Notti padane. Noi siamo il 99%
1 Dicembre 2012Valeria Piasentà
“Difendiamo la scuola pubblica” , “Non ci avrete mai come volete voi”, “Noi siamo il futuro” ma anche “Siamo venuti già menati” e “Picchiami, sono una donna”, sono gli slogan letti nelle manifestazioni di questo triste novembre italiano. Anche qui come in Grecia e come altrove: studenti arrabbiati, lavoratori abbandonati alla deriva della sussistenza, cittadini indignati manifestano un disagio sociale al limite della rivolta, mentre la repressione fisica rimanda immagini documentarie di poliziotti che schiacciano un ragazzo a terra per manganellargli la faccia.
Noi siamo il 99%, dicono i manifestanti di Occupy Wall Street, e Noam Chomsky si fa portavoce della rivolta contro quell’1% della popolazione mondiale che detiene il 40% della ricchezza mondiale, il potere economico e finanziario. I politici e gli amministratori sono le pedine strategiche del potere finanziario internazionale; e gli altri, noi, siamo i sudditi. “E’ un sistema che ha realizzato a livello globale un cambiamento nella storia che non ha precedenti: si è creata, proprio come è stato fatto con l’agricoltura, la monocoltura dell’uomo. Quello che si è realizzato è stato uno stordimento e un livellamento dei pensieri che non ha precedenti. E’ stato un processo che è durato alcuni decenni e forse anche per questo oggi non ci si stupisce nel vedere che la Terra sembra abitata da uomini e donne frutto di un unico grande planetario parto gemellare. Ma il problema non è solo nell’estetica, negli indumenti ma soprattutto nelle idee, nei pensieri. I pensieri prevalenti sono tutti uguali e malsani proprio come le monocolture industriali. Questo sistema è colpevole del peggior crimine che si potesse commettere e cioè di aver derubato l’uomo della sua umanità.” scrive Gianluca Ferrara. E per comprendere a pieno come si articola e organizza la violenza di questi tempi bui dominati dalla dittatura finanziaria, occorre leggere il suo documentato saggio 99%-per uscire dalle crisi generate dal sistema neoliberista riprendiamoci il futuro partendo dal basso, edito da Dissensi e con la prefazione di Vandana Shiva. Tutta la prima parte del testo analizza scientemente la degenerazione di un sistema ormai lanciato verso l’autodistruzione e la distruzione del pianeta. Quel che risulta particolarmente prezioso è il successivo elenco delle cose che possiamo chiedere o fare praticamente per osteggiarlo. Perché, secondo Ferrara, sono molte le cose che possiamo fare tanto come gruppi organizzati quanto individualmente, per avviare quel cambiamento che necessariamente passerà attraverso un percorso di decostruzione. Innanzitutto protestare sistematicamente, ma “questa agitazione permanente deve avere come fine delle precise istanze … degli specifici obiettivi”:
1. Regolarizzare la finanza attraverso una adeguata tassazione dei movimenti sui capitali e colpendo l’arbitraggio, nazionalizzando le banche con la BCE pubblica nel ruolo di prestatore di ultima istanza e in grado di stampare denaro, congelando il debito ‘detestabile’ delle nazioni verso le banche. Scindere le rappresentanze politiche da banche e corporazioni come gli Stati dai capitali e dai mercati finanziari; depauperare organi potenti come il Wto, non soggetti al voto popolare.
2. Tassare permanentemente i grandi patrimoni e chiudere i paradisi fiscali.
3. Tagliare la spesa destinata agli armamenti: “In media ogni anno nel mondo si investono più di 1600 miliardi di dollari in armamenti … con 40 miliardi di dollari l’anno si potrebbe porre fine alla povertà estrema, con il restante denaro si potrebbero ripristinare i suoli, le foreste e le riserve idriche del pianeta”.
4. “Farla finita con il termine crescita, come se fosse la panacea di tutti i mali”, quindi puntare alla riconversione industriale e a una decrescita sostenibile, anche attraverso la riconversione ecologia delle spese statali dalle inutili e faraoniche grandi opere alla riqualificazione edilizia, al sostegno alle energie rinnovabili, trasformando il modello di trasporto, favorendo le merci prodotte localmente e limitando la produzione e il consumo di carne bovina , ecc.
5. “Occorre riappropriarci del beni comuni. I beni comuni sono un termometro della società democratica” perciò dobbiamo riappropriarci del concetto stesso di democrazia – in questo cupo momento di sospensione delle regole democratiche – attraverso la partecipazione e una attività politica che parte dal basso. Rendendo sistematici i bilanci partecipati, i referendum abrogativi e propositivi senza quorum. Il superamento del binomio fra sistema rappresentativo e sistema partecipativo, si ottiene sperimentando forme di cittadinanza attiva disciplinate da regole di democrazia partecipativa. “Il più importante bene comune di cui occorre il prima possibile riappropriarsi è quello della sovranità popolare che si esercita attraverso il voto. Oggi solo la sovranità formale appartiene al popolo, quella sostanziale appartiene alle lobby”.
6.”Eliminare le cause che rendono necessario l’uso del denaro e dei sistemi bancari e finanziari, ad esempio affidando agli utenti la cura dei beni comuni” come la scuola e la gestione dell’acqua, ecc., e la moneta deve tornare a servire gli scambi e non diventare essa stessa merce.
7. Infine dobbiamo uscire dal nostro inconsapevole ruolo di fiancheggiatori: ritirando i nostri soldi dalle ‘banche armate’, scegliendo aziende che tutelano il lavoro (con tutte le sue rappresentanze sindacali) e l’ambiente.
In ultima analisi, secondo Ferrara, la crisi è dell’uomo che deve riappropriarsi della sua umanità attraverso una rivoluzione, una rivoluzione innanzitutto culturale. Troviamo questo e tant’altro ancora in 99%, e il libro termina con una apologia del dono che rimanda alla sua più importante teorizzazione: quella di Marcel Mauss, dove la capacità di donare senza esigenza di ritorno viene interpretata come uno stato di assoluta e consapevole libertà.