Risorge l’araba fenice
16 Febbraio 2013Giuseppe Masala
Ha destato un certo scalpore la proposta della Giunta Regionale Sarda di istituire una zona franca in Sardegna. Al di là della assoluta impalpabilità della proposta che non chiarisce minimamente i confini geografici (quali aree dell’isola sarebbero coinvolte?) e produttivi (quali prodotti e servizi accederebbero ai benefici?) della zona franca quello che lascia perplessi è la tempistica della proposta che – si nota facilmente – è stata fatta a ridosso delle elezioni politiche.
Volendo prendere sul serio questa iniziativa la prima cosa che viene da dire è che la proposta non brilla certo per innovazione. Ciclicamente l’araba fenice della zona franca risorge dalle sue ceneri per incenerirsi nuovamente dopo un periodo di tempo, generalmente, abbastanza breve. Il primo a teorizzarne l’istituzione in Sardegna fu uno dei padri degli studi economici in questa isola: il Professor Giuseppe Todde prima docente di economia e diritto commerciale all’Università di Sassari e successivamente Rettore dell’Università di Cagliari. La sua visione dell’economia fu di stampo liberale e liberista e forse, addirittura, non è azzardato definirlo come un anarcocapitalista ante litteram. La sua idea di zona franca, è curioso notare, come sia caratterizzata dalla convinzione che sia economicamente sostenibile, per lo Stato, dal fatto che i costi per gli sgravi fiscali siano compensati dall’aumento dell’attività economica grazie all’apertura di nuove imprese. Insomma, Todde teorizzava una sorta di “Curva di Laffer” (cavallo di battaglia degli economisti della Reaganomics) un secolo prima di Laffer e della scuola di Chicago.
Questa premessa di tipo storico credo sia importante perché le idee hanno radici profonde e solo l’esplorazione dell’origine di esse ci può aiutare a comprenderle fino in fondo. Fatte queste premesse credo possa essere giusto dire come la proposta di zona franca in Sardegna rientri chiaramente nei canoni delle idee della destra liberista. Questo cento anni fa come ora.
Entrando nel merito e sempre ipotizzando che la proposta della Giunta Regionale presieduta da Cappellacci non sia una facile promessa elettorale credo sia giusto aggiungere alcune considerazioni sul fatto che non è stato chiarito l’aspetto più importante: i settori per i quali si richiede la fiscalità di vantaggio.
Se i settori coinvolti dalla zona franca fossero quello edilizio e quello industriali saremo di fronte ad un imponente attacco ai beni comuni ed in particolare al paesaggio e alla salute. Barattare il paesaggio concedendo una nuova colata di cemento dovuta ad incentivi all’edilizia sarebbe un errore gravissimo; sarebbero attirate in Sardegna torme di speculatori a caccia di facili profitti che una volta ottenuto l’obbiettivo non lascerebbero nulla in grado di creare uno sviluppo reale e dunque autocentrato. Una zona franca che coinvolgesse il settore industriale sarebbe probabilmente ancora più devastante: oltre al danno al paesaggio ci sarebbe un danno all’ambiente con delle ricadute sulla salute pubblica delle popolazioni dei territori coinvolti. Troppo catastrofista? Direi di no, l’evidenza storica del passato tentativo di industrializzazione ci ha insegnato – a caro prezzo – come bisogna rifuggire dalle facili promesse fatte da capitalisti a caccia di profitti grazie ad incentivi o altre provvidenze statali.
Dunque della zona franca non si può salvare nulla? Secondo me no. Qualcosa si può salvare. Sarebbe un esperimento interessante concedere delle agevolazioni fiscali forti (non importa se l’operazione verrà chiamata zona franca o altro) al settore agroalimentare. Innanzitutto perché si valorizzerebbe un settore d’eccellenza dell’isola che in tutto il mondo sta diventando sempre più strategico. Da notare che a beneficiarne sarebbero aziende locali già operative ed inoltre si favorirebbe l’insediamento di nuove attività anche provenienti da oltre Tirreno purché interessate a investimenti di lungo periodo e non al facile profitto.
Purtroppo va detto che il settore agroalimentare è presidiato (anche a livello di attività di lobbing nella UE) delle grandi multinazionali del settore quindi è veramente difficile sperare che l’UE conceda simili agevolazioni in questo settore. L’unico nel quale la proposta avrebbe un reale effetto di sviluppo riuscendo anche a salvaguardare i beni comuni.
18 Febbraio 2013 alle 11:47
Il settore agroalimentare, sopratutto lato allevamento ovino, ha già ricevuto in passato tante agevolazioni e sappiamo quanto, troppo spesso, tali aiuti siano stati poco sfruttati e spesi male. Per almeno 25 anni (anni ’80, anni ’90, primi anni 2000) i nostri allevatori hanno potuto contare su agevolazioni eccezionali e su un prezzo del latte remunerativo. La mancata diversificazione dell’attività agricola, la frammentazione della proprietà, la monocultura-monoprodotto (nello specifico il pecorino romano) dell’allevamento ovino, la mediocre formazione professionale, metodi primitivi di commercializzazione con l’estero, hanno portato ad accentuare gli influssi negativi dell’attuale crisi economica.
La zona franca sarebbe un qualcosa di serio solo se si facesse un ragionamento d’insieme sulla “specialità” della Sardegna, non semplicemente come regionalismo amministrativo, ma sul perché e come sia necessaria una vera autonomia di tipo fiscale. La gestione autonoma della fiscalità sarda, nei suoi vantaggi, dovrebbe compensare i disagi concorrenziali storici dovuti ai più alti costi di trasporto, più alti costi di energia elettrica, mancanza di massa critica in senso demografico, maggiori servitù militari del resto d’Italia, maggiori superfici demaniali. L’edilizia non è solo negativa e l’industria è indispensabile, le esternalità vanno ovviamente preventivate e non devono compromettere le possibilità future di reddito e di salute. Il problema è che in questo momento non esiste un «personale politico» e una classe imprenditoriale in grado di guidare, ma più semplicemente di pensare, un tale processo economico.