Basta femminicidi
1 Dicembre 2013Diletta Mureddu*
I femminicidi sono la punta estrema di un iceberg di violenza che si manifesta in mille forme diverse: violenze psicologiche, molestie, discriminazioni, maltrattamenti che sono il frutto di una degenerazione culturale e di un analfabetismo sentimentale. E allora anche in questo caso occorre parlare di prevenzione, di interventi che contribuiscano a diffondere un modello culturale basato sul rispetto e sulle differenze di genere.
È necessario attivare interventi educativi nelle scuole, dove ci sono i nostri adulti di domani perché non possiamo delegare l’educazione ai mezzi di informazione che spesso trasmettono un’immagine svalutante e mercificata della donna, come di un corpo oggettivato ed erotizzato.
È necessario attivare una rete che coinvolga tutti gli attori sociali e le istituzioni che si devono fare necessariamente carico di questa degenerazione sociale. L’ostacolo più grande è rappresentato dagli stereotipi di genere dove la donna viene ancora vista dai più come il sesso debole e l’uomo come quello forte e macho, dove l’uomo deve essere cacciatore e la donna preda, dove se una donna subisce molestie e maltrattamenti allora forse un po se l’è andata a cercare.
Un prete l’anno scorso ha affisso nella sua bacheca parrocchiale a Lerici parole orrende che dicevano: femminicidio, e donne facciano autocritica, quante volte provocano? Parole pesanti che non considerano che solo le donne sono uccise in quanto donne. Perchè il femminicidio esiste e purtroppo è in crescita in Italia come in altri Paesi. Queste morti esistono e pesano come macigni. Chi continua a negare l’esistenza del femminicidio favorisce la violenza, perché per combattere un fenomeno bisogna parlarne e analizzarlo nel modo giusto.
È la conoscenza che combatte la violenza. Nella mia esperienza al centro donna che si occupa di violenze e discriminazioni nei luoghi di lavoro ho toccato con mano la solitudine,la sofferenza, la vergogna di donne picchiate e maltrattate per il fatto stesso di essere donne. Ho conosciuto Maria, che si è fatta 30 giorni di ospedale con la mandibola fratturata da suo marito perché ha osato chiedergli i soldi per comprare delle medicine. C’è Angela, che d’inverno deve scaldare l’acqua davanti al caminetto perché il marito le ha messo un lucchetto nello scaldabagno perché sostiene che lei spenda troppo di corrente. C’è Francesca che da un anno riceve regolarmente lo stipendio con un mese di ritardo rispetto agli altri colleghi perché ha avuto la colpa di restare incinta e mettersi in gravidanza a rischio.
La maternità che rappresenta la massima creatività e progettualità diventa la causa principale di discriminazione nei luoghi di lavoro. Storie cosi ce ne sono tante, ma troppo poche sono denunciate e troppo pochi sono gli esempi positivi. Si può uscire dalla violenza, ma non da sole. E allora dobbiamo sentirci tutti responsabilizzati, anche se a volte è più facile non dire, non sentire e non vedere. E invece siamo tutti parte in causa e attori protagonisti perché il cambiamento sociale parte da noi, perché la violenza sulle donne è una sconfitta per tutti.
*responsabile Centro Donna Cgil Cagliari