Ancora sul Manifesto
23 Luglio 2012Redazione
La discussione sullo stato del Manifesto, lentamente, va avanti soprattutto per iniziativa dei circoli. Ci auguriamo che proceda senza tentennamenti o chiusure: è l’unico modo perché si affrontino le ragioni della crisi del quotidiano. Ci sono arrivati alcuni commenti/considerazioni da parte dei compagni di Padova, di Bologna, della Versilia e di altri circoli ancora.
Stiamo cercando di metterli assieme per pubblicarli nel prossimo numero del manifesto sardo (1 agosto).
Naturalmente sarebbe opportuno che tutte queste comunicazioni/proposte venissero ospitate dal quotidiano per una diffusione più capillare.
Sinora questa ipotesi, inspiegabilmente, non ha trovato alcun riscontro.
Intanto pubblichiamo qui sotto un altro commento di Benedetto Vecchi e uno di Claudio Magliulo, e un importante contributo di Marco D’Eramo, edito sul ‘manifestobologna’ , che pubblichiamo e del quale diamo il link. A seguire interventi di Matteo Bartocci e Marcello Madau. Essi si sommano ai contributi noti nel sito dei compagni bolognesi e nel nostro, da ultimo quelli già editi sull’articolo di Marco Ligas “Il dibattito nel Manifesto“.
I lettori e gli stessi compagni della redazione del Manifesto sono invitati ad intervenire.
Benedetto Vecchi
Il fatto che le lettere dei circoli non siano state pubblicate mi sembra sbagliato. Veniamo al punto. Le sedi della discussione sul futuro del manifesto sono diverse, perché diversi sono i potenziali protagonisti del riacquisto della testata. Sono i singoli circoli, la redazione (io parlerei di collettivo, ma capisco che questa è un termine problematico da usare, visto lo sfilacciamento attuale: situazione che ho introdotto come nodo problematico nella discussione bolognese); i collaboratori. Come sezione cultura, ad esempio, abbiamo pensato di chiamare i collaboratori della pagina culture ad una discussione a settembre. Continuo a credere che la proposta di una riunione nazionale a Roma dei circoli sia importante, perché ritengo che la discussione sul riacquisto della testata ha bisogno sì di luoghi diversi, ma anche di momenti di confronto ravvicinato. E tuttavia se la discussione rimarrà vincolata alla forma giuridica senza affrontare la crisi del manifesto è discussione accademica, all’interno della quale vedo manifestarsi una confusione tra piano editoriale e piano teorico-editoriale. Il primo è legato ad una contingenza, il secondo si pone in una prospettiva più aderente alla posta in gioco reale: immaginare il manifesto dei prossimi 20-30 anni. Adesso stacco. Sono circa due anni che non faccio vacanze e voglio usare la cassa integrazione almeno per riposarmi. Spero di incontrarvi di persona alla riunione in Versilia.
Claudio Magliulo
Dico la mia, come ho fatto in modo un po’ disordinato e “a caldo” nell’ultima mail che è girata.
La soluzione al problema, in fin dei conti, deve venire solo dalla redazione, secondo me. I circoli si sono sbracciati in questi mesi per dare apporti, sostenere attivamente le disastrate casse del giornale, far vivere lo spirito del manifesto in mille piccoli luoghi. Abbiamo ipotizzato anche una formula che possa consentire di uscire dalla crisi e ripartire con un nuovo assetto proprietario fatto di lettori, circoli e collettivo della redazione.
Ma la chiave di volta sta nella capacità di immaginare un manifesto nuovo, diverso, un nuovo progetto editoriale che tenga questa testata sul tanto vituperato mercato, che è la sua unica alternativa, visto che il Fondo per l’editoria è moribondo. Se il manifesto raggiungesse di nuovo le 50mila copie non dovremmo più temere fratture e scissioni né dolorose decisioni su chi resta e chi va in cassa integrazione.
Non sono i circoli che devono dire l’ultima. Chi ha fatto il giornale in questi anni, chi lo possiede materialmente, chi rappresenta una storia quarantennale deve prendere atto di questa disponibilità e dare delle risposte. Il processo può essere partecipativo o meno. I circoli sono disponibili con idee e sostegno. Altrimenti diremo la nostra ex post, serenamente. Però un progetto per un manifesto 2.0 lo si vuole fare o no? Tempus fugit.
Marco D’Eramo
Caro Mauro e cari compagni tutti del circolo del manifesto di Bologna,
ho letto i vostri interventi che mi paiono utili e benvenuti anche quando non sono d’accordo e questo vostro messaggio e-mail che trovo più che ragionevole. Poiché come sapete io non lavoro in redazione e per di più sono appena rientrato dalle vacanze, ho aspettato anch’io di leggere la (o le) risposta(e) che la redazione avrebbe dato alle vostre più che legittime domande. Con mio grande sconcerto, i giorni sono passati senza che una risposta pubblica fosse data a interrogativi inaggirabili, e più i giorni passavano e più in me cresceva l’imbarazzo per un silenzo che all’inizio poteva essere semplice sciatteria (a cui la nostra condizione di vita hobbesiana ci ha sfortunatamente abituati), ma a poco a poco diventava maleducazione pura e semplice.
Di solito si dice che chi tace acconsente, qui mi sembra che ciò di cui questo silenzio è assenso è lo staccare la spina all’accanimento terapeutico del nostro giornale: mi pare difficile interpretarlo in un altro modo. Non posso dirvi nulla di più, oltre al fatto che mi vergogno per il comportamento dei miei compagni (non sono ancora arrivato all’obbrobrio di chiamarli “colleghi”, come qualcuno fa).
Se pensate che valga la pena di pubblicare queste mie poche righe sul vostro sito, avete il mio assenso (non silente),
Con solidarietà,
Marco d’Eramo
Matteo Bartocci (il manifesto)
E’ fallita la cooperativa ma è fallito anche il modello della Spa (azionariato diffuso del giornale con un socio forte, la coop appunto) lanciato vent’anni fa.
Riflessioni in proposito? Idee perché ciò non accada più e non si illudano ancora una volta i compagni?
E senza “socio forte”, con un azionariato veramente diffuso, chi decide cosa? Si viene a Roma una volta ogni tanto? Si fanno delle liste locali una testa un voto con un parlamentino centrale? Un’assemblea annuale sulle grandi strategie politiche ed editoriali e poi chi si è visto si è visto? Si delega un “rappresentante” interno per ogni realtà organizzata sul territorio?
Benedetto ha ragione: qui tutti (dentro e fuori la redazione) lavoriamo per il manifesto. L’unica cosa che temo sono le possibili strumentalizzazioni di chi, in buona fede e a fin di bene, è preoccupato (come tutti i redattori e i poligrafici) per il futuro del giornale. Il resto sono chiacchiere da bar o mini polemiche da assemblea (virtuale), tanto feroci quanto ineffettuali e autoreferenziali.
Vi ricordo che i circoli del manifesto sono solo una parte delle nostre relazioni: Sbilanciamoci, Antigone, Fuori Luogo, perfino Slow Food o la Fiom non sono, a modo loro, dei “circoli” del manifesto? Che ruolo vedete per queste realtà con cui lavoriamo da anni?
Marcello Madau
Che la discussione si muova è fatto positivo, spero non tardivo. Fra le difficoltà, diverse, la più aspra ed interessante la forma del giornale (se non falliremo).
Non so di modelli: ma più o meno capisco se rappresentano una forma politica democratica. E’ noto come la preferenza di molti – di tutti i Circoli – vada ad un ‘manifesto’ bene comune’ della relativa comunità di sinistra (anche con il segno ‘quotidiano comunista’) e che ad essa appartenga. E’ per fortuna ampia, nessun circolo ha mai pensato di esaurirla (spero nessuna redazione). Vi sono i soggetti elencati da Bartocci, e molti altri. Con ruolo fondamentale se parteciperanno attivamente al progetto. (A margine: non tutti gli iscritti a Slow Food, o a Fiom, sono del manifesto, fatto che al contrario caratterizza i ‘Circoli’. Spero che la frase di Bartocci non serva, +o- inconsciamente, a respingere l’idea di un giornale più ampio. Non amiamo le chiacchiere da bar, ma non sono meglio quelle da club esclusivo).
Che almeno queste difficoltà siano superate, come il pregiudizio che i circoli vogliano ‘rappresentanza’. Al giornale ‘bene comune’ servono giornalisti non improvvisati: ma la modalità dell’approccio ai territori non sempre è buona. Talora centralistica, intervenendo su di essi – a volte come viaggiatori ottocenteschi – senza parlare coi compagni. La capacità di ascolto può costruire un rapporto diverso, evitare qualche cantonata. Magari il calo delle vendite dipende anche dalla lontananza dai territori.
26 Luglio 2012 alle 12:42
Da vecchio (d’età e di inizio di lettura) amico del giornale mi permetto di suggerire un ampliamento dello spazio per l’intervento dei lettori.
Credo che si tratti di una nicchia di popolazione molto particolare, generalmente colta, impegnata e riflessiva e spesso si leggono interventi assai interessanti. Favorire e ampliare le possibilità di dibattito diretto, magari anche indirizzando gli argomenti della discussione, credo potrebbe ampliare l’attenzione intorno a Il Manifesto e costituire un momento di coinvolgimento. Ricordo che un altro quotidiano della sinistra (che per altro ora non c’è più) ebbe un momento di gloria quando divenne lo spazio di esposizione del privato/politico dei lettori…vabbè che ci sono pure i social network… però penso che si potrebbe provare.
31 Luglio 2012 alle 10:14
Premessa: Il contributo che è stato pubblicato a mia firma sul giornale del 27 era una mail, inviata nella newsletter dei circoli, scritta in fretta e a caldo. Sapendo che poteva essere destinata alla pubblicazione avrei articolato meglio il mio pensiero e avrei smussato gli angoli.
Ciò detto, personalmente mi addolora che anche nel’ultima risposta di Valentino si giri sempre attorno al tema della proprietà e della testata. Sono nodi importanti e complessi da sciogliere (lo segnalava Matteo Bartocci, non esistono solo i circoli). Ma a mio modo di vedere, e in questo ovviamente confermo le mie righe frettolose del 27, la priorità è immaginare un progetto editoriale che consenta al manifesto di ricominciare a funzionare, vale a dire a generare ricavi, unico modo che io sappia per sopravvivere.
Sulla base di un progetto nuovo, fondato e basato su riflessione e osservazione di come funziona l’editoria nel 2012, si può pensare di costruire un consenso e una raccolta di fondi e finanziamenti per salvare il giornale o quantomeno ripartire da zero un minuto dopo la chiusura.
Su questo sarebbe bello sentire un’idea da chi in redazione ci sta tutti i giorni. Non dubito che ce ne siano migliaia, ma bisognerà tirarle fuori. O no?