La democrazia attraverso gli sbarramenti
16 Giugno 2013Marco Ligas
Sbaglia chi pensa che i nostri consiglieri regionali siano inoperosi o non siano interessati alle sorti della Sardegna. Lo sono e come. E’ vero, talvolta danno l’immagine di politici distratti perché non valutano attentamente gli effetti di alcune decisioni relative alla salvaguardia del territorio, o dimenticano la scadenza degli ammortizzatori sociali in deroga, prevista per il prossimo 30 giugno.
Ma se le iniziative da assumere riguardano il funzionamento e la composizione stessa dell’istituzione che rappresentano, allora mostrano la massima intraprendenza e tempestività. Sulla legge elettorale regionale, per esempio, la commissione riforme ha approvato un emendamento che prevede uno sbarramento del 10 per cento per le coalizioni, del 7 per cento per le forze politiche che si presentano da sole e del 3 per cento per i partiti che si presentano all’interno delle coalizioni.
Non è necessaria una particolare perspicacia per capire il significato di questa operazione: se un partito o una formazione minore alle prossime elezioni regionali si presentasse da solo, al di fuori di una coalizione, dovrebbe ottenere un numero di voti molto elevato (gli esperti parlano di almeno sessanta/settanta mila unità su un elettorato certamente non numeroso come è quello sardo), e perciò difficile da raggiungere.
Non c’è alcun discorso sulla governabilità che renda convincente una decisione così autoritaria, al limite della costituzionalità. Al contrario, va avanti con tutta evidenza il progetto, condotto con estrema determinazione, che tende ad escludere le minoranze dalla vita politica. È un tentativo complementare al disegno sul presidenzialismo di cui si parla in queste settimane, il cui obiettivo è quello di ridurre gli spazi della democrazia.
L’aspetto paradossale di questo processo è che il contenimento delle libertà procede di pari passo con la crisi economica, con la riduzione dell’occupazione e con l’impoverimento di nuovi strati sociali. Siamo ben lontani cioè dall’ipotesi che diversi sociologi, alla fine del secolo scorso, avevano fatto secondo cui una limitazione (un eufemismo per indicare un progressivo autoritarismo) della democrazia sarebbe stata accompagnata da un miglioramento delle condizioni di vita per larghe fasce della popolazione. Insomma la perdita della libertà in cambio del benessere.
I fatti di questi decenni mostrano un’altra verità: il liberismo ha un’altra natura, quando può farlo non accetta compromessi o contrattazioni; consapevole della sconfitta storica della sinistra e del suo progressivo dissolvimento, non solo a livello italiano, passa al contrattacco e cerca di consolidare i nuovi livelli di potere che via via riesce a conquistare. Lo fa con arroganza, rafforzandosi nei molteplici settori dove già esercita la sua egemonia: da quello culturale a quello dell’informazione, da quello finanziario a quello della speculazione industriale, manovrando con spregiudicatezza gli stessi processi della globalizzazione.
Per queste ragioni appare sempre più incomprensibile l’atteggiamento delle componenti democratiche o di centro sinistra (così continuano a definirsi in modo improprio) nelle istituzioni. In realtà sono sempre più sottomesse alle scelte di chi detiene il potere e la ricchezza; la loro presenza nelle istituzioni sancisce la separazione profonda dai bisogni prevalenti della società. Operano come corporazione e perciò si dilungano nello stabilire le quote di sbarramento per le prossime elezioni.