Divisione al quadrato negativa

1 Luglio 2012

Marcello Madau

Apprendo dall‘Enciclopedia dantesca della Treccani che ‘Contesto’ parrebbe il participio passato del verbo ‛contessere ‘. Valore predicativo, il significato è quello di “tessuto, intrecciato insieme”. Quindi da tenere assieme, per apprezzarne tessuto, ordito e trama. Che comunica, perché un’altra definizione sottolinea il contesto come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo.
I ‘giganti’, assieme ai materiali che li accompagnavano, esprimono un fortissimo atto comunicativo. Sono – ecco il perché del segno ripetuto del nuraghe – gli antichi eroi costruttori, la costruzione di una memoria culturale assai solida, come l’opera muraria nuragica ed il suo vertiginoso radicamento territoriale.
Su questo si basa l’individuazione del mito fondante da parte delle élites nuragiche: autocelebrazione di un rango che unisce memoria, valore in armi e capacità costruttiva. Un’elaborazione fra le più alte del mediterraneo antico, con uno speciale riferimento egeo e vicino orientale.
Penso ai costruttori del mito greco (Dedalo, che non a caso alcune fonti elleniche legano ai nuraghi), ad immagini come quella del re assiro Assurbanipal, nel VII secolo ricostruttore di tempi con un cesto di mattoni sul capo. O ancora, alla raffigurazione delle poderose mura niniviti nei rilievi palatini.
Il complesso di Monte Prama è quindi un fortissimo atto comunicativo territoriale, uno dei più forti nel paesaggio culturale del Sinis e della Sardegna.

Il paesaggio culturale: rispetto all’abitudine molto radicata di intendere il paesaggio come elemento sostanzialmente naturalistico, l’aggettivo culturale definisce le forme impresse dall’uomo, nel corso del tempo, al paesaggio naturale.
Il paesaggio del Sinis come dimensione storica e dinamica nel quale leggiamo, con fortissima capacità espressiva, le vicende della pesca di stagno (gli stagna pisculentissima di Solino), di mare e dell’agricoltura, attraversate da pastori e allevatori. Risorse che il paesaggio nelle sue forme culturali ci restituisce.
I luoghi sono formati da questa tessitura, intreccio inestricabile riconosciuto dalle comunità, che ne sono le prime depositarie. Quanto affermato da Alberto Magnaghi, nel manifesto fondativo della ‘Società dei Territorialisti’, chiarisce la composizione del concetto:
“Il luogo nella sua identità storica, culturale, sociale, ambientale, produttiva e il paesaggio in quanto sua manifestazione sensibile.”.
E soprattutto
“Il bene comune edificato dagli abitanti di molte generazioni in ogni luogo, nelle sue peculiarità identitarie, è indivisibile.”: parole che sembrano adattarsi perfettamente alla situazione in atto.

Identità e beni comuni, nonostante l’uso disinvolto del termine nella proposta ministeriale, non vengono riconosciuti.
L’attuale progetto di Ministero, Soprintendenza e Direzione Regionale è la conseguenza di una lettura paesaggistica molto carente, se non assente, che non intercetta quanto prima visto.
Vi è naturalmente un problema di origine: il progetto si materializza e prende forma verso l’agosto del 2010, dopo un convegno di Invitalia di qualche mese prima e grazie a una sinergia fra MiBAC, Soprintendenza di Cagliari e Oristano, il supermanager Mario Resca (che ieri ha concluso il suo mandato) e Arcus. Soggetti che non sanno cogliere territorio e fattori identitari: non dico nella lettura innovativa e integrata del territorio-bene comune e del suo legame con i temi della sostenibilità, ma neppure come suggerito dalla Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze 2000) e dalla Legge 42/2004 (Il Codice dei beni culturali e del paesaggio), art. 131, 1. Attori di una visione centralistica e antiquaria, attenta solo alle eccellenze archeologiche come catalizzatrici di forti finanziamenti, da gestire in base a vecchi modelli di intervento ora rivestiti da qualche parola di maniera manageriale.
La classe politica sarda, dopo il no iniziale alla divisione (ecco cosa diceva l’assessore Milia nella sua risposta ad un’interrogazione regionale nell’agosto del 2010), sia quella del Comune di Cabras sia quella regionale, non propone al Ministero la rivendicazione dello sviluppo autonomo del proprio territorio, ma accetta e gestisce – in linea con il tradimento dell’autonomia che ben conosciamo storicamente – logiche e indirizzi finanziari da altri decise. Ben oltre il problema di un modello scientificamente errato e di natura colonialista, siamo semplicemente nel solito autocolonialismo.
Direte che lo Stato fa il suo mestiere: e nel Restauro ha permesso il recupero di questo prodigioso bene comune. Piuttosto, le nostre amministrazioni territoriali non sono state in grado di pensare in grande, di investire verso un rinnovamento profondo dell’offerta museale, oggi incapace di ospitare se non qualche statua di Monte Prama.
Gli attuali workshops di BC2 condotti a Cagliari, Cabras e Sassari parlano di processi partecipativi a decisioni già prese. Di beni comuni forse senza intenderne il concetto, se vengono così disinvoltamente smembrati. Le decisioni non sono nell’interesse del contesto e del territorio. Ma è la politica che dovrebbe incamminarsi sulla strada dello sviluppo sostenibile, e lo Stato comprenderla.

E’ urgente costruire politiche partecipative e decisionali del territorio completamente diverse.
Forse bisognerà iniziare a pensare, quando si programmano interventi su beni culturali così centrali e coerenti in sè, ad una procedura di consultazione reale che preceda, e sia in grado di costruire, le decisioni nel territorio; ad un modello simile,  per i beni culturali, a quello della Valutazione Ambientale Strategica.

A fronte di un territorio che non perda, ma valorizzi, i propri segni culturali e paesaggistici e li tenga uniti come fattori di identità e di economia dei paesaggi, la proposta avanzata dalla Soprintendenza, chiamata “Rete museale di Monte Prama“ appare davvero debole ed incoerente: giustifica una gravissima divisione del gruppo scultoreo teorizzando un sistema museale basato su un Museo nazionale (Cagliari), uno civico non pronto (Cabras) e il Centro Regionale di Restauro di Li Punti (che non è museo). Spazia lungo tutta l’isola con entità disomogenee e asimmetriche. Si chiama BC2 (Beni Culturali Comuni, di qui l’elevazione a potenza, al quadrato). Però manca un segno. Quello negativo del risultato:-BC2.

L’unico sistema museale di Monte Prama territorialmente coerente non potrebbe essere che quello del suo territorio, in grado di esprimere le diverse unità comunicative unite in una rete eco museale. Sarebbe la forma più avanzata per legarsi a una comunità e rappresentare dinamicamente i suoi ‘commons’, di esprimere i vari contesti: non pochi di altissimo pregio, se pensiamo a Tharros, all’Area marina protetta Penisola del Sinis-Isola di Mal di Ventre, alle zone umide con i fenicotteri rosa, alle straordinarie tipicità dei prodotti alimentari.
Una potenzialità attrattiva della quale non ci si rende conto appieno, della quale stanno impoverendo la risorsa più caratterizzante.

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