Francesco Cito e la Palestina
17 Febbraio 2009
Antonio Mannu
A parere di Ferdinando Scianna, primo italiano a far parte dell’agenzia Magnum, Francesco Cito “è forse oggi il miglior fotogiornalista italiano. Ha l’istinto del fatto, la passione del racconto, la capacità di far passare attraverso le immagini, con forza di sintesi e rigore visivo, l’essenzialità delle cose”. A me le pagelle non sono mai piaciute, non amo sentir dire: è lui “il migliore”, ma Cito è certamente uno che si distingue, non soltanto come fotografo. Con le sue immagini, a volte dure e crude, difficili da guardare, in altri casi di grande bellezza, Cito racconta le storie che incontra in modo vivo, personale e diretto.
Recentemente è stato in Sardegna per condurre un breve seminario ad Oristano, ed ho avuto occasione di incontrarlo. Come ogni buon giornalista Cito è “curioso”, vuole conoscere e sapere ed é’ sempre ben informato sulle situazioni che racconta. Nel corso degli anni ha lavorato in molti tra i luoghi caldi del pianeta: Afganistan, Libano, Arabia Saudita, Iran, Bosnia, Kossovo. E molto a lungo ha lavorato in Palestina. Alla luce degli ultimi tragici eventi di Gaza, un paio di settimane fa, gli ho fatto alcune domande:
Come vedi la situazione oggi? Ci sono spiragli per una convivenza pacifica tra palestinesi ed israeliani?
“La situazione attuale mi sembra pessima, ma è da quando frequento la Palestina che non vedo miglioramenti, solo un progressivo deterioramento. Non penso ci sia volontà di pace, in particolare da parte israeliana non si vuole arrivare ad un accordo accettabile. Al tempo di Oslo c’è stato un reciproco riconoscimento, ma poi è arrivato l’ assassinio di Rabin; contemporaneamente, nonostante Oslo e un governo laburista, si è assistito al maggior incremento di colonie ebraiche in Palestina, in violazione palese degli accordi. Il ritiro da Gaza del 2005 è stato motivato da ragioni economiche, perché l’occupazione militare ha un costo, non certo da benevolenza o volontà di pace. E poi da entrambe le parti è cresciuta l’influenza fondamentalista.”
Quali pensi potranno essere gli sviluppi della situazione politica in Palestina? Trattare con Hamas é necessario?
Che bisogna trattare con Hamas lo ha detto di recente anche Tony Blair. Quando in Italia lo ha detto D’Alema apriti cielo. Hamas ha vinto le elezioni, democratiche e regolari, volute dagli Stati Uniti e concordate con l’ANP. Non vedo perché non si debba accettare il voto palestinese con la motivazione che hanno scelto dei terroristi. La patente di terrorismo viene data e tolta da chi ha il potere di farlo. Gli inglesi la davano a Shamir e a Begin, è cosa nota, dirigenti dell’Irgun e del gruppo Stern, considerati dei padri della patria in Israele e che facevano attentati tra i civili nei villaggi palestinesi. Per quanto riguarda gli sviluppi politici in Palestina, a mio parere una possibile via d’uscita, dalla situazione di quasi guerra civile e di profonda divisone che è oggi un dato di fatto, potrebbe essere la liberazione dalle carceri israeliane di Marwan Barghouti, che gode di grande prestigio condiviso. Oggi Al Fatah è in crisi profonda: i palestinesi sono inclini a seguire chi combatte Israele e difende l’idea di una patria indipendente, un sentimento molto forte in Palestina. Barghouti potrebbe rilanciare una leadership credibile e alternativa ad Hamas. Ma non credo che gli israeliani lo faranno. Per loro sono molto meglio Hamas e una Palestina divisa ed in conflitto.”
A quando risale la tua ultima visita?
Ci sono stato a cavallo tra il 2004 e il 2005, alcuni giorni a Gaza, poi a Nablus, Ramallah, Betlemme e Abu Dhis. Nella Striscia c’ erano ancora le truppe israeliane, il ritiro è infatti del settembre 2005, ed era un periodo di relativa calma. Hamas era già forte, anche perché l’organizzazione ha sempre lavorato molto nel sociale.”
Quand’è che Hamas comincia a radicarsi in Palestina?
Hamas comincia a crescere e a diventare rilevante, soprattutto nella Striscia, a partire dall’87, in concomitanza con lo sviluppo dell’ Università Islamica di Gaza, favorito dal fatto che Israele ha sempre ostacolato l’attività dell’ Università di Bir Zeit. Da questa, laica e legata ad Al Fatah, uscivano gran parte dei quadri dirigenti palestinesi. A un certo punto l’hanno addirittura chiusa. Allora la crescita e l’influenza dell’Università di Gaza è diventata notevole.
Ma a tuo avviso gli israeliani hanno coscientemente ostacolato Bir Zeit?
Per me non c’è alcun dubbio, tutto quello che accade in Palestina è controllato da Israele. Questo non vuole dire che sia un controllo totale, che la situazione non possa sfuggire di mano. In parte é successo con Hamas, solo in parte, perché per i falchi, ormai la maggioranza in Israele, Hamas è un nemico perfetto. Gli israeliani, in particolare in passato, hanno sempre considerato inevitabile trattare con i palestinesi, ancor prima degli accordi di Olso del 93. Ma non volevano essere costretti a farlo con Al Fatah che, pur essendo di ispirazione laica e socialista, aveva al suo interno una forte componente cristiana e cattolica, un fatto che garantiva una sponda in occidente, in particolare dalla chiesa di Roma. Per questo gli israeliani avevano interesse a favorire lo sviluppo di un forte movimento islamico. Negli anni 80 la Palestina era socialmente più laica e libera del resto del mondo arabo, aveva una classe dirigente colta ed aperta, c’era poca influenza islamica. Rispetto ad ora si viveva molto meglio, anche se sotto occupazione, una condizione inaccettabile per chiunque. Su questo è inutile girarci intorno: lo dicono anche gli israeliani, sempre meno numerosi purtroppo, che hanno a cuore una possibile soluzione: la causa di tutto é l’occupazione.
Hai pensato di andare in Palestina di recente?
Mi sono informato sulle possibilità di entrare a Gaza ai primi di dicembre del 2008, ma mi è stato risposto che nella Striscia non entrava più nessuno da tempo. Che io sappia gli occidentali presenti durante l’attacco israeliano erano pochissimi. Tra loro anche il dottor Arrigoni, dell’ International Solidarity Movement, che è stato fatto oggetto di minacce di morte, con inviti ad eliminarlo pubblicati su un sito statunitense di fondamentalisti pro Israele. Forse perché oltre a fare il medico commetteva quotidianamente un crimine: dava notizie da Gaza. Purtroppo prima o poi credo che tornerò in Palestina. Purtroppo perché, anni fa, mi sono ripromesso di smettere di occuparmene il giorno in cui fosse nata una Palestina libera e indipendente.