Intervista immaginaria a Marx

12 Febbraio 2014
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Gianfranco Sabattini

Donald Sassoon, professore di Storia europea comparata e allievo di Eric Hobsbawm, in “Intervista immaginaria con Karl Marx” chiede al celebre scienziato sociale dell’Ottocento alcune valutazioni sul merito dell’azione politica dei rappresentanti della sinistra attuale e su tante altre questioni concernenti le società moderne. Per molti tra coloro che si considerano rivoluzionari “duri e puri”, il testo di Sassoon, che riporta le ipotetiche critiche di Marx alla crisi dei partiti della sinistra, è una “summa di giudizi storico-politici errati e di luoghi comuni che ben chiarisce perché l’autore abbia così ascolto in Italia”. Al contrario, l’esperienza che le società moderne sono costrette a vivere loro malgrado, a causa della crisi dei partiti della sinistra, dimostra solo che le interpretazioni integralistiche del pensiero marxiano sono venate di stalinismo e giustifica la condanna dei loro autori ad essere relegati tra i “rifiuti della storia”; ciò non perché non sia vero, come affermano, che i partiti della sinistra tradizionale sono in crisi perché divenuti incapaci di risolvere i problemi delle società attuali, ma perché la loro crisi, anziché essere ricondotta alla mancata interpretazione dei problemi sociali moderni, secondo la prospettiva del metodo del materialismo storico, si sarebbero allontanati dall’interpretazione fanatica dei testi marxiani, propria della tradizione leninista-stalinista.
L’”Intervista”, originariamente pubblicata sulla rivista britannica “Prospect” nel 2003, compare ora per la prima volta in lingua italiana. Con essa, Sassoon «resuscita» Marx, il quale non esita a criticare molti “mostri sacri” del XX e del XXI secolo, per riaffermare le proprie idee contro gli abusi di coloro che si sono accreditati politicamente affermando d’essersi ispirarsi al suo pensiero; nello stesso tempo, egli rivendica la validità del suo metodo del materialismo storico, quale chiave di comprensione del mondo. Marx passa in rassegna personaggi suoi contemporanei ed altri a lui successivi: giudica negativamente John Stuart Mill, Jeremy Bentham, Auguste Compte, Herbert Spencer ed anche Vladimir Il’ič Ul’janov Lenin, per essere stato quest’ultimo l’inventore di un marxismo fondamentalista, che ha indotto i suoi seguaci a trovare nei testi originari marxiani la giustificazione per qualunque cosa avessero deciso di fare; invece, giudica positivamente Adam Smith, David Ricardo, Nikolaj Gavrilovič Černyševskij (autore del celebre romanzo rivoluzionario “Che fare?) e Charles Darwin, al quale Marx aveva pensato di dedicare “Il Capitale”; offerta rifiutata dallo stesso Darwin, che Marx nell’”Intervista” giustifica, valutando che, se avesse accettato, la selezione naturale sarebbe stata considerata una fra le tante cospirazioni marxiste. Oltre ai giudizi sui tanti personaggi che hanno affollato la scena politica e culturale degli ultimi due secoli, Marx immaginariamente si esprime anche su molti argomenti attinenti il mondo attuale. In questo modo, l’”Intervista” di Sasson diventa il pretesto per una riflessione sulla crisi dei partiti della sinistra, quindi un invito loro rivolto a ritornare, se vogliono rilegittimarsi, al nucleo ancora vitale del suo metodo per la comprensione delle forze che sottendono l’evoluzione del mondo; un invito, questo, particolarmente attuale, se rivolto a partiti come quelli della sinistra italiana, che hanno perso ogni contatto con la realtà che intendono governare.
La sinistra italiana non ha cessato solo ora di “essere viva”, ma ha cominciato a morire ormai molti anni fa, quando, dopo un cambiamento nel modo d’essere e di funzionare del capitalismo, invece di ripensare al come organizzare e guidare il conflitto politico-sociale e l’evoluzione della società, ha preferito governare i processi sociali confidando solo sulla presunzione di riuscire a farlo meglio dei suoi “avversari politici”, con l’attuazione di politiche pubbliche totalmente omogenee alla logica capitalistica. In tal modo, la sinistra ha perso di vista, a seguito dei cambiamenti intervenuti nei modi di produrre e di organizzarsi del capitalismo, i contemporanei mutamenti che hanno caratterizzato le condizioni del lavoro e della giustizia sociale; mutamenti, questi ultimi, che sono stati la causa prima delle dinamiche che hanno riguardato l’orientamento politico dell’area sociale di riferimento della sinistra e i nuovi stati di bisogno di tutta la società civile, che il sistema di sicurezza sociale realizzato (welfare State) non è stato più in grado i soddisfare.
Cosi, mentre tutto attorno cambiava, la sinistra italiana non è stata in grado di impedire che gran parte delle conquiste realizzate nel cinquantennio precedente venissero erose; infatti, i partiti della sinistra tradizionale ed i sindacati ad essi collaterali, invece di prendere atto di tutti i cambiamenti verificatisi per fare fronte ai nuovi problemi sociali, di fatto, al pari dei partiti della destra, hanno legittimato l’erosione, trincerandosi dietro proposte politiche prive di ogni significato. In conseguenza di ciò, i partiti della sinistra, slittando sempre più a destra, una volta andati pro-tempore al governo del paese, hanno operato scelte favorevoli a una ridistribuzione di ricchezza e di potere politico dal basso verso l’alto e dai più deboli ai più forti, mancando di identificarsi nel mutamento storico intervenuto e accettando come proprie le ragioni dell’”avversario” politico. In tal modo, i partiti della sinistra tradizionale hanno condotto un’azione politica il cui esito è stato quello di fare divenire le disuguaglianze la causa di una crescente disgregazione sociale, congiunta ad una crescente “fuga dalla politica” dell’intera società civile.
Non è possibile comprendere la condizione attuale dei partiti della sinistra italiana se non si analizzano le ragioni lontane della loro profonda crisi. All’inizio degli anni Novanta, i partiti della sinistra, PCI e PSI, non sono riusciti ad adattare la loro strategia politica al nuovo quadro internazionale determinato dalla caduta del Muro di Berlino e dalla definitiva affermazione della globalizzazione; ciò perché, nel corso degli anni Ottanta, logorandosi in un duro confronto ideologico-politico, non sono riusciti a unificarsi nel socialismo democratico e riformista.
Il PSI di Craxi tendeva a riaffermare la propria autonomia culturale ed ideologica, mentre il PCI di Berlinguer trovava difficoltà a confluire nel movimento socialista democratico e riformista, sia perché nella base comunista persisteva il mito dell’URSS quale elemento fondante del PCI stesso, sia per un senso di superiorità persistente nell’intellettualità comunista nei confronti del PSI; fatto, questo, che ha portato il segretario del partito, Enrico Berlinguer, a fondare la propria identità sulla cosiddetta “questione morale”, che il “corpo” dell’elettorato comunista ha preferito connotare in termini di atti criminali, piuttosto che intenderla, come era nelle intenzioni del segretario, in termini di occupazione dello Stato da parte dei partiti, alla quale nemmeno il PCI era riuscito a sottrarsi, mettendo anch’esso il “piede nel piatto” della spartizione delle spoglie istituzionali.
Ma assumere la questione morale e la diversità quale identità distintiva di un partito di sinistra nei confronti di un altro sempre di sinistra, ha impedito che si costruisse una strategia implicante un cammino verso l’unità di uno schieramento politico omogeneo per la realizzazione di un programma comune. Dopo il 1989, pertanto, è avvenuta la “nemesi storica” del confronto sterile: i due partiti non riuscendo a superare gli “steccati” nei quali si erano “cacciati”, sono stati travolti, per motivi diversi, da accadimenti che non avevano alcuna connessione con la ricerca di una unità e di una strategia politica comune. Il PSI è stato travolto da Tangentopoli, e la demonizzazione della sua memoria storica ha rappresentato un punto di non ritorno per tutta la sinistra italiana; la nuova generazione dei dirigenti del PCI, dopo il crollo del Muro di Berlino, pensando di poter approfondire l’inserimento del partito nella nazione, ma in realtà per pura aspirazione al potere, ha avviato un radicale ricambio della propria cultura politica, decretando la fine del vecchio partito. Infatti, il PDS, subentrato al PCI, lungi dal far propri i valori più autentici del socialismo italiano, ha dato vita ad una “cultura novista”, aprendosi al giustizialismo, per salvare se stesso e fagocitare ciò che restava del PSI. Per soddisfare le proprie smanie di potere, gli eredi del PCI berlingueriano si sono convertiti persino al principio elettorale “maggioritario”, che ha contribuito ad indebolire ulteriormente il ruolo e la funzione dei partiti della sinistra a vantaggio della personalizzazione dell’attività politica e di nuove forme di notabilato politico.
Ma l’astuzia della ragione politica ha voluto che Achille Occhetto, il protagonista della “Svolta della Bolognina”, andasse incontro ad una cocente sconfitta, aprendo con la sua “gioiosa macchina da guerra” la strada al “ventennio berlusconiamo e al successivo avvento di Matteo Renzi alla guida del PD (nel quale è confluito il PDS), totalmente estraneo alla cultura socialista. Ciò nonostante, Achille Occhetto, a proposito del “rottamatore”, non ha avuto alcun ritegno nell’attribuirgli idee di sinistra, solo perché è riuscito a sostituire gran parte del personale politico dominante all’interno del PD con un nuovo gruppo di suoi fedelissimi; adducendo la spiegazione che, senza la Svolta della Bolognina, Renzi sarebbe rimasto nella Democrazia cristiana e quindi non sarebbe stata possibile la sua ascesa alla segreteria del PD di oggi, per la formazione di un “partito socialista di sinistra”. Francamente, di fronte a simili affermazioni, viene fatto solo di dolersi della mancanza del sarcasmo del miglior Craxi, per ridicolizzare simili affermazioni e per definire socialismo dei “suoi stivali” quello di Renzi.
L’evoluzione dei rapporti dei partiti della sinistra italiana e la loro contemporanea trasformazione hanno consentito la formazione di una società in cui le disuguaglianze sono aumentate in modo esponenziale e l’economia mista è stata progressivamente smantellata, mentre l’attività politica è stata sempre più caratterizzata da una dilagante corruzione, rispetto alla quale gli esiti negativi della questione morale berlingueriana degli anni Ottanta evocano solo un nostalgico ricordo. Allo stato attuale, tutti i partiti che si muovono sulla scena politica italiana sono, politicamente parlando ed abusando di un’aggettivazione cara a Marx, dei “lumpen-aggregati”, cioè degli “aggregati-straccioni” di notabili e di capi-bastone, eredi della distruzione della sinistra; con simili aggregati, la gestione della cosa pubblica passa per un sistema di intermediazione fondato sull’occupazione dello spazio pubblico da parte di clan e bande rivali, con buona pace per tutti coloro che attendono da questi clan e da queste bande la soluzione dei propri mali.
Così, tutti i partiti che affollano la scena politica italiana, lungi dal riflettere su come formulare un progetto risanatore della società e dell’economia, sono esclusivamente impegnati a trovare un accordo, non per innovare le regole costituzionali in vista dell’attuazione del progetto risanatore, ma volto solo ad istituzionalizzare un sistema di regole elettorali che sappia garantirne la continuità, indipendentemente dalle scelte del popolo e con l’esclusione di quanti osano criticare l’inanità delle maggioranze in essi dominanti.

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