposta che sappia interpretare i bisogni della società perché esiste una parte del centro sinistra che possiamo definire immobiliarista (!!)capace anche di fare autolesionismo politico , trascurando il grande risultato del referendum sulla legge salvacoste e la risposta dei cittadini, al tentativo del centro destra di ostacolare, in tutti i modi, la volontà del popolo sardo, di trattare il paesaggio come una risorsa da tutelare per investirne l’esistenza , non il suo consumo, per trarre vantaggio e lavoro. La politica di centro destra non dà risposte, anzi, nella crisi globale i liberisti cercano i profitti a spese dei più deboli. E se non basta questo a spingere la sinistra a superare le divisioni, e ad impegnarsi coerentemente con i principi cardine di sinistra che sintetizzo citando Che Guevara “marciare nella Sierra Maestra al passo del compagno più debole”, allora vuol dire che quelli che si definiscono di sinistra non lo sono realmente e che altri elementi hanno preso il sopravvento nella loro cultura e nel loro modo di essere. Nella prossima legislatura si deve dare fiducia alle persone nuove portatrici di esperienze e di culture diverse, soprattutto a quei candidati tra cui molte donne, che provengono da esperienze del fare politica nel quotidiano, abituate ad ottenere risultati dal proprio impegno e non dal frequentare gli assessorati o almeno i corridoi delle stanze dove si annida il potere. La presenza di queste persone, nel Governo regionale, consentirebbe un metodo nuovo di lavoro attivo di sviluppo e circolazione di idee e udite udite, anche di orientamento della spesa pubblica da parte di certi amministratori, talvolta troppo occupati da interminabili riunioni di correnti , sottocorrenti, gruppi e sottogruppi, al punto da sottovalutare o addirittura ignorare esigenze e problematiche che nelle famiglie sono pane quotidiano. Alcuni interpretano anche nei partiti il “federalismo” nel concetto bossiano del termine: ognuno vorrebbe fare come gli pare perché questo è il senso dell’autonomia regionale rivendicata da tanti nostri compagni della sinistra, il simbolo o il nome del partito possono essere presi a noleggio perché servono alle scadenze per richiamare l’elettorato, ma poi di quel partito non si vuole riconoscere nessun vincolo, e se ce ne sono si chiedono le deroghe.
Riproporre Gramsci, dal quale non ci siamo mai allontanati, la modernità della sua lezione significa soprattutto esigenza di verità per conoscere la realtà e impegnarsi per modificarla a vantaggio del popolo sardo: l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza, chiedendo agli elettori di votare per i candidati la cui fisionomia ho indicato prima consentirebbe alla sinistra di caratterizzare con forza la nuova esperienza di Governo
SINISTRA CRITICA SARDA
Prima costruiamo
Queste elezioni, come la crisi politica che le ha generate, non sono l’uscita da un temporaneo e salutare black out, ma l’avanzata in un oscuramento progressivo e duraturo. Ne indichiamo tre aspetti.
1. LA CONCLUSIONE MONARCHICA DELLA LEGISLATURA: la vicenda ha realizzato nella storia repubblicana il primo scioglimento di un parlamento da parte del capo di un esecutivo. Il Presidente dimissionatore ha inteso impedire una tempistica aperta e non rinunciabile (opinione pubblica, coalizione, programma, primarie ecc.) a cui tutti ritenevano di aver diritto al termine di una stagione controversa e storicamente particolare. Ha sostituito ciò con una condizione imperativa (“non vi è altra possibilità all’infuori di me”), un diritto di prelazione (sulla formazione di tutte le liste di coalizione), e una potestà avventuristica sull’interesse generale (il blocco della finanziaria regionale nella simultaneità del tracollo industriale, dell’indebitamento agrario, della paralisi bancaria e del generale caos finanziario). L’anticipazione forzata delle elezioni ha trasformato queste in un referendum popolare. La pseudo-campagna contro la destra ha come posta reale questa legittimazione per plebiscito.
2. L’ ECLISSE POLITICA DELLA SINISTRA SARDA: le ragioni del grave auto-oscuramento a sinistra sono due: la prima, la subalternità terminale della ex sinistra radicale nella generalità delle situazioni locali (“meglio Soru” ecc.); la seconda, la persistente incapacità della sinistra antagonista di intraprendere una nuova “composizione” organizzativa e progettuale. Questi due aspetti sono connessi e indicano le condizioni obbligate per il superamento della stagnazione presente: non vi è sinistra se non “contro” le dirette espressioni di questo capitalismo, inteso prima di tutto nei suoi padroni e nei suoi esecutivi; non vi è prospettiva se non “attraverso” il superamento di ciò che è disperso e la composizione di ciò che è in formazione. La tentazione solitaria della pura visibilità elettorale (v. pcl) rappresenta un fallimento per chi la intraprende ed un ostacolo ulteriore per l’intero movimento.
3. L’ APPELLO IRRICEVIBILE AL VOTO UTILE: un voto necessitato non è una scelta e non è nemmeno un voto; è chinare il capo e metterlo nel giogo, sapendo che in forza di questa attuale necessità sarà così anche la prossima volta. L’impossibilità di progetti politici diversi da quelli bipolari (limitazione dell’elettorato passivo) e la costrizione all’espressione del voto utile (compressione dell’elettorato attivo) “aggiogano” la sovranità popolare a un modello anti-costituzionale e stringono l’espressione politica in una tenaglia (un forcipe) che strozza la democrazia nel suo spazio formativo elementare: questione rispetto alla quale la competizione di circostanza Soru-Cappellacci si riduce al remake del solito unico varietà, che si propone di occupare lo spazio pubblico per non avere più fine.
IL VOTO DI “SINISTRA CRITICA”: sulla prima questione (la fine anticipata della legislatura e il carattere referendario delle elezioni) non possiamo che sottrarci alla legittimazione definitiva di un modello politico fondato sull’eliminazione della sinistra e sulla modernizzazione del processo coloniale in Sardegna, e perciò siamo assolutamente “disgiunti” da entrambi i candidati presidenti del bipolarismo. Sulla seconda questione (l’auto-oscuramento della sinistra sarda e la necessità del superamento della condizione presente) rimarchiamo che la comune costruzione di un soggetto politico anticapitalista è la nostra ragione politica di esistenza, ed è insieme la consapevolezza delle nostre insufficienze. Sulla terza questione (l’impraticabilità politica del voto utile e l’astensione dal bipolarismo) chiariamo che non intendiamo privarci necessariamente dell’umana sollecitudine a votare, dove lo riteniamo opportuno, per compagni che continuiamo a stimare, nonostante il pasticcio inclemente nel quale sono secondo noi imprigionati.