Asarp, lo sfratto infame
16 Luglio 2012Roberto Loddo
La decisione di sfrattare l’Asarp da parte del direttore generale della Asl8 di Cagliari dimostra come la tutela della salute in Sardegna sia diventata uno dei tanti strumenti di controllo politico. Una logica da regolamento dei conti pare ispirare l’accanimento con cui si cerca di chiudere la bocca all’Asarp. L’Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica occupa uno dei diversi padiglioni dell’ex manicomio. Un luogo di segregazione e sofferenza chiuso e restituito ai matti. Non solo simbolicamente. Un contratto di comodato d’uso, stipulato nel settembre del 2007 con il precedente direttore generale della Asl, formalizzava la presenza dell’Associazione. Una presenza che senza nessun costo per la collettività fornisce servizi gratuiti alle persone che orbitano nella Cittadella della Salute. L’associazione, infatti, svolge un servizio di tutela dei diritti delle persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale, attraverso laboratori d’arte e cultura, gruppi di auto-mutuo-aiuto, formazione e consulenza. Un servizio indispensabile (con una reperibilità telefonica per familiari soci sulle 24 ore) che rivendica l’attivazione nel territorio di interventi contro qualsiasi forma di abuso, contenzione e internamento. Lo stesso Piano Regionale per la Salute Mentale indica tra i suoi obbiettivi il coinvolgimento delle associazioni di familiari e utenti con il consolidamento delle loro attività, insieme ai dipartimenti di salute mentale.
“L’assenza di ogni progetto, la perdita di un futuro, l’essere costantemente in balia degli altri senza la minima spinta personale, l’aver scandita ed organizzata la propria giornata su una dimensione dettata solo da esigenze organizzative che non possono tenere conto del singolo individuo e delle particolari circostanze di ognuno” Franco Basaglia descriveva così il processo di istituzionalizzazione. Una descrizione di dinamiche perverse purtroppo ancora attuale, che dopo trent’anni di legge 180, sembra aver contaminato anche il sistema dei servizi di salute mentale in Sardegna. L’Asarp deve andare via, perché rappresenta il volontariato scomodo, perché denuncia i processi di pietrificazione delle persone nelle sale d’attesa dei centri di salute mentale e nei reparti psichiatrici dei nostri ospedali. Un fastidio da eliminare perché alza la voce di fronte a quelle pratiche che cancellano gli interessi e l’autonomia delle persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale. Anche la solitudine delle famiglie non è determinata dalla malattia in se, ma dalla mostruosa non comprensione e incomunicabilità delle Asl e dei servizi per la salute mentale.
In alcune regioni, come la Sardegna, la non attuazione della legge 180 del 1978 ha riportato in vita il manicomio. Un manicomio senza grate, chiavi, sbarre e cancelli. Per questi motivi, se la Asl di Cagliari si è resa complice di questo processo di restaurazione delle cattive pratiche, è necessaria una presa di posizione politica forte e chiara da parte delle istituzioni e del mondo politico. Dopo la partecipata assemblea delle persone e delle associazioni che pensano che l’Asarp debba restare dove si trova, rimane solo il silenzio. Questo sfratto coinvolge tutte le cittadine e i cittadini sensibili ai diritti delle persone. Coinvolge anche il Comune di Cagliari. Il Sindaco Zedda, e l’assessore alle politiche sociali Susanna Orrù hanno il dovere di esprimere pubblicamente un’opinione su questa grave scelta. E’ necessario far conoscere all’opinione pubblica il loro parere e rompere questo limbo di presunta neutralità istituzionale. Questo silenzio fa male, e non può essere più giustificato e tollerato. Sindaco Zedda, ci risponda.
25 Luglio 2012 alle 20:45
Ma quali sono le motivazioni ufficiali dello sfratto? Immagino che non sia “perché l’Asarp alza la voce”. E poi Robe’, dai, “un opinione”!
26 Luglio 2012 alle 18:37
Eh no, io ho scritto proprio “un opinione” senza apostrofo! E che, correggete i commenti ma non gli articoli? ;)
26 Luglio 2012 alle 19:11
Il lettore ha ragione. Abbiamo ristabilito la sua prima osservazione e pubblicato il secondo ragionevole rimbrotto. Ma abbiamo anche corretto ora l’errore che, nella funzione di editing (non a carico dell’autore) e anche grazie agli ‘a capo’ di wordpress – ci era sfuggito. Mancava davvero l’apostrofo a ‘un opinione’ (quart’ultima riga) e ora l’abbiamo reintegrato, grazie anche alla garbata ironia del lettore, che siamo certi abbia apprezzato anche i contenuti espressi dall’articolo di Roberto.