Una discussione non più rinviabile
15 Aprile 2012Marco Ligas
Sempre più frequentemente ampi settori della società manifestano un’insofferenza nei confronti dei partiti così come sono configurati e operano. Talvolta l’insoddisfazione si manifesta come critica radicale e investe anche gli istituti di democrazia rappresentativa. Sono tutti uguali, viene detto, destra e sinistra non fanno cose diverse; nonostante la crisi i rappresentanti dei vari schieramenti politici pensano solo a salvaguardare i propri interessi. I bisogni dei cittadini e le loro domande di cambiamento non vengono in alcun modo recepite.
Davanti a questa realtà è evidente la necessità di una politica diversa. Bisogna cambiare le regole della democrazia, eliminare i privilegi di chi la rappresenta e al tempo stesso pensare ad un soggetto politico nuovo.
Queste valutazioni, che espongo in modo semplificato, sono state espresse da un gruppo di intellettuali e pubblicate nel quotidiano il manifesto col titolo ‘Manifesto per un soggetto politico nuovo’.
Il manifesto sardo le ripropone in un dossier che contiene anche gli interventi (i primi) che il documento ha stimolato. Man mano che arriveranno altri articoli aggiorneremo il dossier.
Ritengo che anche noi in Sardegna non possiamo non chiederci, come hanno fatto gli autori del documento, perché i partiti, anche quelli che si definiscono democratici e di sinistra, stiano perdendo progressivamente il consenso degli elettori.
Negli ultimi decenni le condizioni economiche generali del paese sono peggiorate e nessuno pensa che nel futuro prossimo possa verificarsi un’inversione di tendenza. Anzi la crisi accentuerà la sfiducia e la preoccupazione di tanti cittadini: agli aspetti di corruzione ormai dilaganti si aggiungeranno le conseguenze dell’innalzamento della pressione fiscale, della mancanza di lavoro e della riduzione degli ammortizzatori sociali. Insomma un quadro preoccupante dove le formazioni del centro sinistra spesso balbettano e non si mostrano capaci di promuovere un cambiamento che ponga al primo posto il miglioramento delle condizioni di vita di chi subisce i processi di impoverimento. Sono fatti estremamente pericolosi che non alimentano la democrazia, anzi rischiano di assestarle un colpo mortale.
Nel corso di queste due settimane l’interesse per il documento è cresciuto: sono aumentate le adesioni e anche gli interventi. Naturalmente, come il dibattito si estende emerge anche l’esigenza (talvolta qualche perplessità o un dissenso) di ulteriori approfondimenti. Il tema più discusso, così mi sembra, riguarda la formulazione ‘per un soggetto politico nuovo’. I dubbi su questa espressione sono del tutto legittimi e comprensibili perché se percorriamo a ritroso la storia dei movimenti della sinistra troviamo ricorrente la proposta di dar vita ad un nuovo partito o ad un partito nuovo. Ed è anche vero che queste ipotesi sono regolarmente naufragate perché nascevano al di fuori di relazioni reali tra i proponenti e coloro che dovrebbero essere i protagonisti del partito nuovo a partire dai lavoratori con le loro storie la loro cultura e i loro diritti.
Per queste ragioni risulta convincente la precisazione di chi preferisce parlare di nuova soggettività politica e allontana perciò il timore di chi ha visto in questa proposta la nascita ormai prossima di un nuovo partito.
C’è comunque un aspetto centrale nel documento che richiede molta attenzione: riguarda il rapporto tra la democrazia diretta e quella rappresentativa. È vero, è vecchio di alcuni millenni ma è ancora il problema principale su cui è opportuno soffermarsi, prima ancora di approfondire il tema del nuovo soggetto politico.
Noi ci chiediamo spesso perché la presenza a volte massiccia dei cittadini nei momenti delle lotte o i successi nelle consultazioni elettorali non producano effetti duraturi e perché vengano spesso ridimensionati e facilmente rinchiusi nella tenaglia di chi detiene il potere. Il fatto è che il consenso da solo non è sufficiente perché gli obiettivi auspicati e richiesti possano essere raggiunti. Verosimilmente è indispensabile accompagnare il consenso con la partecipazione, con una presenza costante che impedisca i contraccolpi di chi vuole impedire il rinnovamento.
È facile tutto ciò e quali strumenti possono affiancare efficacemente gli istituti di democrazia rappresentativa? Non è affatto facile perché non sempre coloro che sostengono la necessità della gestione democratica dal basso hanno la possibilità di praticarla, di impegnarsi con quella determinazione che è necessaria per sedimentare nuovi e più avanzati livelli di controllo democratico. Anche sugli strumenti di base il discorso è complesso. Si parla spesso di rete, come struttura (è il termine esatto?) di un osservatorio nazionale capace di esercitare un controllo sull’operato di chi riceve la delega. La proposta dell’osservatorio potrà essere convincente soprattutto se vissuta come occasione di un rapporto circolare tra i vari organi che lavoreranno per il futuro soggetto politico. Si tratta di un’ipotesi che va costruita quasi ex novo e perciò soggetta a diverse verifiche.
Naturalmente questi aspetti della rappresentanza non possono essere affrontati come questioni separate dai contesti economici e sociali. I problemi dell’impoverimento di milioni di cittadini devono trovare la massima attenzione nelle scelte della politica e i temi del lavoro e dell’equità devono assumere una priorità assoluta. Come spesso abbiamo sottolineato, la riduzione delle spese militari e un impegno teso a contrastare l’evasione fiscale e tutti gli arricchimenti indebiti potrebbero favorire gli investimenti necessari per creare nuove occasioni di lavoro, nel rispetto del paesaggio e dell’ambiente.
Nella nostra isola lo sviluppo delle energie rinnovabili potrebbe rappresentare un’occasione di crescita industriale in grado di migliorare la produttività complessiva del sistema. Naturalmente occorre sconfiggere l’inettitudine e il clientelismo di tante forze politiche che sostengono a parole la sovranità del popolo sardo ma consentono agli speculatori sardi e non sardi di sfruttare le nostre risorse naturali.
Oggi, se non vogliamo subire una deriva pericolosa, appare più che mai necessario affrontare quest’ordine di problemi.
17 Aprile 2012 alle 08:56
La disputa sul “nome” da assegnare al “nuovo” mi prende poco o nulla. Che si chiami partito, lista, soggetto, soggettività, mutua o associazione non può incidere sulla qualità della sua azione. Che è la “cosa” che deve interessare tutta la cittadinanza. La “dem. rappresentativa” ha oggi una credibilità vicina allo zero e per questo ritengo opportuno, ma direi obbligato, un passaggio di democrazia diretta nell’ambito consentito dalla Carta, seppur forzato ed esteso (non sono un costituzionalista, ma solo un semplice cittadino). Zero per la mediocrità mille volte dimostrata e per le riforme promesse e mai realizzate. Ed è un percorso che suggerisco decisamente al “Soggetto Politico Nuovo” per trovare il consenso maggioritario necessario a promuovere e sostenere il proprio ambizioso e condivisibile disegno strategico. Sostegno maggioritario che non troverà rivolgendosi all’elettorato già orientato a sinistra, storicamente minoritario, ma rivolgendosi a quel 90% e oltre di cittadinanza che dichiara di non aver più alcuna fiducia nella “casta politica”, dando soddisfazione alle sue attese di ridimensionamento della “casta” e di riforme. Che non vuol dire dare libero sfogo al populismo, ma fare azione politica/amministrativa razionale. Come? Esercitando gli artt. 1 sovranità popolare, 71 proposta di legge di iniziativa popolare, 50 petizione popolare e 40 diritto di sciopero (se necessario). (il dettaglio in un successivo commento.)
23 Aprile 2012 alle 10:09
Caro Marco,
sono d’accordo su gran parte del documento e su quanto tu dici adesso. Tuttavia, la cosa non m’intriga. E sai perchè? Perché penso che un partito o un soggetto politico debba nascere in un contesto di lotte reali. Così sono nati i partiti socialisti, comunisti e popolari. In mancanza di questo radicamento sociale, si può formare un riferimento politico-culturale, che può incidere sulla realtà, ma senza propositi elettorali. Per esempio, un movimento politico-culturale, com’era il Manifesto Rivista e i centri o circoli d’iniziativa locale ai primissimi anni ’70. Oggi, si potrebbe fare la stessa cosa attorno al Manifesto quotidiano, ad altre pubblicazioni e ai tanti blog esistenti. Ma niente elezioni. Unire una sigla, un simbolo ai tanti altri non serve ed è addirittura dannoso. Creerebbe solo altri scontri, manovre e fenomeni deteriori, già presnti nei vari partitini della sinistra. Cosa ne pensi?