Il reddito di cittadinanza

1 Gennaio 2014
mchanger
Gianfranco Sabattini

L’iniziativa del “Movimento 5 Stelle” volta a introdurre in Italia un reddito minimo garantito per una certa fascia di popolazione ha dato luogo ad un dibattito che non sempre si svolge nel rispetto del significato proprio di una forma di reddito, il reddito di cittadinanza, da tempo introdotto negli studi accademici e non ancora accolto in toto, salvo rare e limitate eccezioni, dagli ordinamenti economici attuali. Bene ha fatto, quindi, Corrado del Bò, in un articolo apparso di recente su “Il Mulino, 5/2013”, recante il titolo “Il reddito di cittadinanza fra mito e realtà”, ad evidenziare la confusione che spesso viene fatta quando si discorre di reddito minimo garantito; confusione che non facilita certo la comprensione del significato delle proposte politiche, quando queste vengono espresse attraverso la libera interpretazione del significato che ad alcune “categorie linguistiche” viene assegnato all’interno di specifici processi di ricerca scientifica. E’ il caso della proposta del “M5S”, il cui contenuto non ha niente a che vedere con il concetto di reddito di cittadinanza.
Quest’ultima forma di reddito ha una storia. Per dare un preciso significato all’espressione reddito di cittadinanza occorre rifarsi ad un evento temporale ben determinato, ovvero alla formazione nel settembre del 1986 del Basic Income European Network, fondato alla fine della First International Conference on Basic Income, svoltasi all’Università cattolica di Lovanio. Nell’ambito degli studi sinora consolidatisi in un corpus scientifico accreditato, il reddito di cittadinanza è un trasferimento monetario incondizionato, finanziato dalla fiscalità generale ed erogato su basi individuali a tutti i cittadini (o a tutti i residenti), indipendentemente dalla disponibilità di chi lo percepisce di altri redditi o ad accettare, a cercare o a ricercare, se perso, un lavoro. Esso è, quindi, concettualmente cosa diversa dalla forma di reddito prevista nella proposta del “M5S”. Quest’ultima prevede l’introduzione di una variante del “reddito minimo garantito”, il quale, nell’esperienza della maggior parte dei Paesi europei che l’hanno adottato, è una misura assistenziale che si colloca nell’ampia organizzazione del welfare State tradizionale.
L’idea di introdurre nei moderni sistemi economici il reddito di cittadinanza ha sinora sollevato due ordini di obiezione: uno di natura etica ed un altro di natura economica. Dal punto di vista etico, in particolare, alcuni critici osservano che è moralmente ingiusto corrispondere trasferimenti pubblici a soggetti che non fanno nulla per meritarli. Questa obiezione origina dal fatto che è condivisa l’idea che il reddito di cittadinanza non dovrebbe contraddire il principio secondo il quale i trasferimenti pubblici devono essere riservati solo a coloro che si trovano “realmente” in stato di bisogno. Un sistema selettivo di trasferimenti pubblici fondato sulla prova dei mezzi o sull’obbligo di accettare alcune condizioni è considerato perciò molto più “giusto” sul piano sociale dal punto di vista di un’ideale giustizia sociale.
Coloro che criticano la dissociazione del reddito individuale dal rapporto di lavoro tendono a trascurare il problema del superamento dell’etica del lavoro, intesa questa come valore in sé; e sin tanto che non sarà rimosso il rapporto che si presume esista tra il lavoro e la stima di sé, la necessità di creare posti di lavoro, all’interno di un’organizzazione sociale dell’attività produttiva che non è più in grado di crearne in condizioni di stabilità, continuerà a costituire una priorità sociale ineludibile. Il lavoro inteso come “autorealizzazione”, “vita”, “partecipazione” e “libertà” è un residuo individualistico di un sistema sociale ad economia di mercato, afflitto da una crescente quota di popolazione in stato involontario di necessità. Occorre, pertanto, flessibilizzare il mercato del lavoro, dissociandolo dal reddito che deve essere assicurato anche a coloro che non siano dotati di un posto di lavoro duraturo.
E’, però, dal punto di vista economico che l’ipotesi dell’introduzione del reddito di cittadinanza è controversa. Alcuni sostengono che la titolarità a ricevere un reddito garantito debba essere strettamente correlato ad una obbligazione del percettore a contribuire, in qualche misura e in un qualche momento della sua vita, ad espandere il “lavoro sociale”. Inoltre, senza la pretesa di esaurire il lungo elenco delle critiche, si osserva che se la sussistenza di ogni cittadino è garantita, l’offerta aggregata del “monte ore lavoro” necessario al funzionamento di un sistema economico progressivo mancherebbe di soddisfare il presupposto della formazione della base imponibile necessaria a consentire una tassazione utile al finanziamento del reddito di cittadinanza erogato.
Contro le critiche condotte dal punto di vista economico, i sostenitori del reddito di cittadinanza affermano che è sempre possibile fissarne (o regolarne) il livello, non al disotto di quello espresso dalla “trappola della povertà”, ovvero ad un livello che non “scoraggi il lavoro”; se così avvenisse sarebbe salvaguardato il principio della “minior preferenza” (less liability), con cui conciliare la decisione della forza lavoro che lo preferisse di migliorare le proprie condizioni di vita con il reinserimento nel mercato del lavoro, senza nuocere così alle esigenze organizzative delle imprese.
In conclusione, contro tutte le critiche formulabili dal punto di vista etico ed economico possono essere opposti alcuni effetti del reddito di cittadinanza, destinati a rivelarsi utili al funzionamento stabile dei moderni sistemi produttivi: la flessibilizzazione del mercato del lavoro, da un lato, e la maggior gratificazione personale del lavoro autonomo, dall’altro. Dal punto di vista etico, l’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza, concorrendo a migliorare le condizioni economiche di tutti i cittadini, favorisce l’allargamento del numero di coloro che preferiscono un’attività lavorative autonoma; ciò perché all’interno di un sistema economico industriale che abbia istituzionalizzato il reddito di cittadinanza, i vincoli all’esercizio del lavoro autonomo si allentano, per via del fatto che il lavoratore autonomo può trovare, anche in presenza di una minore rimunerazione a fronte di un pari volume di attività lavorativa svolta nella nuova condizione lavorativa, una maggiore gratificazione personale.
Dal punto di vista economico, non va dimenticato che la dinamica tecnologica propria dei sistemi sociali ad economia di mercato attuali liberano tempo sociale dal processo produttivo che la struttura istituzionale esistente trasforma in disoccupazione strutturale e permanente. In conseguenza di ciò, all’interno dei sistemi sociali capitalisti si configura un’eccedenza strutturale della forza lavoro occupata rispetto ai livelli occupazionali possibili, che nessuna politica pubblica riesce più a rimuovere e che nessuna organizzazione della sicurezza sociale riesce più a liberare dal bisogno, senza il rischio di insostenibili disavanzi finanziari pubblici.
Un reddito incondizionato erogato a tutti i cittadini (o a tutti i residenti) attraverso una radicale riforma dell’attuale welfare State che garantisse, da un lato, una maggior flessibilità del mercato del lavoro e, dall’altro, una minore conflittualità sociale congiunta ad una maggior gratificazione individuale tratta dal lavoro autonomo svolto è sicuramente un obiettivo di lungo periodo (per molti utopistico) per il quale sarebbe necessario che il Paese si preparasse sul piano delle riflessione politica, sindacale e culturale, rimuovendo così il grave ritardo che l’Italia, assieme alla Grecia, accusa anche su questo tema.

2 Commenti a “Il reddito di cittadinanza”

  1. Nicola Imbimbo scrive:

    Sarebbe interessante capire se la Regione, come qualcuno propone in Sardegna, potrebbe intervenire in un qualche modo su salario minimo garantito o reddito di cittadinanza anche in assenza di legge nazionale.

  2. Gianfranco Sabattini scrive:

    Si, lo può fare, facendo affidamento solo sulle sue “forze finanziarie”, nello stesso modo in cui può organizzare, valendosi della sua autonomia finanziaria, la zona franca secondo la forma proposta da Capellacci, posto che il governo centrale si prenda la cura di proporne (senza alcuna previa autorizzazione) l’istituzione alla Commissione europea. Nel caso dell’introduzione del reddito minimo o del reddito di cittadinanza (le due cose non sono uguali, ma spesso si tende a confonderle generando confusione), la Regione non avrebbe la necessità di nessuno previa autorizzazione e nessun obbligo di comunicare l’introduzione di una delle due forme di reddito a nessuna Autorità sovraordinata.

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