Reo confesso
1 Giugno 2012Alfonso Stiglitz
Si, lo ammetto, confesso di aver votato ai referendum, di averlo fatto convintamente e di essere contento dei risultati. Confesso, in aggiunta, che trovo molto interessanti i risultati delle elezioni amministrative italiane, che trovo irritanti molti commenti, un po’ supponenti e stupiti del fatto che il “popolo”, la gente come si diceva un tempo, non segua i canoni della politica, che pensi magari male e che, in aggiunta, sbagli ingenuamente.
Confesso di essere contento del “casino” istituzionale, che manda in palla i nostri (?) rappresentanti costringedoli ad ammettere, finalmente, che in effetti non ci avevano pensato e non sanno cosa fare. Confesso che inizio a trovare irritanti i quotidiani pronunciamenti del Presidente della Repubblica, sempre più intesi a difendere lo statu quo politico, contro gli antipolitici (?) e il suo fastidioso silenzio sui referendum nazionali (acqua, nucleare ecc.) e sui tentativi di capovolgerne l’esito. Tentativo, peraltro in atto con i referendum regionali, attraverso l’affannosa fatica del nostro (?) Consiglio regionale.
Che mi stia trasformando in un antipolitico?
Molto preoccupato per questa orrenda malattia che sembra pervadere le viscere della nostra società e riempire pagine e pagine di giornali, mi sono precipitato a leggere il vocabolario, come faccio sempre nei (molti) momenti di crisi. Ho sotto mano (via PC) la Treccani che alla voce “politica” descrive i vari significati: “La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica”; “Più concretam., l’attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare, l’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini”; “L’attività di chi partecipa direttamente alla vita pubblica, come membro del governo, del parlamento, di un partito, di un sindacato, di un movimento ecc.”. Il resto ve lo potete leggere gratuitamente sul web.
Un po’ rappacificato, vado a vedere la voce antipolitica che, con mia segreta soddisfazione, riporta un’importante definizione di Tomaseo “non c’è cosa più antipolitica della soverchia politica”.
Allora votare ai referendum non è antipolitica, così come non lo è non far vincere il PD, per citare il suo segretario a proposito della “non sconfitta” di Parma o non far vincere il candidato SEL/PD di Palermo. Intendiamoci, non amo e non condivido il Grillo-pensiero e non mi piace Orlando, ma non per questo mi copro gli occhi davanti ai problemi che sorgono in un momento in cui i politici, anche nostri, sembrano aver perso la capacità di leggere la realtà e la richiesta di cambiamento sempre più urgente. E, a questo proposito, mi preoccupa che la bella vittoria di Doria a Genova (lo avrei votato sicuramente se fossi stato lì) finisca per nascondere la diminuzione di votanti, segnale non di apatia, ma di rottura.
L’ho confessato, ho votato ai referendum con nove si e un no. Il no l’ho utilizzato per il quesito sulla diminuzione del numero dei consiglieri: credo che la rappresentanza debba essere ampia, che l’eletto debba avere un rapporto diretto con chi lo ha delegato. Ho votato invece si all’abolizione delle Province e dei consigli di amministrazione. Perché? Perché ho inizato la battaglia contro le province 40 anni fa protestando contro l’istituzione di quella di Oristano e non me ne pento; ho avuto anche la soddisfazione di leggere qualche giorno fa un’intervista a Lucio Abis, il politico democristiano che volle e ottenne quella provincia: ammette il totale fallimento. Ho votato per l’abolizione dei consigli di amministrazione degli enti, strutture inutili, falsamente pluraliste, utili strumenti per i parcheggi partitici.
Erano quesiti proposti da politici trasformisti, certo, sono d’accordo, ma era uno strumento che avevamo a disposizione per dare un segnale e l’ho usato. I pericoli non stanno in questo, si annidano nella latitanza di strumenti di partecipazione, nell’assenza delle possibilità di farsi sentire, nell’assenza di risposte: teniamoci stretta la volontà di partecipare.
Qualcuno ha storto il naso sullo strumento referendum; certo, i referendum sono abrogativi e, conseguentemente, non risolvono se non raramente il problema che vogliono affrontare, ma obbligano la politica, nel senso dei rappresentanti, a decidere qualcosa e gli danno un chiaro segnale, ed è un segnale democratico al massimo grado, non antipolitico. In una situazione bloccata come l’attuale non sono molti gli strumenti che i cittadini hanno per farsi sentire, il fatto che in questa stagione i referendum, nazionali e regionali, abbiano tutti raggiunto il quorum è il vero segnale, che però non viene colto da partiti e movimenti, perché è un segnale che li rimette in discussione, che afferma che la mediazione cittadino/istituzioni non avviene più in maniera principale attraverso i partiti o i movimenti tradizionali.
Ho votato per questo, per tornare a discutere di rappresentanza, concreta, reale, delle comunità. Un segnale che i partiti non recepiscono sempre più chiusi in un mondo altro, la prova? La recentissima legge approvata dal Consiglio regionale sulle province, un brutto segnale, segno della volontà di non accettare la decisione popolare. Sfidiamoli.
A questo punto avrei voluto iniziare a parlare di Alba, il nuovo soggetto politico, e sui beni comuni, ma non voglio schematizzare troppo un tema che mi sta molto a cuore e sul quale tornerò.
2 Giugno 2012 alle 12:41
Iniziamo pure a parlare di rappresentanza delle comunità locali, ma da dove? Io inizierei dalla regione autonoma. Non credo che un numero spropositato di consiglieri regionali con spropositato appannaggio sia la soluzione. Anch’io ho votato per l’abolizione delle provincie e mi fa piacere che anche il suo l’ideatore abbia ammesso il fallimento della provincia oristanese creata negli anni ’70; e non è detto che quella di Nuoro, creata negli anni ’20, sia riuscita meglio. A questo punto aboliamo anche Sassari (ex Capo di sopra fino agli anni ’20) , tanto le funzioni demandate a questo ente sono marginali, accentriamo tutto in via definitiva nella RAS. Decidano loro anche il costo del biglietto del tram a Sassari o dell’autobus ad Alghero come si prospettya col “bacino regionale Trasporti”. Ma non ci rendiamo conto che che la RAS è la parodia in uno stato burocratico centralistico che ha come unico scopo quello di autosostenersi facendo carne di porco di realtà locali diverse per storia, geografia e interessi economici? Quello che ci serve è una regione “leggera” come il Trentino. Non mi sembra che lì le province (autonome!) abbiano fallito.