Le vie della santità sono infinite

16 Settembre 2009

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Mario Cubeddu

Quando l’idea di un dialogo su “Spiritualità e poesia”, nell’ambito del Cabudanne de sos poetas, è diventata realtà, mi è venuto subito in mente che per la prima volta un discorso su Dio sarebbe uscito fuori dalla protezione della grande cupola di basalto della Parrocchiale di Seneghe e si sarebbe svolto dentro uno spazio diversamente sacro, quello della “Piazza dei balli”. Balli sardi, naturalmente, il rito più antico di un popolo. C’era Franco Loi, “matto di Dio” come San Francesco, e questo bastava per costruire le basi di un incontro sulla spiritualità. Ma occorreva un interlocutore all’altezza di lui, del tema e della cupola  che si sarebbero trovati di fronte. Ce n’era uno ideale: Gabriella Caramore è ascoltata in Italia da milioni di persone. Tutte quelle, e sono tantissime, che ascoltano Radio 3. Ne ho avuto la prova un giorno che passavo alla fontana e uno che lavava la macchina ascoltava “Uomini e profeti”. E poi all’Osteria è obbligatorio ascoltare Gabriella, altrimenti Mattea ti caccia via.  Gabriella Caramore è seguita da tanti atei parziali per i quali il tema di Dio sembra accantonato e non rimosso. Abbiamo sentito l’altro giorno dire da un prete, Andrea Portas, che la maggior parte della vita di tutti noi, credenti e non credenti, trascorre nell’ateismo. L’esperienza di Dio è speciale, rara. Come la poesia. Questo prete ha una storia non comune. Per 35 anni ha lavorato da operaio. Arrivato ai diritti e all’età della pensione ha chiesto di fare il parroco ed è stato mandato ad Armungia. In poco tempo sono stati pubblicati due libri con sue poesie, “Canto a due voci” e “Dalla parte dei vinti” nel luglio 2008. Anche lui era la persona giusta da portare al “Cabudanne de sos poetas”. Una volta che Gabriella Caramore aveva accettato di essere presente a Seneghe tutto andava a posto. Anche la possibilità di avere Andrea Portas, nonostante la sua ritrosia. Perché solo in quel contesto, a quell’altezza, la sua presenza avrebbe avuto senso. Di Andrea non amo in modo particolare le poesie che stanno “dalla parte dei vinti”. Amo invece i suoi incontri notturni con Dio e soprattutto le notti in cui Lui manca all’appuntamento e dalla tensione spirituale sembra nascere la poesia. Andrea ha lasciato a bocca aperta chi lo ha ascoltato a Seneghe. Chi lo ha conosciuto, chi lo ha sentito, sa che quest’uomo non può mentire. Per essere più precisi, anzi, per dire una cosa sostanzialmente diversa, Andrea sembra non poter fare a meno di dire la verità. Con tutte le conseguenze che questo comporta. Perché esiste una infinità di modi per eluderla, aggirarla, sfuggirla. Questa sincerità ha avuto un impatto immediato su un certo numero di persone presenti nella piazza dei balli di Seneghe la sera del 5 settembre 2009 all’incontro con Gabriella Caramore, Franco Loi e Andrea Portas. Ciò che unisce tante persone speciali  è la tenace fedeltà a una vocazione di amore per gli altri che si manifesta in impegno etico e in scelte politiche. Tutte queste si sono riconosciute soprattutto nelle parole di Andrea. Che forse non riceverà da questo incontro la consacrazione mediatica che merita. Ma questo non importa. La parola di Andrea è stata comunque un miracolo, come il fatto che ogni anno, da cinque anni, si riesca a riproporre il “Cabudanne” di Seneghe. Andrea Portas ha forse più la stoffa del santo che quella del poeta. Per questo non è disposto a compromessi. Quello che ha detto a Seneghe è evidentemente quello che ha voluto dire. Non ha parlato di Dio, non ha parlato della sua poesia. Ha parlato di ciò che ama e di ciò che detesta. Parlare di “odio” nelle sue parole gli fa torto. Ciò che ama sono gli esseri umani. Nella concretezza di ciò che sono, di ciò che vivono, di ciò che pensano. In particolare l’operaio, l’eroe sconfitto, la vittima del XX° secolo, figura evanescente che scompare nel crepuscolo.  Il capro espiatorio del nostro tempo. Andrea Portas rimane con lui, a costo di condividere simboli e miti di un’ideologia operaista che pretendeva di rappresentare tutte le sofferenze dell’uomo, anche quando non riusciva a dare una risposta ai cambiamenti drammatici della storia. Ma, se capiamo bene, quella è la mente, quelle sono le passioni degli uomini che Andrea ha visto soffrire, ha amato e ama. Ciò che detesta è il potere politico ed ecclesiastico, indifferente ancor più che oppressivo. La santità ha molto probabilmente a che fare con le strutture sociali, qualche volta anche con la politica. Almeno per l’uso che se ne fa. I Savoia non risparmiarono nulla per propagandare le figure di beate provenienti dalla loro famiglia. In questo modo consolidavano un prestigio che poteva sempre essere discusso. Non avevano forse ricevuto il titolo di re da una terra, la Sardegna, che avevano ottenuto per caso e controvoglia? I santi sardi sono invece spesso espressione delle realtà più marginali. Gran parte di loro ha vissuto e praticato la santità come gli “umiliati e offesi” di Dostoevskij. Umili frati che andavano nelle case a chiedere l’elemosina da distribuire agli altri. Si sa che i più generosi sono i poveri, era una partita di giro. Attorno a questi personaggi si creava un alone di santità, anche se non si conosce molto delle loro parole e delle loro azioni. Quel che è certo è che la loro opera non è pratica, non cambia concretamente la vita dei Sardi. Gli uomini della “carità” moderna e attiva arrivano invece nell’Ottocento da Oltremare. Con i tagliatori di foreste e gli sfruttatori delle miniere. Trovano pronta risposta tra i sardi in anime generose e si dedicano all’istruzione e al soccorso dei più deboli, creando potenti strutture educative e di carità. I Sardi non sono invece disposti a dare credito all’entusiasmo, alla fede operante e alle proposte concrete dei loro conterranei. Sarà anche perché, come racconta Raimondo Turtas nella sua bella “Storia della Chiesa in Sardegna”, le autorità ecclesiastiche sono perlopiù continentali, persone di fiducia dei governanti. Andrea Portas è stato accanto ai lavoratori per una vita, ha creato una scuola popolare per l’istruzione degli esclusi. La sua forza poetica e umana è tale da dare speranza, non solo ai suoi parrocchiani, ma a tanti che lo hanno sentito dare testimonianza e parlare di un Dio che in tanti cercano in un’epoca che non può perderla, se vuole sopravvivere.

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