Archeologia partecipata
16 Marzo 2012Marcello Madau
I beni archeologici fanno parte della articolata famiglia dei beni comuni, tema di grande attualità politica. In grado di coniugare il riconoscimento degli stessi come ricchezza collettiva e forme di democrazia avanzata nel loro uso. Perciò necessitano molte e rinnovate discussioni sulle forme di gestione e le relative problematiche. Gli aspetti gestionali hanno una notevole complessità: ci sono forme che promettono di risolvere ristrettezze e limiti finanziari, cercando una virtuosa dimensione ‘no profit’, come le sempre più frequentate ‘fondazioni’, non senza il rischio di porre in essere meccanismi che allontanano proprio la comunità dal ‘bene comune’.
Possiamo valutare tali aspetti sia in ambiti vasti come il tema della nascita della ‘Fondazione Sardegna’ – vedi nell’elenco al link “P.L. 235 ‘Dedoni e più'” – (e delle fondazioni legate ai beni culturali), attualmente in elaborazione alla Regione Autonoma: da pochissimo approvata nell’VIII Commissione cultura e quindi destinata alla discussione in aula; sia in specifiche e pregiate aree urbane, come ad esempio il complesso di Tuvixeddu.
Ma vorrei dire che in qualsiasi forma di gestione – generale o specifica – del patrimonio culturale, se davvero lo pensiamo come ‘bene comune’, dovremo prestare molta cura ai meccanismi di partecipazione, in modo che da tale natura non siano troppo divaricati..
Sulla proposta di legge che istituisce la Fondazione di gestione dei beni culturali e paesaggistici della Sardegna avremo modo di tornare: noi ci auguriamo che essa interpreti al meglio il senso pubblico e comune del patrimonio della Sardegna, che non favorisca assunzioni clientelari, che non diventi l’occasione per una nuova occupazione del territorio da parte dei partiti politici che sembrano destinare un’attenzione particolare proprio al meccanismo delle fondazioni.
Sarà fondamentale costruire reali processi partecipativi delle comunità al loro patrimonio, trasparenza nei bilanci e nell’assegnazione degli incarichi, favorire la presenza piena del lavoro cognitivo della Sardegna ed in ogni caso quella qualificata dei saperi.
Se vogliamo, anche la generosa proposta di legge di istituzione del Parco di Tuvixeddu, nata con il nobile e apprezzabile intento di chiudere quell’area tormentata alla speculazione e farne una realtà tutelata, funzionante e proiettata verso la valorizzazione, può essere osservata entro tali chiavi. Sulla proposta di legge ha già espresso alcuni seri dubbi Stefano Deliperi, in una riflessione apparsa sul sito del Gruppo di Intervento Giuridico.
Io avrei alcune perplessità, che nella sostanza ruotano attorno alla pesantezza dell’organismo immaginato ed alla preoccupazione che si crei – con un modello gestionale che in qualche modo mi pare riprendere alcuni aspetti della meritoria ma molto centralista legge nazionale sui parchi – un centro sovraddimensionato che consegni ai poteri politici ed accademici una forte prevalenza, anche dispendiosa, rispetto alla comunità ed ai lavoratori cognitivi.
Hanno certamente ragione i relatori quando esprimono la convinzione che la tutela passiva dovuta ai vincoli paesaggistico ed archeologico non sia sufficiente a salvaguardare il sito, soprattutto alla luce delle tensioni speculative che gravano sul colle, deducendone di conseguenza come utile “l’attivazione di uno strumento attivo di gestione con l’istituzione del Parco”. Ma l’organismo immaginato mi pare si sovrapponga pesantemente all’area, creando una sovrabbondanza di incarichi istituzionali.
La realizzazione di un sistema di funzionamento dei beni comuni dovrebbe essere più snello, con una prevalente presenza diretta del Comune, la disponibilità dell’area (o, in alternativa, che essa sia comunque pubblica), l’alleggerimento istituzionale (non sembra necessario il ruolo della Provincia), mentre la regione dovrebbe costruire una modalità di vigilanza sulla gestione diretta garantendo forme di governo tecnico e partecipato al ‘bene comune’ ed eventualmente concorrendo all’acquisto – come più volte annunciato – dell’area.
Più che la costruzione di una gestione separata del ‘parco di Tuvixeddu’, penso che si debba costruire un grande parco archeologico urbano della città di Cagliari, nel quale le diverse testimonianze storiche ed archeologiche presentino la città nelle sue serie, da quella preistorica a quella fenicia e punica, a quelle romane e medievali.
La ricucitura del racconto storico non dovrebbe perciò avvenire mediante istituzioni separate, ma piuttosto unendo in un contesto unico, che di fatto è quello urbano, Monte Claro e Tuvixeddu, la grotta della Vipera, l’anfiteatro, Santa Igia ed il bacino museale.