Da Belèm a Betlem
17 Febbraio 2009
Franco Uda*
Come descrivere quello che si è svolto dall’altra parte del mondo tra il 27 di gennaio e il 1 di febbraio? Con l’ausilio di alcuni “quadri”, scelti tra le tante cose che mi è capitato di vedere e a cui ho partecipato. Come in una grande galleria d’arte, proveremo a muoverci attraverso immagini che, apparentemente statiche, acquisteranno profondità, movimento, suono. Passeremo attraverso l’ingresso, poi nella sala principale, con tre grandi affreschi, infine raggiungeremo l’uscita. Senza alcuna pretesa di completezza, solo per una condivisione comune.
Ingresso. Il bilancio ha superato ogni aspettativa, considerati i timori di partenza dati dalla difficoltà di raggiungere il cuore dell’Amazzonia. 135mila i partecipanti iscritti, 15mila nell’accampamento della gioventù, 3mila quelli accolti nella tenda dei bambini, per un totale di circa 150mila attivisti regolarmente iscritti. Le associazioni coinvolte nell’evento sono state 5808: di queste, 489 giunte, con i propri rappresentanti, dall’Africa, 119 dall’America centrale, 155 dall’America del Nord, 4193 dall’America del Sud, 334 dall’Asia, 491 dall’Europa, 27 dall’Oceania, e che hanno promosso, nel complesso, ben 2310 attività autogestite nel corso dei sei giorni di lavori. A livello organizzativo, si sono contati 4830 addetti tra volontari, traduttori, tecnici e responsabili del comitato promotore. Oltre 200 le attività culturali con 1000 artisti che hanno organizzato performances gratuite in tutta la città; 5200 gli espositori nelle botteghe, negli stand della fiera dell’economia solidale e negli spazi di ristorazione. Anche la copertura mediatica ha registrato cifre imponenti: il Forum è stato seguito sul posto da 800 testate di 30 Paesi, per un totale di circa 4500 giornalisti, freelance e professionisti della comunicazione. Ingente anche la partecipazione degli indios: erano presenti, infatti, 1900 indigeni e 1400 quilombolas, figli degli schiavi, di 120 popoli diversi.
Primo quadro. Il Forum apre i suoi lavori a Belèm, nel cuore dell’Amazzonia, con una grande marcia in cui tutti i partecipanti hanno invitato la città a raccogliersi in Praca Pedro Texeira (Escadinha) per la cerimonia d’apertura dell’evento. Sono stati i popoli indigeni a condurre la manifestazione con un rituale condiviso tra le oltre 60 differenti nazioni della terra. Nell’evento hanno accolto i popoli africani ospitanti l’ultima edizione del Forum Sociale Mondiale a Nairobi (Kenya). Insieme hanno condiviso un commovente Pasto sacro e a propria volta i rappresentanti dei popoli africani hanno introdotto gli indigeni alla propria cultura, affidando loro il testimone del Forum e accompagnati da tamburi e birimbau. Gli indigeni hanno preso la testa del corteo invitando i circa 100mila partecipanti, e insieme ad essi tutta la città di Belèm, a camminare insieme portando con sé tutte le proprie bandiere, gli striscioni e i simboli delle proprie lotte. Anche il giorno successivo la “mistica”, cioè la cerimonia spirituale indigena, è stata il filo rosso di tutte le attività che sono state dedicate ai 500 anni di resistenza, conquiste e prospettive delle popolazioni indigene ed afrodiscendenti: è la giornata Pan-Amazzonica, incentrata sui problemi e le lotte della regione, dove i popoli e i movimenti indigeni dell’Amazzonia hanno dialogato col mondo e imbastito alleanze planetarie. In tre palchi, distribuiti tra i campus universitari sedi del Forum, è stata intessuta da cerimonie e rituali dei popoli nativi di ogni parte del mondo una trama di testimonianze e seminari divisa in assi tematici che hanno avuto modo di riflettere e discutere su cambiamenti climatici e giustizia ambientale, diritti umani, lavoro, migrazioni, fine della criminalizzazione dei movimenti sociali, terra, territorio, identità, sovranità alimentare.
Secondo quadro. La “giornata dei Presidenti”, così sarà ricordata. Non c’è precedente, nella storia mondiale dei movimenti sociali, che 5 Presidenti della Repubblica interloquiscano direttamente con questi. Che fosse una giornata particolare era chiaro sin da quando, diverse ore prima dell’incontro, una chilometrica catena umana ha cominciato a disporsi ordinatamente in fila prima dell’ingresso. All’interno della grande e moderna struttura plurifunzionale una gran folla che, al ritmo di samba e bossa nova, danzava, come in una gigantesca sala da ballo, in attesa dell’inizio. Evo Morales, Rafael Correa, Fernando Lugo, Hugo Chavez e Luis Inacio Lula da Silva, un indio, un economista, un prete, un soldato, un sindacalista, oggi Presidenti delle Repubbliche di Bolivia, Ecuador, Paraguay, Venezuela e Brasile, siedono al tavolo sopra un palco e ascoltano gli interventi dei rappresentanti del Consiglio internazionale del Forum Sociale Mondiale e delle popolazioni indigene amazzoniche. Vengono avanzate richieste e rivendicazioni chiare, che non lasciano spazio a convenevoli: dagli accordi commerciali al debito ecologico, dalla sovranità alimentare alla necessità di una integrazione basata sulle necessità degli emarginati e degli esclusi. Imponente la presenza femminile, dei giovani, del sindacato. Le repliche dei Presidenti sono puntuali, articolate ed evidenziano un intreccio efficace tra contenuti e qualità oratorie; chiude Lula, con passione, tra le ovazioni. Tra organizzazioni sociali e politica poteva innescarsi un processo di collateralismo o di chiusura in camere stagne: si è scelta la via dell’autonomia del Forum dalle istituzioni e dalla politica, scelta che consente questo dialogo, nel riconoscimento reciproco ma anche nella reciproca assunzione di responsabilità.
Terzo quadro. Nella contingenza di una crisi economica mondiale di enormi proporzioni che trova grande spazio di discussione nei seminari del Forum, c’è anche un dibattito profondo e articolato che tenta di dare un contributo innovativo e apre nuovi scenari rispetto ai temi dello Stato-nazione, della rappresentanza democratica, dell’identità dei popoli. In un affollatissimo seminario promosso dal Coordinamento delle popolazioni indigene andine, si è avuta la netta sensazione che il Vecchio continente sia anche portatore di un pensiero vecchio. Non emergono in Europa approcci teorici che, agiti politicamente, sappiano dare risposte convincenti alla crisi della democrazia così come l’abbiamo ereditata dalla Rivoluzione Francese. Non è un caso se i più rilevanti conflitti sociali sono oggi individuabili nella rivendicazione di sovranità delle comunità locali, nell’attribuzione di competenze tra lo Stato centrale e le sue articolazioni o rispetto alla gestione dei beni comuni. Da noi la vera partita è quella in difesa di uno Stato nazionale che sappia garantire universalità e uguaglianza nell’esigibilità dei diritti, nella ricostruzione di spazi pubblici, nel riconoscimento e ruolo della società civile organizzata; in Sudamerica si opera un processo di decostruzione dell’idea classica di Stato e si esplorano terreni nuovi e forse anticipatori, come quello su cui è basata la nuova Costituzione della Bolivia che introduce il concetto dello Stato plurinazionale e comunitario, sul ruolo delle comunità locali come custodi responsabili dei beni comuni e partecipanti ai processi decisionali democratici, sulla mutazione del concetto stesso di territorialità che riesce a dare risposte alle rivendicazioni dei popoli senza stato. Uscita. Dalle assemblee tematiche auto organizzate le conclusioni che sono confluite nell’assemblea delle assemblee insieme ad un’agenda delle mobilitazioni internazionali. Il prossimo appuntamento a Copenhagen sulla giustizia climatica, nella terza settimana di marzo, promosso da una grande alleanza mondiale che va ben oltre i movimenti ecologisti. Quasi contemporaneamente ad Istanbul il Forum alternativo per l’acqua, frutto di una convergenza delle reti mondiali, realizzata proprio a Belèm. A Londra il 1 e 2 aprile riunione dei G20 con grandi manifestazioni nei diversi Paesi dalla settimana precedente. Il 4 aprile, mentre la Nato celebrerà i suoi 60 anni, saranno organizzate dai movimenti antiguerra, pacifisti e nonviolenti numerose mobilitazioni. Molte le richieste di partecipazione alla delegazione italiana per il vertice del G8, a luglio a La Maddalena, che dopo questo Forum sarà all’attenzione di tutti. Dalle organizzazioni indigene la proposta della Giornata di lotta per la madre terra contro la mercantilizzazione della vita, il 12 ottobre, condivisa da tutti i movimenti mondiali. Infine, ma non ultime, le mobilitazioni di solidarietà con la Palestina che chiederanno il deferimento di Israele alla Corte Internazionale di Giustizia, la sospensione dei trattati commerciali con l’Ue, la revoca degli accordi militari e del libero commercio. Questo Forum ha ribadito il proprio processo di maturazione: da evento a processo, per movimenti, campagne e lotte sociali impegnate per l’alternativa alla crisi globale.
*Presidente regionale Arci Sardegna