Più attenzione ai parchi eolici
16 Maggio 2009
Pier Luigi Carta
Il capitalismo industriale sta danneggiando l’ecosistema al punto da essere ormai una minaccia concreta per il mondo: le alte temperature surclassano i record di anno in anno, il petrolio sta finendo o almeno così ci raccontano, i deserti si fanno prepotenti, i mari si innalzano per la gioia dei surfisti e i pesci diventeranno presto solo un ricordo, sostituito alla bisogna da una cospicua produzione di surimi. “Survival is not negotiable” è il grido che i giovani scandivano in occasione della XIV Conferenza Onu sul clima. Al Gore ha presenziato a tale Conferenza appena due giorni dopo aver incontrato Obama, e il leitmotiv di quelle ore sembra aver inciso sulla politica climatica statunitense, europea, cinese e indiana; come specie umana siamo infatti arrivati ad un momento decisivo, e il cambiamento climatico è diventato una questione di sicurezza mondiale. È un grido d’allarme apocalittico o una novità inaspettata e paradossale il fatto che sia stata proprio la Cina a dare una forte spinta agli altri paesi verso una più rapida riduzione di Co2 con i suoi 60 miliardi di dollari e passa investiti nella riforestazione e nella produzione di energia pulita? Se esiste una via per rigenerare il capitalismo americano, pur non essendo un fatto auspicabile, questa passa proprio per la rivoluzione verde. In 37 anni di neoliberismo mondiale il ritmo di crescita di emissione di Co2 è aumentato di 7 volte, i paesi industrializzati ovviamente sono i maggiori responsabili: i dati ci attribuiscono nove volte il consumo della restante parte del mondo; se in un futuro ipotetico dovessimo estendere il livello di vita occidentale a tutto il mondo i combustibili fossili si esaurirebbero in 14 anni. Consideriamo che al livello attuale i consumi raddoppiano ogni 24 anni e che tra i prossimi 14 e 89 anni le fonti energetiche tradizionali scompariranno. La scienza e la natura ci hanno “regalato” altri mezzi per continuare l’esistenza delle società umane come le conosciamo, dal punto di vista economico, produttivo, civile, ludico, artistico etc.Il nostro governo ci sta martellando col ritorno al nucleare, che pare essere l’unico strumento per affrancarci definitivamente dalla schiavitù energetica che ci lega agli altri stati. Lascio ad altre sedi la trattazione sulla fattibilità di un progetto nucleare nella sismica Italia. Ci sono fortunatamente altre energie, il cui sfruttamento potrebbe levarci dai guai: il solare, l’idroelettrico, l’idrolisi, l’eolico, la canapa, solo per citarne alcuni. L’astrofisico Luciano Burberi canta le lodi del solare, supportato da un’attenta verifica scientifica e da un’enorme schiera internazionale; sembra poter essere infatti la soluzione ottimale. La Terra assorbe il 70% dell’energia che arriva dal Sole, nella quantità di circa 10000 volte l’energia che il sistema mondo consuma in un anno. Per l’affrancamento totale dalla dipendenza energetica della Sardegna basterebbe la conversione in pannelli fotovoltaici di una superficie grande quanto due volte l’area della Saras. Secondo l’opinione del professore di Fisica Tecnica Carlo Bernardini, che può vantare un’esperienza più che trentennale nel settore, l’Eolico dovrebbe rappresentare la soluzione più realistica per l’adeguamento della Sardegna alle direttive comunitarie riguardo le emissioni di Co2 e l’autosufficienza energetica. I parchi eolici nell’isola sono ormai una realtà: Arbus, Capoterra, Nulvi, Tergu, Littigheddu, Ulassai, Tula, Su Grighine, etc…Il negazionismo all’italiana ha più volte messo in discussione l’utilità e la necessità di ricorrere al vento per soddisfare le nostre esigenze evidentemente incontenibili. Non ci bastano forse le centrali termoelettriche, così demodé e così confortevolmente inquinanti? Perfino la giunta Soru aveva ostacolato i parchi eolici perché preoccupata per il patrimonio paesaggistico sardo; timore nient’affatto campato in aria dato che tutti siamo a conoscenza di quali danni può arrecare un incontrollato assalto alla diligenza, per usare le parole di Bernardini. Nessun abitante dell’isola immagino vorrebbe trovarsi le coste ingombre da piloni di ottanta metri con turbine provviste di pale lunghe la metà, o qualche nuraghe inserito in una boscaglia postmoderna. Che le pale siano “brutte” è condivisibile, ma considerati i tempi correnti vale la pena domandarsi quelle che siano le priorità di più grande momento. La difesa dell’ambiente potrebbe richiedere più sacrifici e più attenzioni che la difesa del paesaggio, unico e autentico patrimonio isolano. È certamente un discorso pericoloso, ma l’eolico pare presentare dei vantaggi indiscutibili, essendo una tecnologia matura ad alto rendimento energetico ed economico con un rapporto ottimale costo/redditività. Ad esempio per la produzione di 2 MW con l’eolico occorrono 400 m2 con una spesa di un milione trecentomila euro; mentre con il solare occorrerebbero 50 mila m2 e la spesa di quattro milioni e mezzo. L’unico fattore indispensabile è il posizionamento corretto delle pale, devono infatti funzionare con un vento non smorzato e di intensità ottimale. Con i nuovi modelli di turbina (2500 MW) si eviterebbe inoltre la bruttura delle selve metalliche, ne basterebbe infatti una ogni km2. Il prof. Bernardini è alquanto scettico riguardo l’utilizzo dei pannelli fotovoltaici, la considera una tecnologia immatura ed eccessivamente dispendiosa. Egli sostiene che servirebbe un centinaio d’anni per garantire un’effettiva conversione della produzione energetica attraverso il solare, sarebbe necessario a tal punto un appoggio al nucleare per attenuare la schiavitù dai non futuribili combustibili fossili. Credo che sarebbe quantomeno preferibile evitare un tale passaggio, l’Italia è palesemente in ritardo riguardo l’adeguamento tecnologico e lo sarebbe ancor di più se si impegolasse, come sta purtroppo facendo, nell’avventura del nucleare. Burderi è di tutt’altro parere sulla tempistica di adeguamento al solare, egli afferma che gli scienziati, anche quelli italiani, hanno le cognizioni e le tecnologia per una rapida e totale conversione della produzione, si parla di sei anni, ma ciò viene evidentemente e occultamente ostacolato dalla ciurma mondiale della pompa della benzina e del carro armato. Metaforicamente parlando, si intende.