Tutto il resto è poesia
1 Settembre 2007Mario Cubeddu
Qualche settimana fa Silvio Berlusconi concludeva un’intervista con l’affermazione lapidaria: “tutto il resto è poesia”. Intendeva dire: tutto ciò che resta, dopo aver considerato le cose veramente importanti di cui oggi un politico italiano si deve occupare, equivale a fantasie di utopisti illusi. Carmina non dant panem, si diceva un tempo: con la poesia non si creano certo gli imperi mediatici e non si inventano i partiti politici. Mentre un romanziere può diventare miliardario, questo non avviene nel caso dei poeti. Raramente al genio riconosciuto del poeta corrisponde un equivalente condizione economica e sociale. Più spesso il poeta è persona comune. Tutto il contrario del luccichio e del glamour mediatico che caratterizza molta parte della vita pubblica italiana.
Il giudizio berlusconiano sulla poesia va aggiunto agli elementi che dovrebbero rendere il fondatore di Forza Italia incompatibile con la Sardegna. Presso pochi popoli, infatti, la poesia è un mezzo espressivo rispettato e onorato quanto lo è da parte dei sardi. Senza differenze sociali, o di basi culturali. La poesia è stata, ed è ancora in parte, un’esperienza presente nella vita dei contadini come dei minatori, dei pastori come degli artigiani. Poesia in sardo, naturalmente. Poesia in rima e che rispetta strutture e norme ben definite. Poesia che trasmetteva il suo saper fare tramite l’ascolto in ambito familiare, negli ambienti festivi dell’osteria, del banchetto e della festa. Poesia che circolava scritta, a formare la piccola biblioteca di fogli e quaderni a stampa presente in case che ancora ignoravano la presenza del libro. Poesie lette avidamente da tanti anziani che si definivano tranquillamente analfabeti. Incapaci, o inconsciamente resistenti, a fare i conti con un altro codice linguistico, quello italiano.
I premi di poesia tanto diffusi in Sardegna hanno un limite: si fermano alla celebrazione dell’eccellenza, quando la si trova, mentre sono meno efficaci per quanto riguarda la riflessione, la critica anche severa. Eppure, di dibattito e di confronto ci sarebbe un gran bisogno, per svecchiare le forme espressive e uscire da formule ripetitive. Queste esigenze si sono proposte agli organizzatori quando si è definito il progetto del “Cabudanne de sos poetas Settembre dei poeti di Seneghe”. L’idea è nata nell’ambito di incontri conviviali che accompagnavano la lettura di testi letterari e la conversazione con i nuovi autori sardi. Le cene letterarie si sono tenute per due anni nell’osteria Al bue rosso di Mattea Usai, a Seneghe. Il passaggio al festival letterario è stato naturale. E’ stato promosso da scrittori come Flavio Soriga e Luciano Marrocu e da operatori culturali seneghesi sul modello dei festival che si tengono in Europa da decenni, diffusi e radicati in Italia negli ultimi tempi. Il più noto è quello che si svolge nella prima settimana di settembre a Mantova. Il tema di fondo dell’iniziativa è riassunto dallo slogan: la poesia sarda incontra il mondo. Poesia sarda è innanzitutto l’esperienza concreta della pratica del verso all’interno di una comunità. A Seneghe, come in tanti paesi della Sardegna, si scriveva in versi perché era l’unico modo per poter scrivere in sardo. E scrivere in sardo era il solo modo per uscire dal balbettio delle lettere sgrammaticate, scritte dallo scrivente analfabeta nella lingua italiana, per poter trasmettere un’immagine di sé più nobile e dignitosa. Così l’emigrato comunica in versi all’amico lontano la propria esperienza di distacco, così i figli rassicurano i genitori rimasti al di là del mare. E quindi il festival deve essere sentito come suo in primo luogo dalla comunità, ad esso devono partecipare in prima fila coloro che a qualsiasi livello ancora praticano l’antica arte del fare versi.
Il festival deve poi servire a che le varie forme dell’espressione artistica che usano la parola, in ogni lingua che si voglia, si aprano al confronto con altre esperienze artistiche, in primo luogo quella italiana. E quindi avranno spazio, certo, la poesia improvvisata, il verso cantato della tradizione, ma anche le esperienze più recenti della canzone popolare influenzata dal rock e dal pop che in Sardegna hanno deciso di usare la lingua sarda per i testi cantati. L’apertura alla canzone riguarda anche le altre lingue: è gradita la presenza di personaggi che hanno saputo usare con particolare efficacia la parola unita alla musica, i cui testi sono spesso per i giovani l’unica forma “poetica” conosciuta.
Per il resto lo schema di svolgimento del festival non differisce da tanti altri: si tratta di una serie di incontri-conversazione tra i poeti e critici letterari, o esperti di comunicazione. Punto centrale dell’incontro è naturalmente la lettura dei propri testi da parte degli autori. E’ difficile raccontare l’esperienza dell’ascolto delle voci maggiori dell’attuale poesia italiana, da Franco Loi ad Antonella Anedda, per citare solo due nomi. Per quasi tutti, dalla gente del paese alle persone più informate sull’attualità culturale, si tratta di una vera e propria scoperta. La poesia ha una circolazione molto limitata e i suoi protagonisti non godono della grancassa del mass media. L’impatto con la loro voce, l’emozione contenuta nei loro versi, costituiscono la premessa per una conoscenza da approfondire con la lettura personale delle opere. Il numero di copie vendute nelle bancarelle presenti a Seneghe durante il festival è la dimostrazione più importante del successo dell’iniziativa. Il festival si svolge nell’arco di tre giorni. Due incontri si tengono la mattina, tre il pomeriggio. Quando è possibile si ha anche un appuntamento serale di poesia cantata, tradizionale o contemporanea. La presenza di occasioni musicali è comunque ben accetta. Il primo anno Paolo Fresu ha accompagnato la lettura di versi di Salvatore Mannuzzu. Il festival è stato inoltre sostenuto dall’aiuto di pittori, fotografi, cineasti. Ad essi è stato chiesto di esprimere con i loro strumenti espressivi il senso del discorso poetico.
Portare a Seneghe la grande poesia è anche un’occasione per animare in un modo inconsueto la vita del paese. Si fa spesso un gran parlare della funzione di promozione dello sviluppo economico-sociale che si lega a iniziative di questo genere. Forse è vero che il ragionamento andrebbe invertito: queste iniziative hanno senso se rappresentano una società vivace e in movimento, se ne sono espressione. In ogni caso devono servire da spinta alla riflessione su di sé e al cambiamento.
4 Settembre 2007 alle 10:32
A due giorni dall’ultimo appuntamento del festival – scrivo questo mio messaggio il 4 settembre – sento già la mancanza dei versi avvolgenti dei poeti, dei suoni soavi del Nat-Trio e del calore della gente che ci ha confermato di apprezzare il Cabudanne.
Colgo l’occasione per inviare il mio saluto a Mario, facendogli i miei complimenti per il lavoro svolto e per l’articolo, e anche a tutti coloro che hanno collaborato attivamente per la riuscita del Cabudanne.
4 Settembre 2007 alle 17:24
Ho partecipato per la prima volta quest’anno al Cabudanne,come volontaria nella comunicazione, ma un po’ anche come turista, che in questo piccolo caratteristico paese non era mai stata.
Un paese splendido, il cuore della Sardegna nel cuore della Sardegna, dove la grande ospitalità della gente mi ha lasciato senza parole.
Domenica notte, alla conclusione della festa ero seduta nel Zilleri con altri ragazzi, uomini e anziani del paese, persone che nemmeno conoscevo, tutti li a bere qualcosa allo stesso tavolo e fare conoscenza. Cantando con loro una delle più belle canzoni sarde No potho reposare, guardando gli occhi di tutti pieni d’emozione, sentendo gli applausi da lontano ho capito che la poesia non morirà mai finchè vorremo tenerla in vita.
5 Settembre 2007 alle 18:22
Bello l’articolo di Mario.
Parafrasando quello che ci chiedevamo noi organizzatori alla prima edizione: “Ma a chi interesserà la poesia?”,
oggi possiamo dire che tra il pubblico di “Cabudanne de sos poetas” non c’è nessuno a cui non interessi.
Si vede dall’attenzione, il silenzio, l’emozione e gli applausi ad ogni appuntamento…
A chi diceva in paese “Non ci sono seneghesi che seguono il festival”, rispondono le foto che guardavo oggi con il 50% di pubblico locale.
A chi pensava che l’organizzazione fosse totalmente esterna al paese, abbiamo spiegato il valore aggiunto della collaborazione (si dice sempre che non è il nostro forte come sardi…).
La gente si apre se gli viene offerta l’occasione di farlo, collabora con entusiasmo se viene coinvolta, apprezza tutto quello che ha valore, gusto, buon livello…
Il festival “piccolo” (come dice Nori) ha la dimensione giusta per l’isola, poi è sempre il pubblico a renderlo grande.
All’anno prossimo, speriamo!
7 Settembre 2007 alle 19:23
“Il festival ‘piccolo’ (come dice Nori) ha la dimensione giusta per l’isola, poi è sempre il pubblico a renderlo grande.”
Come non citare Nicoletta? Hai detto una grande verità!
8 Settembre 2007 alle 01:14
Non sono una poetessa ma scrivo poesie.
Non sono di Senghe ma è il mio paese.
Grazie all’opportunità di lavorare nel settore comunicazione del Cabudanne,
ho visto grandi poeti e artisti, conosciuto giovani che mi hanno insegnato tanto..ma soprattutto grazie al festival ho scoperto che se la poesia è puro sentimento,la si dovrebbe cercare, al di là di tutto, tra la gente. Ed io l’ho trovata. Nel sorriso di un anziano zio, nelle piccole mani del mio cugino lontano, nella solidarietà dei ragazzi e nella loro dolcezza. A Seneghe la poesia l’ho trovata nella vita che anima il paese tutto l’anno. E’ vero che la poesia non morirà mai finchè vorremo tenerla in vita,finchè- aggiungo io- saremo tutti capaci di riconoscerla. Che il festival sia allora un modo per guardare avanti, per guardarsi dentro e perchè no per guardare anche oltre. A me è servito. Grazie a tutti di cuore.
E.