Notti padane. Storia d’Italia storia locale
3 Marzo 2012Valeria Piasentà
Qui in Piemonte la questione noTav sta infiammando gli animi, oltre che le autostrade e i boschi in rogo. E non solo qui. Perché se «ogni storia d’Italia è una storia locale» – sosteneva creando coscienze critiche il mio docente e relatore di tesi un millennio fa, il prof. Giorgio Politi che perciò non smetto di ringraziare – la ribellione dei noTav che parte dalle valli piemontesi, come quella dei noDal Molin da Vicenza e dei nof35 da Novara, non riguarda solo una questione locale. Oltre ogni considerazione analitica e razionale (qui il libro del 2006, 100 ragioni contro la Tav in Val di Susa) alla base di questa protesta c’è una rivendicazione politica unificante e unitaria, che consiste: 1) nella difesa del territorio e 2) nella pretesa di un allargamento della decisionalità in quella democrazia diffusa realizzabile solo con gli strumenti della democrazia partecipativa. Gli abitanti della Val di Susa si oppongono agli espropri coatti di quelle terre e montagne dove vivono e lavorano da generazioni. Questa protesta racconta in primo luogo la storia di un ambiente antropizzato dove uomini, animali e vegetali formano un unicum (come unico è ogni particolarismo locale) che chiede di essere rispettato e ascoltato, proprio come negli intendimenti originari di ogni movimento localistico, specie indipendentista. E «Padroni in casa nostra» è lo slogan dei leghisti, ma da che parte sta la Lega Nord ora? proprio oggi che si oppone al governo tecnico di Monti? non certo da quella del suo ‘popolo padano’, cui a pieno titolo rientrano gli abitanti di un territorio delle Alpi piemontesi. E’ evidente: per la Lega Piemont i piemontesi on sono tutti uguali.
Tanto che al Consiglio Regionale piemontese del 1 marzo, i rappresentanti della Lega hanno chiesto di censurare il comportamento di alcuni consiglieri schierati con i valligiani, in quanto è «inaccettabile l’atteggiamento di amministratori ed eletti, anche del Consiglio regionale, che si sono schierati al fianco di questi violenti organizzati nel blocco dell’autostrada e dei collegamenti stradali della valle». E il presidente della regione Cota che, forse per ingenuità o forse per presunzione unita a egocentrismo politico, insinua «ci sono persone che vengono da fuori, finanziate, evidentemente perché ci sono interessi a che il Piemonte e il nostro sistema produttivo non si sviluppi».
Invece, la resistenza estrema dei noTav accoglie soprattutto il sentimento politico di tanta parte d’Italia, di giovani in particolare che sanno mobilitarsi in ogni dove e con creatività per il diritto allo studio in una scuola pubblica, per il diritto alla cultura e a un lavoro dignitoso, ecc.
E che sono sempre più arrabbiati e determinati. Si tratta di cittadini e di giovani non rappresentati in Parlamento e spesso neppure sulle pagine dei maggiori organi di stampa e mediatici. Sconcerta che tanto il nostro cosiddetto governo tecnico quanto la stampa e soprattutto i politici eletti (Pd compreso), non riescano a vedere e non vogliano neppure riconoscere questa evidente realtà. Che la delegittimino con poche parole d’ordine artefatte e a un tempo denigratorie e provocatrici, come dimostra il documento della Lega citato sopra, del genere “son solo comunisti, anarchici, resti di centri sociali” (fra l’altro: come se i frequentatori di centri sociali non debbano avere diritto di parola ne’ di cittadinanza in Italia e neppure europea, e che sono mai? Svizzeri? o ‘reietti delle isole’?).
Eppure non sarebbe così difficile capire la gravità del sentire sociale, basterebbe incrociare il numero degli italiani per vari motivi indignati e disobbedienti con quello degli italiani che hanno ancora fiducia nei partiti che li rappresentano in parlamento e nelle amministrarzioni locali, solo il 4%. Ma chi e dove può far arrivare le rivendicazioni di questo popolo senza più voce perciò con la sola arma dell’occupazione di autostrade, binari dei treni, sedi del Pd, e costretti al sasso in mano in assenza di altre possibilità comunicative? Ed è così che il segretario di Rifondazione, Ferrero originario di un’altra valle piemontese, ora scriva a Monti una lettera aperta chiedendo la sospensione dei lavori, aspettiamo la risposta, se ci sarà. Intato il ministro dell’interno Cancellieri (già sindaco reggente di Bologna e allora nelle simpatie della Lega Nord) dopo aver inviato, come i suoi predecessori, l’esercito e la polizia per sedare la ribellione ma questa volta anche nelle case dei privati e sfondando le porte delle trattorie per stanare i manifestanti uno a uno, dichiara che « non esistono margini di trattativa». Intanto si riunisce in Viminale con il comandante dell’arma dei carabinieri, il capo della polizia Manganelli (nomen omen… e guadagna 620.000 euro l’anno, il doppio di Obama!), i presidenti della regione Piemonte e della provincia di Torino Roberto Cota e Antonio Saitta, il sindaco di Torino Piero Fassino, tutti politici che a più riprese si sono dichiarati favorevoli al proseguimento dei lavori: la delibera è scontata. Mentre il movimento da Bussoleno ha inviato un messaggio ai simpatizzanti in ogni luogo: «blocchiamo tutto, e dappertutto».
L’unica che continua proficuamente nei suoi affari è la ‘ndrangheta, che grazie ai cantieri della Tav guadagna due volte: con l’assegnazione di quei subappalti che per la loro natura aggirano i certificati anti-mafia; e riempiendo illegalmente gli scavi sotto i binari con rifiuti tossici, come da anni stanno accertando le Procure del Piemonte orientale e del milanese. E ogni tanto ci scappa pure il morto.
In ultima analisi: la rivolta dei noTav estendendosi nelle città d’Italia da Nord a Sud, supera la situazione e le rivendicazioni contingenti essendo tanto particolarmente localistica da diventare universale. Rappresenta e coagula intorno a sé un sentimento politico collettivo diffuso, in gran parte giovanile, che ha innumerevoli altre ragioni di scontento e attende di essere rappresentato istituzionalmente e razionalizzato in un pensiero ideologico.
Altrimenti quella italiana e occidentale in genere, sarà sempre più una democrazia incompiuta ed elitaria, di e per pochissimi ricchi e potenti coi lori famigli e tutto il loro ideologico (questo sì strutturato e accettato socialmente grazie a una diffusa politica di costruzione del consenso) familismo amorale, fino all’afasia. E, forse, alla dittatura.
Aggiungiamo anche, come ulteriore documentazione, il dossier 150 NUOVE RAGIONI CONTRO LA TAV (red)