Per il superamento dell’attuale welfare State

16 Marzo 2014
Money-Hole
Gianfranco Sabattini

Pubblichiamo un nuovo intervento di G. Sabattini sul reddito di cittadinanza (red.)

Il problema che può nascere con l’introduzione del reddito di cittadinanza incondizionato riguarda solo la determinazione del necessario rapporto funzionale che deve sempre esistere tra il salario di mercato e il reddito di cittadinanza. Al riguardo, è sufficiente ricordare che tale rapporto deve essere determinato tenendo conto che l’introduzione del reddito di cittadinanza per la forza lavoro in stato di disoccupazione strutturale può determinare difficoltà di reperimento del lavoro di cui abbisognano le attività produttive altamente innovative; ciò perché se il livello del reddito di cittadinanza fosse stabilito ad un livello tale da orientare tutta quanta la forza lavoro a preferire lo svolgimento di un’attività più attraente sul piano delle preferenze individuali e tale da compensare la rinuncia al posto di lavoro, anche se la rinuncia comportasse un reddito inferiore, potrebbe essere annullata in parte o in tutto la flessibilità del marcato del lavoro che con il reddito di cittadinanza si tende ad assicurare al sistema economico. E’ questo un aspetto importante della riforma del welfare State, nel senso che il livello del reddito di cittadinanza deve essere determinato in modo da salvaguardare la flessibilità, informando la determinazione del reddito di cittadinanza al principio della “minior preferenza” (less liability).
Il rispetto di tale principio serve a conciliare l’esigenza di rendere sempre possibile per la forza lavoro che lo preferisse il reinserimento nel mercato del lavoro, ma anche per le attività produttive di espellere dalla stabilità occupazionale la forza lavoro che in occasione di crisi o di ristrutturazioni dovesse risultare in surplus, senza con ciò dover affrontare il ricorrente problema politico di trovare le procedure con cui assicurare alla forza lavoro disoccupata la stabilità reddituale, che l’attuale welfare State non è in grado di garantire.
Con l’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza, i partiti ed in particolare i sindacati, sono chiamati, come nel passato, a svolgere all’interno del sistema economico un ruolo incisivo, non solo nella fase dell’introduzione del nuovo sistema di sicurezza sociale fondato sul reddito di cittadinanza, ma anche nella sua fase di funzionamento successivo. L’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza concorre al potenziamento del ruolo dei partiti e dei sindacati allargando ed approfondendo la loro azione, finalizzata a riordinare i diritti di proprietà, ad “aggiustare” il funzionamento del mercato del lavoro e la sua organizzazione istituzionale rispetto alla dinamica evolutiva del sistema economico ed alla dinamica degli stati di bisogno di tutti i cittadini.
Attualmente, senza l’impegno ed il coinvolgimento dei partiti e dei sindacati, il reddito di cittadinanza, così come è stato inteso, mancherebbe di coerenza politica ed economica e impedirebbe anche la possibilità di adottarlo; d’altra parte, senza il reddito di cittadinanza, i partiti ed i sindacati sarebbero emarginati e spinti alla tutela dei soli interessi economici sezionali. Reddito di cittadinanza, partiti e sindacati costituiscono un trinomio inscindibile per il futuro.
In ogni caso, in un tempo in cui la principale preoccupazione all’interno del sistema economico è originata dalla presenza di una disoccupazione strutturale che intralcia la ripresa della crescita, sembra costituire un impegno eccessivo la profusione di energie per l’elaborazione di critiche indirizzate contro una innovazione istituzionale ed economica orientata a rimuovere quella preoccupazione; solo perché da questa innovazione si teme possa derivare una possibile riduzione della domanda di lavoro.
Il rischio dell’instabilità economica, o peggio di una recessione dell’intero sistema economico, indotto dalla istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza, non può essere “esagerato” da parte delle imprese. Il reddito di cittadinanza non garantisce molto di più di un reddito minimo sociale, per cui la forza lavoro titolare di un reddito di cittadinanza che aspiri a conseguire un più alto standard materiale di vita sarà motivata a “procurarsi” un reddito da lavoro sufficiente a consentirgli di soddisfare le sue aspirazioni. Tutta la forza lavoro, perciò, che perseguirà un simile obiettivo, troverà negli aggiustamenti salariali i necessari stimoli a comportarsi in modo conveniente per evitare instabilità e recessione del sistema economico.
Sul piano del riformismo sociale, “laissezfairisti” e “welfaristi” sono stati molto spesso protagonisti di dure contrapposizioni, piuttosto che di progetti collaborativi; ma, alla luce dell’esperienza recente sia gli uni che gli altri hanno in comune un interesse al riformismo sociale ed economico molto più esteso di quanto non siano disposti ad ammettere. Il riformismo dei “welfaristi” rimarrà, tuttavia, critico nei confronti del riformismo dei “laissezfairisti”. I “welfaristi riformisti” però dovranno divenire anch’essi, al pari dei “laissezfairisti”, dei presìdi di un mercato del lavoro più di quanto non lo siano stati nel passato.
D’altra parte, i “laissezfairisti riformisti” dovranno persistere nel loro atteggiamento critico nei confronti delle pretese dirigiste dei “welfaristi riformisti”. I primi però dovranno anch’essi divenire, come i secondi, dei presìdi della giustizia sociale e sarà conveniente anche per essi aprirsi alla necessità che il settore pubblico protegga i diritti sociali di tutti i cittadini. La sovrapposizione dei due riformismi non è, tuttavia, senza residui, nel senso che continueranno a permanere tra “welfaristi-riformisti” e “laissezfairisti-riformisti” rapporti “concorrenti”, soprattutto in relazione all’equilibrio che dovrà essere realizzato tra il funzionamento del mercato ed il controllo democratico del suo modo di operare. Ciò nondimeno, essi hanno tanto in comune da valutare conveniente l’istituzionalizzare di un sistema di sicurezza sociale fondato sul reddito di cittadinanza; anche se vi sarà convergenza nella condivisione dell’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza, tra essi rimarranno motivi di “concorrenza” che costituiranno il fondamento della competizione politica, utile al sistema sociale e a quello economico per essere “stimolati” a richiedere un’azione politica costantemente orientata ad adattare i contenuti delle politiche pubbliche ai problemi nascenti dall’evoluzione sia sociale che economica.
Se le procedure di formazione e di attuazione delle politiche pubbliche saranno costantemente ispirate al riformismo, il reddito di cittadinanza può realmente divenire la variabile strategica di quelle procedure, nel senso che esso potrà essere governato senza alcuna alterazione delle caratteristiche organizzative del sistema socio-economico per il perseguimento degli obiettivi di breve e di medio-lungo periodo, di momento in momento adottati e condivisi.

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