Sulla Statutaria
1 Ottobre 2007Tonino Dessì
Ora che tutti (su entrambi i fronti) hanno compreso di non poter confidare nel mancato conseguimento del quorum partecipativo per conseguire un risultato certo, il confronto sulla Legge Statutaria può dispiegarsi sulle questioni di merito. L’invito a non focalizzare la discussione sulla persona dell’attuale Presidente della Regione e ad attenersi ai contenuti è condivisibile, ancorché la particolare caratteristica imprenditoriale del titolare della massima carica abbia condizionato e condizioni delicati aspetti normativi, almeno sul tema del conflitto d’interessi. L’art. 27 comma 2 della Statutaria consente, per evitarne le conseguenze, la stipula di un negozio fiduciario e ne detta le clausole tra le parti. Ma l’ordinamento civile è competenza esclusiva dello Stato: se la Regione disciplinasse una determinata tipologia di contratto privatistico o i suoi effetti tra le parti adotterebbe un atto costituzionalmente illegittimo. Questa parte della Statutaria è quindi destinata a sicura impugnativa costituzionale. Nella discussione nazionale, tra l’altro, la soluzione del conflitto d’interessi basata sul negozio fiduciario è criticatissima: molti la ritengono un compromesso per salvare Berlusconi. Essa infatti reca contraddizioni non superabili. Si dovrebbe garantire che il fiduciante non influisca sulle attività trasferite al fiduciario, ma questo è ovviamente impossibile: non occorre lasciare prova scritta, per scambiarsi informazioni o istruzioni. Affidando a un terzo la gestione delle proprie attività mediante negozio fiduciario si potrebbe inoltre eludere l’attuale disciplina delle incompatibilità, che oggi scatta almeno qualora, a seguito della partecipazione dell’impresa ad un appalto pubblico, si ingeneri un contenzioso legale. Sarebbe più coerente sancire un’incompatibilità generale tra la titolarità di determinate attività d’impresa e le cariche istituzionali, senza evocare l’improbabile negozio fiduciario.
Anche la tesi secondo la quale la Statutaria conterrebbe soluzioni avanzate per quanto riguarda i rapporti tra Presidente, Giunta, Consiglio non ha riscontro dalla lettura del testo. La Statutaria del resto non può abrogare lo Statuto. E infatti nessuna delle disposizioni della Statutaria che regolano il rapporto tra Presidente, Giunta e Consiglio muta alcunché rispetto alla situazione attuale com’è descritta dalle norme contenute nello Statuto. Al massimo vi si riproducono in forma pleonastica disposizioni o principi che lo Statuto già contiene (sia sulle funzioni presidenziali, sia su quelle assessoriali, sia sulla collegialità della Giunta).
Nemmeno sul numero degli assessorati la situazione cambia in meglio rispetto alla L.R. n. 1 del ‘77, attualmente in vigore. Di assessorati se ne potranno costituire fino a dieci, più due delegati del Presidente “fuori sacco” (e, considerato che sulle nomine assessoriali il Consiglio non ha nessuna voce in capitolo, anche fuori controllo); sempre a dodici, come oggi, torniamo.
Non è nemmeno veritiero sostenere che se non fosse approvata la Statutaria il numero dei consiglieri potrebbe salire fino a 100 o più. Sul punto la Statutaria si limita a ripetere quello che dice lo Statuto, all’articolo 16: il Consiglio è “composto da 80 consiglieri”. Per il resto essa, come lo Statuto, rimanda alla legge elettorale. E finché la nuova legge elettorale non si farà (avrebbe anzi dovuto esser parte della Statutaria, ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto), la Statutaria non impedisce affatto la crescita del numero dei consiglieri, perché questo è transitoriamente consentito (in deroga allo Statuto) dall’articolo 3, comma 2 della L. Cost. n. 2. del 2001.
Resta l’illimitato potere di condizionamento derivante dalla clausola dissolvente: se il Presidente si dimette, va a casa anche il Consiglio. Questa nuova norma dello Statuto ha introdotto un fattore di squilibrio: tuttavia la Statutaria non contiene alcuna disposizione che ne inibisca neppure una pratica estremistica. Gli effetti si possono apprezzare oggi a tutto tondo, con una crisi aperta da settembre del 2006 e mai chiusa, mentre una buona parte della maggioranza non c’è più e il resto è assorbito dalle conflittuali vicende della competizione per la segreteria di un partito. Ma se fosse stata vigente la Statutaria, sarebbe cambiato qualcosa?
A fronte della conferma (con qualche peggioramento) della concentrazione di poteri interna all’assetto degli organi istituzionali, la Statutaria non apre spiragli neppure in termini di poteri partecipativi esterni, anzi cancella molti strumenti creati nella legislatura presieduta da Mario Melis. Con la L.R. n. 84 del 2006 furono infatti introdotti il referendum abrogativo di regolamenti, atti o provvedimenti amministrativi, quello preventivo su progetti di legge, di regolamenti, di atti o di provvedimenti amministrativi regionali, quello consultivo su questioni di interesse regionale o locale. Per tutti si è fissato nell’86 un quorum partecipativo identico a quello che l’art. 32 dello Statuto del ‘48 prevedeva per il solo referendum abrogativo: un terzo degli aventi diritto al voto. Per tutti lo stesso requisito minimo di richiedenti stabilito dal medesimo art. 32: diecimila elettori, eccettuato il referendum locale, attivabile da settemila elettori. La L. Cost. n. 2 del 2001 ha abrogato l’art. 32 dello Statuto, che non menziona più il quorum partecipativo. La Statutaria aggrava le condizioni poste originariamente dallo Statuto, stabilendo che per i referendum abrogativi occorra un quorum partecipativo pari alla metà più uno di coloro che hanno votato nelle precedenti elezioni. Non solo. La soglia dei richiedenti sale, per tutti i referendum, a quindicimila elettori. Il referendum consultivo sopravvive solo su questioni di interesse generale, mentre i referendum “locali, territorialmente limitati” (per esempio sull’ubicazione di un termovalorizzatore) sono rinviati a una futuribile legge ordinaria della Regione. E’ un indebolimento degli istituti di partecipazione difficilmente giustificabile, in una Regione nella quale non si può dire che se ne sia mai fatto abuso.
Già limitandoci a questi aspetti, emblematici e cruciali, vi sono sufficienti ragioni per non ritenere particolarmente difendibile il testo sottoposto a referendum. Si potrà fare abbastanza di meglio senza che la mancata entrata in vigore di questa legge ostacoli alcunché.
Il referendum offre però l’occasione per una riflessione più generale, in vista di un appuntamento certamente urgente, anche se non perseguito (e ormai temporalmente non perseguibile) nella corrente legislatura: quello della riforma dello Statuto. E’ infatti l’attuale Statuto, come modificato dalla L. Cost. n. 2 del 2001, a stabilire che, qualora il Consiglio non adotti la forma di governo parlamentare, il Presidente della Regione è eletto a suffragio universale e diretto, che la sua elezione è contestuale a quella del Consiglio e che le sue dimissioni comportano nuove elezioni presidenziali e consiliari. Questo impianto, introdotto nel 2001 dalle riforme del Titolo V della Costituzione e degli Statuti speciali, non può essere modificato con Legge Statutaria. Per farlo occorrerebbe piuttosto una modifica costituzionale, possibile, per le Regioni speciali, in sede di revisione dei rispettivi statuti.
L’ipotesi presidenzialista dovrebbe ritenersi tramontata, come forma di governo del Paese, dopo il referendum costituzionale del 2006. Precedentemente si è ritenuto che essa potesse giovare all’efficienza dei sistemi regionali. Si trattava già di una contraddizione rispetto alla finalità costituzionale delle autonomie, pensate per allargare la base democratica della Repubblica. Oggi parlano i fatti. Basti pensare agli effetti di un potere istituzionale politicamente inamovibile (non a causa dell’elezione diretta, ma a causa della clausola dissolvente) concentrato in una sola persona o in un ristretto gruppo ad essa omogeneo (vieppiù se questa persona è già di suo dotata di ingenti mezzi di pressione e di influenza non solo economica) su un sistema territoriale ristretto, ancor più se meridionale, con una società fragile e frammentata, molecolarmente dipendente dai flussi di erogazioni pubbliche, priva di forti autonomie istituzionali (si pensi ai comuni) economiche (si pensi al sistema delle imprese), sociali (si pensi alla società civile organizzata), dove tutta la politica è fondata sullo scambio tra prestazioni pubbliche e consenso.
Forse è il momento di mettere seriamente in discussione il presidenzialismo squilibrato introdotto in forma rigida e generalizzata nelle Regioni. Tanto più che metà del sistema regionale (e al suo interno ben quattro delle cinque Regioni speciali) non ha ancora adeguato (forse non a caso) il proprio ordinamento al Titolo V, pur essendo passati sette anni dall’approvazione della riforma.
1 Ottobre 2007 alle 09:22
Se è così “innocua” questa Legge statutaria, se poi non cambia così tanto, ma poco e -forse- male – a detta degli oppositori, perché non approvarla allora? E’ inutile che ci si giri attorno: coloro che non la vogliono, a parte il disprezzo del Presidente Soru (comprensibile dal punto di vista umano, meno dal punto di vista politico, verso un uomo che ha comunque rotto un sistema e introdotto un nuovo approccio alla politica, pour cause osteggiato dai vecchi brontosauri della politica sarda riuniti alla Fiera di Cagliari il 22 settembre scorso) sono CONTRARI al sistema ad elezione diretta del Presidente della Regione. Hanno come obiettivo ritornare alla gestione assembleare, con elezione del Presidente e della Giunta ad opera del Consiglio, con Assessori ben concordati dai partiti, con radicale rifiuto del principio di responsabilità individuale del Capo dell’esecutivo. Continuo a sostenere, da sinistra, che la posizione sia perdente e antistorica.Essa reclama ulterirore partecipazione “democratica”, quando tutti sanno bene che il problema del funzionamento della Regione e della pubblica amministrazione in genere, non sta nella scarsa partecipazione quanto nella inefficienza, inefficacia e lentezza del processo decisionale, nella qualità delle sue risorse umane, e nella assenza di accountability.
P.s. Ieri Correa ha vinto le elezioni per l’As. costituente in Ecuador: ha chiesto più presidenzialismo. Prendo atto che da noi c’è chi chiede più chiacchere.
2 Ottobre 2007 alle 13:20
un ritorno all’antico contratto.
si potrebbe dire che la politica è “il più antico mestiere > del mondo”; così ci tocca pure vedere la “sinistra” con la destra della vecchia dc e con i nuovi “vecchi” operatori di dx che tentano tutti insieme di conservare.
populismo contro populismo raccontando che si è difensori delle antiche istituzioni democratiche.
articolo lunghissimo, all’apparenza dettagliato ma in realtà una congerie di interrogativi leciti ma incompleti. Ovvero di difficile comprensione per i popolani quale io sono.
Continuo sempre a non capire, però, dove stia il pericolo per la democrazia.
Rimango sempre dell’opinione che il pericolo sia per l’oligarchia!
3 Ottobre 2007 alle 04:59
All’oligarchia, come insegna anche l’antica storia greca e romana, segue immancabilmente la monocrazia, se non c’è una forte mobilitazione che reimponga istituzioni bilanciate e partecipate. Tonino Dessì, da ottimo tecnico qual’è, fà uno sforzo per capire e farci capire la statutaria. Ed allora o si interviene sul testo e si controbatte nel merito oppure si stà zitti Il che vale sopratutto per chi ammette di non capire e, tuttavia, di proporsi di votare per il sì! Il dibattito è una cosa seria e per essere utile necessita di contributi sul merito e che le posizioni altrui non vengano falsate. Nessuno del Comitato per il NO, e tantomeno Tonino, è per il ritorno al passato, all’ingoverbanilità. Tuttavia, se c’è una ingovernabilità manifesta è quella attuale perchè il Presidenzialismo estremizzaro ingenera solo conflitti e impedisce la mobilitazione unitaria. Una crisi delle istituzioni regionali come quella attuale non è mai esistita. Non c’è crisi di governo, ma non è meno grave di quelle, conclamate, del passato. Il Presidenzialismo estremizzato di Soru è riuscito in due anni ad alienargli il consenso di una parte dei consiglieri di maggioranza, dei partiti di maggioranza e di tantissmi cittadini-elettori che lo hanno votato. Un vero disastro politico e per il centrosinistra. Ed allora o si pone rimedio subito per salvare il centrosinistra oppure l’esito di questa non esaltante vicenda è già segnato. Chi vuole il ritorno al passato è chi difende l’indifendibile.
6 Ottobre 2007 alle 10:59
Capito!
al dibattito sono ammessi soltanto i “tecnici”. Chi è terra, terra non può chiedere spiegazioni.
Così noi si deve andare a VOTARE o a NON VOTARE tenendo conto che i tecnici ad esempio ci dicono che il potere è “concentrato in una sola persona o in un ristretto gruppo ad essa omogeneo (vieppiù se questa persona è già di suo dotata di ingenti mezzi di pressione e di influenza non solo economica) su un sistema territoriale ristretto, ancor più se meridionale, con una società fragile e frammentata, molecolarmente dipendente dai flussi di erogazioni pubbliche, priva di forti autonomie istituzionali (si pensi ai comuni) economiche (si pensi al sistema delle imprese), sociali (si pensi alla società civile organizzata), dove tutta la politica è fondata sullo scambio tra prestazioni pubbliche e consenso.>>; mentre altri tecnici ci fanno sapere che “Il Presidenzialismo estremizzato di Soru è riuscito in due anni ad alienargli il consenso di una parte dei consiglieri di maggioranza, dei partiti di maggioranza e di tantissmi cittadini-elettori che lo hanno votato. Un vero disastro politico e per il centrosinistra.”.
due concetti se vogliamo antitetici, eppure dovrebbero sostenere la stessa posizione!
certo che non so neppure cosa sia l’accountability, immagino.
e comunque da “popolano” ritengo che debba tramontare il vecchio sistema delle mille giunte e dei cento rimpasti ecc. ecc. Gradirei capire perchè mettere in discussione il “presidenzialimo squilibrato”
W Chavez
6 Ottobre 2007 alle 13:07
Ringraziamo tutti i partecipanti a questa discussione sulla ‘statutaria’. Ora ci sentiamo di invitarvi ad una sospensione di un botta e risposta che, lungi dall’essere inutile, non ci sembra aggiungere ormai molto alle posizioni, direi ben definite e sulle quali abbiamo ritenuto di intervenire.
Continueremo naturalmente a discuterne nel prossimo numero, cercando di privilegiare l’analisi e non la logica dello schieramento, né modelli che non ci sembra il caso di evocare.
8 Ottobre 2007 alle 17:02
In poche e chiare battute Tonino Dessì illustra per un verso l’inutilità ( sui poteri del presidente, sul destino che accomuna presidente e consiglio e tutto ciò che prevede al riguardo il titolo V della Costituzione così come riformato dal centro sinistra!) e per l’altro il danno ( dalla riduzione degli spazi alla democrazia partecipativa attraverso i referendum,alla divisione interna ai gruppi della maggioranza di centro sinistra) di una legge statutaria di cui non c’era alcuna urgenza ( la modifica dello statuto sì che era urgente!) e da cui mondo del lavoro e della scuola e la società sarda hanno avuto il danno, per ora , di vedere trascurate le loro urgenze. Interessante l’ultima parte dell’articolo di Dessì che propone una riflessione seria sul presidenzialismo nelle regioni. Non ho mai condiviso che in nome della cosiddetta governabilità si riducessero gli spazi alla democrazia che o è partecipativa o non è. E questo vale per le istituzioni e per le organizzazioni sociali a partire dai partiti. Non ho condiviso che di tale forte potere si avvalesse nè Cuffaro noto Presidente della Regione Sicilia, né Formigoni, né il Compagno Bassolino già da me in passato molto apprezzato, nè più o meno illuminati padroni alla Illy o alla Tiscali.