Clandestini per caso

1 Giugno 2009

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Pier Luigi Carta

La politica di respingimento Berlusconi-Maroni ha indotto i Mudin, novelli caronti della criminalità organizzata, ad individuare un percorso alternativo che va da Annaba in Algeria al Sud della Sardegna, distanza 280 km. Una rotta inaugurata già nel 2006 da alcuni ragazzi Algerini e collaudata in seguito con uno sbarco di 1700 immigrati tra il 2007 e il 2008; anni in cui giovani senegalesi, algerini e marocchini sbarcavano di giorno talvolta tra i turisti stesi a prendere il sole agostano. La rotta alternativa presenta il vantaggio di una distanza inferiore rispetto al tratto Tripoli-Lampedusa che misura circa 355 km; senza contare l’inferiore percentuale di dispersi: 3% contro il 10% della rotta libica. Il 20 e il 21 maggio di quest’anno ne sono sbarcati nottetempo circa 66 nella zona militare di Teulada e 32 nelle cale tra Porto Pino e Sant’Antioco, inaugurando la stagione primavera estate 2009 dell’immigrazione in Sardegna. Gli sbarcati sono tutti uomini più o meno sui trent’anni, probabilmente algerini, tunisini e marocchini, ma la loro identificazione non è stata accertata. Mercoledì un pattugliatore della Guardia di Finanza ha intercettato direttamente in mare un barcone dove si trovava la maggior parte di loro, senza acqua e senza scorte, per condurlo direttamente al porto di Cagliari, dove sarebbe avvenuto il trasferimento direttamente al CPA di Elmas. Un cadavere è stato recuperato nelle acque di Villasimius, non è escluso che durante l’attraversata altri morti siano stati gettati in mare. L’Algeria secondo il parere dei Mudin è perfetta come punto di partenza per le tratte marittime, perché confina col Niger e con il Mali, zone di transito o di origine delle spinte migratorie, e i porti vicino ad Annaba ospitano una gran quantità di scafi dismessi o battelli inutilizzati. Nonostante tutto la Tunisia continua ad essere la base delle cosche criminali che organizzano il traffico dei migranti; la costa tunisina si collega agevolmente attraverso Tabarka e Biserta, continuando poi verso Kale si raggiunge Annaba. I centri di detenzione in Libia – perché sono una realtà anche nel feudo di Gheddafi e il nostro governo sembra prendere ad esempio la sua politica razzista e violenta – sono già pieni e il rimpatrio verso il deserto è impossibile. Nel 2004-2005 l’esercito libico era già intervenuto per “respingere” i migranti lungo le rotte desertiche e l’operazione si era conclusa con una strage causata dalla fame e dalla mancanza d’acqua. L’accordo Berlusconi-Gheddafi che aveva permesso tale tragedia è già stato sanzionato dalla Commissione Europea, che era intervenuta per proibire tali manovre. C’è da chiedersi quale Europa abbiano in mente i cittadini italiani. Quella dei popoli liberi di cui perfino Bagnasco ha parlato o quella delle frontiere inespugnabili di filo spinato, cinte murarie fisiche e ideologiche salvaguardate da sventagliate di mitra sul confine? Il Pacchetto Sicurezza della Fortezza Italia, approvato con fiducia dalla Camera il 15 maggio, è stato contestato dalla sinistra, dal Presidente della Repubblica e perfino dalla CEI. I respingimenti vengono inoltre bocciati dall’ONU e dalla Spagna, per voce del ministro degli esteri Moratinos, il quale afferma che tali provvedimenti non sono inclusi nel patto europeo sull’immigrazione. La retorica xenofoba propagandata dagli altoparlanti raiset e dalle testate giornalistiche asservite è già realtà sociale; ma in Italia non è di certo novità. I tre maxi-emendamenti introducono il reato di clandestinità nel territorio italiano, il prolungamento della detenzione nei Cie fino a sei mesi e l’obbligo di presentare documenti per gli atti civili e l’obbligo del permesso di soggiorno per sposarsi; il pagamento di un’ammenda dai 5.000 ai 10.000 € per gli irregolari e l’obbligo per i cittadini di denunciare il clandestino, la deroga è prevista solamente per i medici e i presidi, ed è previsto il carcere per chi affitta loro case o alloggi (deve essere dimostrato però l’ingiusto profitto). “Il valore incomprimibile di ogni vita umana e la sua dignità” sono parole che secondo le logiche di governo sembrano male adattarsi agli immigrati, siano essi clandestini o richiedenti asilo fa lo stesso. Il capo del Governo può esprimere la sua insofferenza nei confronti di un’Italia multietnica e Franceschini può evidenziare nel salotto di Ballarò che gli immigrati servono come forza lavoro per mansioni che gli italiani non vogliono più svolgere, persino Fini può richiamare al rispetto dell’art. 10, ma osservatori più accorti hanno già affermato pubblicamente che “l’immigrazione è una realtà magmatica, se non la si governa si finisce per subirla” e il mondo è pieno di esempi che convalidano la veridicità di questo postulato; non ultime le Banlieue francesi o le enclave turche in Germania. Dopo il romanziere Max Frisch qualcun altro giù da noi ha riproposto con trentacinque anni di ritardo il famoso detto: “volevamo braccia e sono arrivati degli uomini”, ora questi uomini però necessitano di diritti e tutele sociali ed economiche e non meritano un trattamento disumanizzante come quello imposto dall’ultima legislatura che espleta il suo abominio più feroce e bieco nei vari CPA, CPT, CIE. L’idea di sicurezza e di identità etnica dell’ideologo del progetto di criminalizzazione del migrante – Roberto Maroni – ha prevalso alla Camera e l’Italia si fa sempre un pochino più oscura, il rispetto della Costituzione  è sempre più un pavido deterrente e i risultati non tardano a palesarsi: i nomi dei bambini irregolari scritti alla lavagna per volere della preside a Genova, a Treviso il questore Carmine Damiano minaccia di requisire i documenti agli immigrati che manifestano, a Padova la preside richiede il permesso di soggiorno per sostenere la maturità, a Milano la Lega propone di destinare vagoni a parte per gli immigrati e pare che a Venezia e a Foggia tale provvedimento sia già stato adottato. Nel frattempo il viceministro Alfredo Manotvano avanza la proposta per installare un Cie in ogni regione per rendere effettive le procedure di espulsione. Concetto che non è sfuggito a Stefania Piredda e che non ha mancato di ribadire nell’Unione Sarda del 22 maggio, ma dovrebbe star tranquilla per quei “clandestini che l’hanno fatta franca a Capo Teulada”, qualche nostro connazionale li denuncerà sicuramente per assicurarli tempestivamente alla giustizia.

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