Apparenza reale, realtà virtuale

16 Ottobre 2009

soldi.jpg

Gianni Loy

Tanti anni fa, si parlava di leoni. Una bambina di pochi anni, seppure figlia di intellettuali, aveva perfetta conoscenza dell’animale, conoscenza precisa e diretta, come di chi quell’animale se lo fosse trovato di fronte.Poi si rivolse ai genitori per esprimere un “piccolo” dubbio: L’abbiamo visto allo zoo o alla televisione? Quel ricordo, apparentemente banale, me lo sono portato sempre appresso.
E no! Possono avere le stesse caratteristiche, ma non sono la stessa cosa. Una è la realtà, l’altra la sua rappresentazione. Che può anche essere perfetta, ma non emoziona, e neppure fa male, allo stesso modo.
Mi è venuto in mente cercando di capire questa benedetta crisi economica. C’è o non c’è? Forse c’è ma già comincia a non esserci più. Forse ce la stiamo lasciando alle spalle. In fondo i numeri della crisi, questa recessione con il Pil a capofitto, corrispondono alle rilevazioni dello scorso trimestre. Ma allora quando si diceva che non c’era, invece c’era! Ma non è tanto questo, il problema. E’ la percezione che ne abbiamo. Sembra proprio che la crisi, più che essere una realtà, sia un evento mediatico. Perché certi eventi mediatici somigliano terribilmente alla realtà. Solo che i nostri eroi non si sono veramente persi in un’isola deserta. E’ solo una finzione che fingono di fronte alle telecamere (a noi) nascoste.
Ce lo diceva anche Lollottu, quasi mezzo secolo fa, nelle gradinate dell’anfiteatro romano, quando per assistere all’opera lirica non servivano le gradinate di legno, quando incominciavamo a commuoverci di fronte all’eroina della lirica che stava per morire: Non è vero! State tranquilli, è soltanto una rappresentazione. La cantante non è, rappresenta un personaggio. Ma nella realtà non muore! Ci rubava l’emozione.
Mi accorgo che stiamo perdendo, tutti quanti, il senso della realtà. Vogliono farci credere, e con un certo successo, che la crisi, prima ancora di essere una realtà, sia una proiezione delle nostre emozioni. Addirittura che siamo noi a crearla. Perché la crisi, forse, neppure c’è. Ma noi crediamo che ci sia, o ce lo fanno credere quelli della sinistra, e poiché ne abbiamo paura ci comportiamo in maniera irragionevole, come se ci fosse. Ma così facendo la provochiamo per davvero!
Insomma, anziché parlare della crisi, grande o piccola che sia, dei drammi che contiene, degli uomini e delle donne che la attraversano, dei disoccupati, finiamo per parlare della sua rappresentazione. Cioè di un’altra cosa che, essendo virtuale, non fa male. Una specie di gioco interattivo, insomma, che ci consentirebbe di modificare il risultato, con una semplice azione, consumando, ad esempio!
O assaltando i forni del pane? Perché sono i fornai a far sparire la farina e far lievitare il prezzo del pane!
O anche pensando a crisi più recenti, come quella del ‘29, dove i morti si vedevano, precipitavano, avevano drammatica fisicità, anche se non li abbiamo visti con i nostri occhi.
In fondo, è vero, una parte di noi non sono toccati dalla crisi. Posti fissi, come il mio e quello di tanti altri, esistono davvero. Come sono reali le persone che negli ultimi mesi sono rimaste senza lavoro. Di tutti questi casi esistenziali vorrebbero farne di numeri per statistiche. Ed invece sono persone, uomini e donne, che un giorno dicono loro: Domani non tornare. Il lavoro è finito. Come finito? E di che cosa dovrò campare, cosa dirò ai bambini miei. Ed il presidente: Consumate? Come consumate? Consumi almeno chi i soldi ce li ha! Ma i soldi ce li hanno le banche! E non tirano fuori un centesimo.
A volte cerco di immedesimarmi. Avverto un senso di impotenza. Avverto persino di non avere il diritto di averlo, quel senso di impotenza. Perché in fondo sono garantito, uno di quelli che chiamano “insider”. Ed a me è difficile che me lo dicano: Il lavoro è finito. Al massimo mi potranno dire che non mi concedono due anni di lavoro supplementare in più, per il quale molti miei colleghi (universitari) sbavano. Ed io, invece, penso che dobbiamo andarcene tutti presto, almeno all’età giusta. Penso ancora che il lavoro ce lo dobbiamo dividere, che non c’è altra possibilità. Perché così, se ci fosse solo un poco di solidarietà, ci sarebbe da campare per tutti.
Ed invece questi stregoni che governano la barraca si sentono come dentro un grande fratello. Sino ad ieri volevano farci lavorare di più, ed incentivavano gli straordinari. Poi contrordine, facciamo la settimana corta, o cortissima. Tanto per loro è solo un pallottoliere dove si spostano le palline. Poi più niente. Tutto risolto con i cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga.
L’altro giorno, un canale televisivo, ha mostrato un servizio sul Banco dei pegni in tempo di crisi. Come si fa – mi sono chiesto – ad entrare la dentro e tirar fuori la collana che ti hanno regalato per il matrimonio, gli orecchini di tua madre…il sacro del sacro? Quanto ti può ballare il cuore?
Ed invece si fa!
Non lo reggo. Mi si spezza il cuore solo a pensarlo. Se solo avessi il diritto di averne uno!
Storie, passioni, drammi, la Commedia umana, quella vera, che si consuma sotto i nostri occhi.
Drammi. La Fiat che promette mari e monti a tutti gli stabilimenti del mondo, tratta con tutti i governi tranne che con il suo. Poi, in realtà, agita lo spauracchio di nuovi licenziamenti in Italia. E subito a batter cassa: Caro governo, se non vuoi che chiudiamo un altro stabilimento rinnova perlomeno gli incentivi per l’auto!
Mentre ci invitano ad essere orgogliosi. Come dell’Alitalia, che vacilla quasi peggio di prima e nessuno ne parla più. Crisi persino per gli immigrati. Che alcuni incominciano ad andarsene. Senza bisogno di ronde o di respingimenti, che pena! Basta la crisi. In fondo è sempre l’economia che comanda.
Crisi che non vogliamo, che non desideriamo, che non è la nostra malattia psico-somatica, che neppure strumentalizziamo per dare addosso al caudillo. Che è la fatica di rimanere senza lavoro, senza poter consumare.
Una crisi che, soprattutto, sta nella realtà e non nella sua deformata rappresentazione.

1 Commento a “Apparenza reale, realtà virtuale”

  1. Benedetto Sechi scrive:

    Tutto apprezzabile, il contenuto dell’artricolo. Sottolinea quanto siamo lontani dalla cultura che ci dovrebbe dare la coscienza del fatto di non essere indispensabili, che il valori della solidarietà non si annunciano, ma si praticano. Dividersi il lavoro che è un modo tangibile.
    Ripensare se stessi, nel corso della propria in ambiti e luoghi diversi, credo ci renderebbe più felici dello stare immobili.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI