G8, premio di maggioranza e neofascismo
16 Giugno 2009
Redazione
L’attuale accelerazione verso la deriva autoritaria è di particolare gravità: attacco alla libertà di espressione, ai diritti dei lavoratori, legalizzazione di squadracce nere con il simbolo dell’Aquila Imperiale. Sarebbe bene coglierne i nessi e lanciare immediatamente una straordinaria mobilitazione antifascista, che non può che partire dal rifiuto di delegare l’ordine pubblico a gruppi privati di matrice evidentemente eversiva.
E’ stato a suo tempo facile prevedere l’insorgere, puntualissimo, della coincidenza fra G8, Sardegna, nuove terribili trame terroristiche. Se Gheddafi saluta a pugno chiuso i compagni emigrati libici vicino ad Alemanno e ad Emma Marcegaglia, si agita lo spettro del terrorismo mentre le nuove ronde nere si preparano, nel dilagare securitario, ad affiancarsi a quelle verdi.
Non è di maniera dire che le provocazioni sono strumento classico del potere e che la Magistratura deve fare il suo corso, ma appare evidente che l’obiettivo politico di Berlusconi non è quello di sventare il terrorismo e la saldatura desiderata (dal potere) fra esso e l’indipendentismo: appare piuttosto quello di controllare il paese (delegando ampiamente, per la parte della sicurezza, Lega e Destra classica), evitando l’incubo di una nuova vergogna internazionale e la ripetizione di Napoli e Genova. Berlusconi cerca di equiparare al terrorismo e alla lotta armata la critica legittima al G8, in modo da ridurre gli spazi di dialettica democratica e suscitare un’ulteriore reazione nel paese verso l’Ordine (a proposito: con la nuova legge sulle intercettazioni sarà possibile evidenziare la falsificazione delle telefonate accusatorie, come già successo proprio per il militante ora arrestato di ‘A Manca’ ?).
Il nostro caro Papi vuole soprattutto una società molto controllata per tenere fuori da ogni rischio la propria crescita speculativa e quella dei gruppi economici e finanziari che ora garantisce (non sono tutti quelli che ‘contano’: ma non conosciamo grandi reazioni democratiche nella storia moderna da parte del capitalismo quando una sua parte chiama a raccolta qualche dittatore per la difesa del profitto). Come non è purtroppo nuovo che gruppi economici dominanti facciano garantire i propri interessi mediante bande armate legalizzate e lo svuotamento progressivo delle garanzie democratiche.
Si profila, insomma, uno scenario assai allarmante e un teatrino mediatico, emozionale e falso dove le parti dovrebbero interpretare, sia a destra che a sinistra, la logica della forza, militare o paramilitare, e non quella del ragionamento e della critica. Insomma, il regno della provocazione.
Ci auguriamo che la sinistra pensante dei movimenti possa e sappia esercitare saggiamente la critica al G8 respingendo le provocazioni e cogliendo i veri obiettivi e rischi immediati dell’attuale processo autoritario, che solo in parte coincide con il G8. Costruendo un dibattito su un pianeta che, a differenza di quanto sta accadendo, si muova su scenari sostenibili, pacifico, nel rispetto dei popoli e delle loro culture.
Sin dall’inizio (da almeno due anni) abbiamo ripetutamente sostenuto la non opportunità di seguire lo scenario fisico predisposto dal potere per il G8, ma delocalizzare, dandole forte evidenza, la discussione. Sappiamo che il movimento è in grado di proporre iniziative efficaci (vi proponiamo l’ultimo appello), tavoli di approfondimento e indirizzo, senza raccogliere le grottesche ma pericolose provocazioni del potere. Il centro-destra ha tutto l’interesse ad enfatizzare lo scontro sfruttando l’indubbio momento di difficoltà delle forze democratiche, come vediamo in questi giorni. Per evitare che emergano problemi come il lavoro, le garanzie democratiche, la pace, l’ambiente.
Se Berlusconi teme per la sua immagine planetaria, probabilmente un dossier internazionale sulle malefatte sue e del suo governo, accompagnato dall’arma non violenta della satira ben fatta, lo farebbe soffrire più di mille violazioni di ‘zone rosse’. La Sardegna può dare un grande contributo, a iniziare dalle prime operazioni immobiliari.
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C’è da domandarsi se una delle crisi della sinistra non sia l’appiattimento troppo netto ed esclusivo sulle forme di quelle che si soleva definire ‘la democrazia borghese’. Andiamo di elezioni in elezioni, con lo splendido risultato di trascurare il lavoro nella società e privilegiare quello della cosiddetta rappresentanza delegata di tipo ‘parlamentare’. Sembra che il potere, peraltro, abbia interesse a semplificare la democrazia nel bipartitismo, da noi comunque non certo di tipo anglosassone, tanto che potremo piuttosto chiamarlo ‘bipartisanismo’ per quella tendenza italica all’accordo nella variante prevalente dell‘inciucio’.
Una scommessa a sinistra non può che ritrovare il senso della pratica democratica in quello spazio, una volta riconosciuto come ampio e oggi progressivamente oscurato da democrazia formale e contrapposizione urlata ed estremista.
In ogni caso, la prossima scadenza elettorale è quella del referendum Segni-Guzzetta. Un referendum che non può che vederci contrari con grande determinazione, tanto da far apparire opportuno ogni strumento legittimo e costituzionale per farlo fallire.
La ragione fondamentale appare evidente e confermata dalle recenti elezioni: la tendenza al bipartitismo è interesse delle due forze principali, parte di una strategia verso un regime autoritario che cancelli quegli importanti, anche se non decisivi, aspetti di democrazia dati dalla rappresentanza di forze radicate e significative della cultura politica del paese. Che probabilmente ne è pure preoccupato e infastidito, in maniera molto ‘aziendale’.
Tale strategia, che nelle ultime europee si esprimeva con lo sbarramento bipartisan del 4% (una grande conquista democratica del PD rispetto al 5% originariamente proposto dal PDL!) ha visto la risposta miope della sinistra, i cui gruppi dirigenti non hanno avuto – nè mostrano ora di avere riacquistato la vista – quella minima lucidità e senso dell’interesse democratico prevalente che conducesse all’unica ipotesi possibile, promossa anche da queste pagine e da quelle del ‘Manifesto’ nazionale: un cartello che, rispettando le storie ed i progetti individuali, puntasse a garantire una rappresentanza.
Questa è stata una delle cause dell’astensionismo ‘a sinistra’, assieme, in Sardegna, a quello che ha eroso in modo particolare i consensi della destra di Cappellacci mediante la ‘defezione’ della sua componente sardista. Un astensionismo solo in parte, non prevalente, sincera protesta sarda (è il caso dell’IRS e del suo astensionismo attivo). Peccato che non si veda da parte sardista e indipendentista, col risultato di un’oggettiva delega alla destra in Europa della quale non andare troppo fieri, una critica altrettanto serrata verso gli alleati della Lega Nord, razzista e oltranzista, e del suo radicarsi da Vandea nella ‘Provincia Sardiniae’. Si festeggia la cacciata dei piemontesi e si aprono le porte ai lombardi.
La Sardegna soffre di una legge elettorale assolutamente ingiusta, ma sarà utile ritrovare, in maniera certo più equilibrata per la nostra rappresentanza, i nessi con la ‘questione meridionale’ e le relative forme di battaglia da costruire assieme contro l’attuale forma aggiornata del Risorgimento nordista ‘senza eroi’.
17 Giugno 2009 alle 14:44
stamattina alla rai ho visto lo spot elettorale per il referendum e sono rimasta davvero scandalizzata. Per il si ha parlato una voce anonima in sottofondo che diceva veramente una falsita’ dietro l’altra perche’ fra l’altro lasciava intendere esplicitamente che votando si verranno reintrodotte le preferenze; per il no invece ha parlato Paolo Cento e 2 costituzionalisti fra cui Bassanini (mi sembra che questo gia’ la dica lunga). Questi ultimi invece hanno esplicitato cosa avrebbe davvero comportato votare per il si