Vite quotidiane. Il coraggio di Alessandra
24 Ottobre 2013Giacinto Bullai
Alessandra Piroddi è un modello molto raro di supermamma ma nulla a che vedere con il “multitasking” di maniera, oggi molto in voga, scandito da bimbi a scuola, lavoro, palestra, baby sitter, cena e cinema a seguire. L’ultima volta in una grande sala, per Alessandra, è un ricordo svanito, la palestra un miraggio, ristoranti e viaggi si vedono solo in foto. Alessandra è la supermamma di Aurora, 6 anni, una meravigliosa bambina con una voce, uno sguardo e una volontà fuori dal comune. “Si chiama sindrome di Rett – ripete Piroddi come un disco – è una rara patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce soprattutto le femmine, ma da un anno a questa parte non sono più certi nemmeno di questo”. Alessandra e il marito, Enrico Deplano, quarantenni cagliaritani, sono due guerrieri a tempo pieno. Recitano a memoria leggi e regolamenti sulla sanità, i loro campi di battaglia sono gli uffici delle Asl, i centri di riabilitazione, gli ambulatori. Il loro nemico principale è l’ignoranza, quotidianamente profusa in discrete quantità soprattutto quando si tratta di lasciar libero un posto auto invalidi o mentre si accede alla cassa prioritaria in un market: “Aurora è una bambina all’apparenza normale, la sua disabilità non è percepibile immediatamente – spiega Alessandra – ecco perché spesso ci guardano male o capita di doverci giustificare se usufruiamo di questi piccoli servizi dedicati”. Nonostante tutto i due genitori hanno trovato la forza di reagire, aderire all’associazione nazionale, sensibilizzare sul tema della disabilità infantile. E si commuovono sino alle lacrime se inaspettatamente la loro Aurora riesce a dare un bacio a un suo piccolo compagno di asilo.
Alessandra Piroddi, qual è il primo consiglio da dare a una mamma nella sua stessa situazione?
«Non buttarsi giù, altrimenti tuo figlio cola a picco. A noi non è permesso il minimo tentennamento perché siamo sostanzialmente soli. Purtroppo, a volte, non ti sostengono nemmeno i parenti. Scontrarsi con la disabilità, inizialmente, è come impattare contro un muro. Ecco perché occorre straordinaria sensibilità e molta pazienza». Quando ha capito che Aurora era malata? «Non immediatamente. Nei primi mesi di vita della bambina percepivo solo delle brutte sensazioni che attribuivo al mio stress e alla mia stanchezza. Solo dopo sei mesi, in seguito a una visita pediatrica, ci siamo accorti che Aurora non rispondeva agli stimoli uditivi. Abbiamo pensato a un caso di sordità ma così non era. L’otorino allora intuì che si poteva trattare di un disturbo cognitivo più complesso».
È allora che la sua vita cambia
«Certo, inizia un percorso a ostacoli sempre più difficile. Scopriamo che Aurora è autistica, chiusa dentro il suo mondo, non risponde agli stimoli esterni. Le visite si susseguono tra Cagliari, Roma e Siena. La bambina è affetta da una disabilità cognitiva importante, da assenza di linguaggio e incapacità di esprimere volontà. L’unico modo che abbiamo per capire i suoi messaggi è l’interpretazione dei gorgoglii e dei pianti. Ma non basta. È colpita da epilessia anche notturna, convulsioni, lassità legamentosa, osteoporosi, ipercolesterolemia».
E non ha ancora una diagnosi esatta?
«Purtroppo no. I medici ritengono si possa trattare della sindrome di Rett, una malattia degenerativa dello sviluppo neurologico di origine genetica ma non ne hanno la certezza proprio perché non hanno ancora verificato con esattezza l’origine ereditaria. Questo limbo non ci consente di partecipare a determinati progetti di assistenza e di sperimentazione».
Quale sostegno avete dalle strutture pubbliche?
«Un’ora di fisioterapia al giorno e quattro di assistenza domiciliare. Le restanti 19 ore la bambina è accudita costantemente da me e da mio marito. Non possiamo distrarci nemmeno un minuto, tantomeno la notte, a causa delle frequenti crisi epilettiche».
Qual è la sua giornata tipo?
«Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho dormito sei ore di fila e non ricordo l’ultima volta che sono andata al cinema o in ristorante. In compenso racconto un piccolo esempio di problemi quotidiani. Aurora ha ancora bisogno dei pannolini e li userà tutta la vita. Spesso è necessario cambiarla anche ogni ora ma se mi capita di doverlo fare all’esterno, sono dolori. Tranne che in un ospedale, in tutta la città non esiste un fasciatoio in grado di ospitare mia figlia. A ciò si aggiunge anche la debolezza del tono muscolare della bambina che rende ogni movimento complicatissimo nonché pericoloso per le sue articolazioni. Non mi restano che le panchine, con annessi sguardi curiosi e indiscreti».
Lei e suo marito, nonostante le obiettive difficoltà, avete trovato comunque la forza di reagire
«Reagire è doveroso. Abbiamo aderito all’Associazione italiana sindrome di Rett e mio marito è diventato referente regionale. Abbiamo già organizzato un convegno e alcune iniziative di incontro con i genitori di altre bambine colpite. Stimoliamo il confronto e soprattutto l’apertura verso l’esterno. Mettiamo al bando la vergogna, cerchiamo di far parlare dei nostri problemi, raccogliamo fondi per la ricerca».
Così è nata anche la bambola Aurora
«Certamente. Bambola Aurora è un progetto che io realizzo nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie e il ricavato è totalmente devoluto all’associazione. Si tratta di costruire assieme agli alunni una bambola di pezza con degli strofinacci, senza occhi perché la bambina Rett non ti guarda, senza bocca perché non parla, con le gambe molli perché non si muove. Così gli studenti comprendono molto bene cosa sia la disabilità infantile e incontrando mia figlia non hanno più paura. Ed è sempre così che Aurora può aiutare gli altri a guardare la malattia con occhi diversi. Talvolta, alla fine dei corsi, raggiungiamo il culmine della felicità perché capita che lei si avvicini a un bambino per riuscire a dargli un bacio».
27 Ottobre 2013 alle 10:17
deppidi esisti unu Deu