Il congresso della Fiom

9 Aprile 2014
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Loris Campetti

Più di 350 mila iscritti, con una diminuzione di 5 mila tessere: un -3% che corrisponde al calo dell’occupazione nel settore metalmeccanico italiano. La Fiom tiene in questo fine settimana uno dei congressi nazionali più difficili dalle sue origini agli albori del Novecento, quando iniziò il suo lungo cammino con qualche anno d’anticipo rispetto alla nascita della stessa Cgil. E’ forse il congresso più difficile, perché si svolge sotto l’incalzare di una crisi che è globale ma che in Italia picchia più duramente sul lavoro per la mancanza di risposte politiche all’altezza dello scontro, dopo tre decenni di lotta di classe al rovescio, fatta dai padroni contro i lavoratori. Il congresso più difficile, perché mentre chiudono fabbriche e intere filiere e ogni giorno si perdono mille posti di lavoro, di pensiero di sinistra in giro per la penisola se ne respira ben poco, nel pieno dell’attacco ai fondamentali della democrazia italiana: la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori, diventati i bersagli preferiti non più soltanto della destra ma di tutti e tre i governi (e i parlamenti) delle larghe intese, non eletti, seguiti senza discontinuità concreta al ventennio berlusconiano. Il congresso più difficile, con la confederazione di riferimento che ha sacrificato alla governabilità e all’unità con Cisl, Uil e Confindustria uno dei suoi valori costitutivi: la democrazia, che nella storia della Cgil si traduceva nel diritto dei lavoratori a esprimersi con un voto deliberativo sulle scelte strategiche del sindacato e su accordi e contratti che riguardano le loro condizioni di vita e di lavoro.
Il congresso della Fiom precede quello della confederazione, preparato attraverso la assemblee di base, territoriali e confederali. La partecipazione alle assemblee congressuali, denuncia il segretario generale Fiom Maurizio Landini, conferma lo stato di difficoltà che attraversa l’intero universo sindacale a cui la Cgil non fa certo eccezione: su 5,7 milioni di iscritti (per oltre il 50% è composta da pensionati) soltanto il 17% ha partecipato, mentre l’83% è rimasto a casa. Di questo, della drammatica crisi di rappresentanza che è politica e sindacale bisognerebbe parlare, perché mina la democrazia e cancella la partecipazione alle scelte. Il problema, per Landini, non è pietire un posto a tavoli concertativi che non hanno più ragion d’essere, così come i riti e le litanie che nascondo sotto numeri senz’anima l’intensità della crisi e sviliscono la soggettività e l’autonomia sindacali
Negli ultimi anni di attacchi sferrato sotto la guida di Sergio Marchionne, la Fiom è riuscita a difendere la dignità dei lavoratori con una lotta condotta in solitaria, da Pomigliano a Mirafiori, mentre nel Pd e nella Cgil si levavano alti gli appelli a chinare la testa di fronte ai ricatti della Fiat, lavoro domani in cambio dei diritti subito. Come dimenticare le parole dell’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi, già in corsa per vincere il giro ‘Italia, che giurava di stare “con Marchionne senza se e senza ma”? E’ la seconda volta in un decennio che la Fiom salva la testa dalla scure della Cgil, sempre grazie al conflitto vincente contro la Fiat: prima con Gianni Rinaldini segretario a Melfi, quindi con Landini a Pomigliano. Le ragioni della Fiom sono state riconosciute dalla giustizia in tutti i suoi gradi, fino alla corte Costituzionale.
Nel congresso Fiom di Rimini si parlerà molto di democrazia, e di Europa: senza un’internalizzazione del sindacato, dice Landini, siamo destinati a perire sotto i colpi di una globalizzazione liberista che fa carne di porco di lavoro e diritti, precarizza l’intera società e il mondo giovanile, impone la dittatura della finanza su una politica sempre più subalterna, dove distinguere tra centrodestra e centrosinistra si traduce in un gioco da prestigiatori. Dunque, democrazia, partecipazione, internazionalizzazione. E soprattutto autonomia, che vuol dire indipendenza: dai padroni, dai partiti, dai governi. Sono queste le parole d’ordine della Fiom, sulle quali negli ultimi anni è esploso il conflitto con la Cgil. A chi lo accusa di essesso di rigidità e di scarso realismo, Landini aveva risposto con la scelta di non presentare una tesi alternativa a quella della segretaria Susanna Camusso, limitandosi a quattro emendamenti caratterizzanti, con l’obiettivo di contribuire alla ricostruzione di un rapporto positivo con la confederazione. A questo la segretaria confederale Camusso ha risposto con una polpetta indigeribile: la firma, il 10 gennaio, della Cgil sul testo unico sulla rappresentanza siglato con Cisl, Uil e Confindustria che assume nei fatti il modello Marchionne bocciato dalla Corte costituzionale. I congressi di base sono stati avvelenati da questo strappo, con la Camusso che ha chiesto agli organi di garanzia il diritto di sanzionare la Fiom e il suo segretario per l’annunciato rifiuto a sottostare a un accordo imposto in violazione delle stesse norme statutarie. Risultato: si sono tenute due diverse consultazioni sul testo unico, una della Cgil e una della sola Fiom che ha deciso di sottoporre il testo non ai soli iscritti ma a tutti i lavoratori metalmeccanici. E infine, la rappresentanza della Fiom al congresso della Cgil sarà ridotta al 15%, quando sull’emendamento sulla democrazia il consenso è stato invece del 34%.
Nel congresso Fiom sarà lanciata una proposta di raccolta di firme per cancellare la vergogna di aver messo nella Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio, contro cui non è rimasta agli atti qualsivoglia protesta della Cgil. Ed è ragionevole attendersi un duro attacco del segretario contro il presidente del consiglio Renzi, tanto per far chiarezza sul presunto feeling tra i due in chiave anti-Cgil. Naturalmente, in nome dell’autonomia e dell’indipendenza la Fiom si rapporta con qualsiasi governo sulla base dei contenuti e non della sua colorazione politica. E tantomeno sulla base delle camarille nel garage del Partito democratico. Ma è soprattutto sui temi della democrazia e della rappresentanza che nel congresso Fiom sarà formalizzata una posizione difficilmente compatibile con la strada percorsa e rivendicata dalla maggioranza della Cgil.

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